A proposito di gesti contro il razzismo

Da alcuni anni tra gli atleti professionisti si è diffusa l’abitudine di mettersi in ginocchio prima dell’inizio di gare e partite come forma di protesta e sensibilizzazione contro le discriminazioni razziali, presenti spesso anche nel mondo dello sport.

Da alcuni anni tra gli atleti professionisti si è diffusa l’abitudine di mettersi in ginocchio prima dell’inizio di gare e partite come forma di protesta e sensibilizzazione contro le discriminazioni razziali, presenti spesso anche nel mondo dello sport. Questa abitudine ha preso piede specialmente nell’ultimo anno, dall’omicidio di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis che scatenò rivolte in tutti gli Stati Uniti e che ebbe ripercussioni anche in Europa. Inginocchiarsi prima delle partite è un gesto che è partito con altri sport e col tempo è arrivato nel calcio, ed ora quindi anche durante i campionati Europei, anche se con molte divisioni tra chi si inginocchia e chi no, chi fischia dagli spalti e chi applaude, chi ne è al corrente e chi non sa bene che cosa stia capitando. Fatto sta che in molti arrivano a chiedersi: ma chi non si inginocchia è razzista? Ovviamente la risposta è negativa, ma in un mondo che si sta abituando sempre di più agli spot e sempre di meno a studiare e capire i contenuti e le cause dei problemi sociali, il messaggio che può passare semplicisticamente è proprio questo. Eppure non è un caso che alcuni atleti di colore, tra i primi a sposare questa forma di protesta per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla problematica razziale, oggi non si inginocchino più, spiegando di non trovare più significati nel gesto diventato con il passare del tempo una mera routine precedente alle partite. Il problema è forse questo. Certi gesti hanno valore anche quando vengono fatti senza convinzione, ma solo per assecondare campagne pubblicitarie dietro a cui spesso si nascondono lobbies che magari hanno altri interessi che con le questioni prettamente sociali hanno poco a che vedere? Che valore può avere il gesto di un atleta se poi nella vita di tutti i giorni, e quindi anche sui profili social personali attraverso cui la stessa ci viene raccontata, il comportamento che si tiene non coincide con quel gesto di umiltà, il più bello che si possa compiere verso il prossimo? C’è tanta ipocrisia nel mondo dello sport, come in quello di certa politica, sempre pronta strumentalizzare tutto e tutti. Io francamente preferisco i gesti concreti contro ogni forma di razzismo, lasciando gli spot, a volte ipocriti, a coloro che forse si inginocchiano in un campo di calcio, che urlano contro chi non si inginocchia, che fanno le prediche sull’antirazzismo al mondo intero e poi, magari, sono i primi a voltare lo sguardo dalla parte opposta rispetto al fratello bisognoso. E spesso solo perché il colore della pelle è diverso dal proprio. Stavolta, per usare un gesto simbolico, mi piacerebbe che all’inginocchiarsi si sostituisse una mano tesa, che indichi quel contatto umano che ci unisce e ci ricorda la concretezza di un aiuto vero e sincero. Non inginocchiarsi, quindi, ma aiutare gli altri ad alzarsi.