Crisi ucraina, il rischio di non superare il punto di non ritorno

La tensione cresce, i soldati sono entrati nei territori. Troppe le forze schierate

Dopo giornate estenuanti di tentativi diplomatici, di dichiarazioni tattiche a distanza e messaggi in codice delle agenzie di intelligence, la crisi in Ucraina rischia di imboccare una strada senza ritorno. Il 21 febbraio, con un discorso televisivo alla nazione, il presidente russo Vladimir Putin, dichiarando che «l’Ucraina è parte della storia russa», ha annunciato la decisione di riconoscere come entità indipendenti le due autoproclamate Repubbliche ucraine secessioniste di Lugansk e Donetsk. Si tratta di un punto di svolta decisivo – per quanto rappresenti de jure il riconoscimento di una situazione esistente da almeno otto anni – nella prolungata crisi che sta vedendo contrapposte da un lato la Russia di Putin, con le sue nostalgie sovietiche, e dall’altra l’Ucraina, con i suoi alleati europei, la Nato e dunque gli Stati Uniti d’America. Dal punto di vista diplomatico è senz’altro un punto di svolta in quanto pone sostanzialmente la parola fine agli accordi di Minsk e alle intermediazioni tedesca e francese, attraverso cui si era avviato un processo volto a definire lo status giuridico dei due territori all’interno del sistema politico dell’Ucraina. Dal punto di vista militare il discorso televisivo di Putin potrebbe preludere ad un intervento d’appoggio, a carte scoperte (visto che già da tempo il Cremlino fornisce aiuti finanziari e strumentali ai ribelli di quelle due regioni), in quella che Mosca definisce da tempo come una vera e propria guerra civile tra le forze governative ucraine e i separatisti filorussi. La minaccia di sanzioni economiche pesantissime e il rischio di un isolamento della Russia da parte della comunità internazionale, fino ad arrivare all’esplodere di un conflitto su vasta scala, sembrerebbe non scoraggiare Putin dall’intraprendere una strada che potrebbe risultare senza ritorno. Intanto proseguono le evacuazioni di numerosi civili russi e filorussi dai territori di Donetsk e Lugansk verso la Russia, con la giustificazione di una minaccia incombente (smentita da Kiev) di invasione da parte delle forze governative ucraine: per gli Stati Uniti si tratterebbe dell’ennesima mossa propagandistica del Cremlino volta a giustificare un intervento militare. Sono sostanzialmente tre le ragioni che spingono la Russia di Putin a proseguire con determinazione la strada intrapresa; si tratta di ragioni di carattere storico, politico ed economico. Dal punto di vista storico va ricordato che Kiev fu la capitale del principale Stato slavo orientale noto come Rus’ di Kiev. Nel corso del Novecento la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina è rimasta unita a Mosca per ben 57 anni e solo nel 1991, dopo il crollo del regime sovietico, il Paese ha intrapreso una storia autonoma e indipendente dal Cremlino. Dal punto di vista politico, invece, la paventata espansione della Nato verso Est (richiesta esplicitamente dall’Ucraina) rappresenta una minaccia per Mosca, che vedrebbe ulteriormente ridotta la sua sfera di influenza internazionale. Infine, vi sono ragioni economiche: storicamente l’Ucraina è stata una sorta di “granaio” della Russia, per il fatto di essere una terra molto fertile che produce soprattutto cereali; notevoli, inoltre, sono le materie prime quali carbone, minerali di ferro, gas naturale e petrolio. La crisi ha imboccato una strada pericolosa ed è necessario che la diplomazia non cessi di esercitare ogni sforzo possibile per scongiurare il peggio, individuando quanto prima una strada pacifica per risolvere la crisi. Si tratta di una priorità che riguarda i rapporti tra Russia e Ucraina e l’intera Europa, ma non solo.