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Fondi 8xmille: progetto in Cambogia per aiutare i malati a curarsi senza cadere in rovina
132 progetti, per i quali sarà stanziata una somma complessiva di 13.537.327 euro. Sono stati resi noti i dati relativi alla riunione del Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo che si è svolta a Roma, presso la sede della Conferenza episcopale italiana alla fine di settembre. I fondi sono suddivisi: 9.233.045 euro per 75 progetti in Africa; 1.768.086 per 37 progetti in America Latina; 2.223.784 per 18 progetti in Asia; 312.412 per 2 progetti in Medio Oriente. Padre Mario Ghezzi, missionario del Pime e in Cambogia da 16 anni, racconta un programma di assistenza sanitaria e formazione umana rivolto in particolare ai malati nella zona di Phnom Penh.
Ci sono posti nel mondo in cui non è consentito ammalarsi perché curarsi significa vendere tutto e cadere in rovina, trascinando dietro tutta la famiglia. Uno di questi è la Cambogia. Per questo la piccolissima comunità cattolica – una esigua minoranza di 22mila cattolici in un Paese a maggioranza buddista – ha avviato sin dagli anni ’90 un progetto articolato di assistenza sanitaria a favore della popolazione più povera. A sostenere oggi l’iniziativa saranno i fondi dell’8xmille della Chiesa italiana: il progetto della Cambogia figura, infatti, tra gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo approvati dal Comitato istituito a questo scopo presso la Conferenza episcopale italiana.Nella riunione che si è tenuta alla fine di settembre sono stati approvati 132 progetti, per i quali sarà stanziata una somma complessiva di 13.537.327 euro.9.233.045 per 75 progetti in Africa; 1.768.086 per 37 progetti in America Latina; 2.223.784 per 18 progetti in Asia; 312.412 per 2 progetti in Medio Oriente.
Padre Mario Ghezzi è un missionario del Pime e vive ormai da 16 anni in Cambogia. “Si tratta – racconta via Skype – di un progetto nato alla fine degli anni ’90 come ostello per malati nella parrocchia centrale di Phnom Penh, proponendosi di accogliere malati che arrivavano dalle province e assistendoli quando giungevano in città. Poi è sorto un secondo ostello in una parrocchia a sud della città nel 2007 e, dopo qualche anno, il vescovo ha preso la responsabilità dei due ostelli per farli diventare un’attività diocesana a cui è stato aggiunto un medico con il compito di fare visite nelle province”. Si tratta, quindi, di un progetto articolato: un primo ostello, quello di San Luca, che serve da anamnesi e screening iniziale e dove vengono alloggiati i casi più facilmente risolvibili, alcuni dei quali rientrano a casa in giornata. I casi più gravi, invece, vengono mandati nel secondo ostello di Santa Elisabetta di Ungheria, dove sono accolti per lo più malati di cancro e malati terminali, tubercolotici, malati di gotta, epatite e diabete che richiedono degenze lunghe. Il progetto si avvale poi di un medico che fa nelle province uno screening previo per evitare che le persone siano mandate inutilmente a Phnom Penh per cure che possono essere fatte sul posto.
Il progetto ha un’utenza oggi di migliaia di pazienti l’anno e si avvale di uno staff di 28 persone, tra medici, infermieri, studenti di medicina che provvedono a coprire i turni notturni e referenti locali che tengono i contatti con i malati sul territorio andando in visita casa per casa. “Il sistema sanitario in Cambogia – spiega padre Ghezzi – è a pagamento, anche quello pubblico. Non esiste nulla di gratuito per cui una persona indigente non può permettersi nessun tipo di cura o, se lo fa, va in rovina insieme alla famiglia”.
E aggiunge: “Essere malato di cancro vuol dire vendere gli animali, i campi e purtroppo tutto questo porta inevitabilmente al fallimento di una intera vita. A questo si aggiunge una dubbia etica medica per cui, in un sistema in cui tutto è a pagamento, un malato viene visto come un potenziale cliente che fornisce soldi e non è raro che casi di tumore vengano trattati con chemioterapia anche quando la cura in alcuni casi non servirebbe a nulla e il paziente, spesso pur sapendolo, è disposto a pagare. C’è quindi un lavoro di verifica e controllo che facciamo negli ospedali, con i medici”.
La Cambogia – dice il missionario Pime – “è un Paese con forti contraddizioni che sta uscendo da una fase molto difficile”. Prima i khmer rossi, poi la dominazione vietnamita e infine la pace, se così si può chiamare, che è arrivata negli anni ’90 dopo un ventennio di guerra civile. “Il Paese – continua padre Ghezzi – si sta risollevando a fatica e negli ultimi anni con una certa velocità, quindi con delle grosse disparità tra le varie classi sociali e condizioni di povertà soprattutto nelle campagne. Incontriamo malati di tutti i generi che non possono accedere a nessun servizio sanitario e non sono in grado di rivolgersi ad un medico o ad una struttura sanitaria, non solo per problemi di indigenza ma anche per ignoranza. Quindi ci sembrava inevitabile coprire questo bisogno che nel tempo è diventato un fortissimo elemento di evangelizzazione nel segno della carità”. Il missionario conclude: “Siamo una minoranza ma una Chiesa vitale, soprattutto nel campo caritativo e dell’educazione.I fondi dell’8xmille sono importanti. Mi trovo in Cambogia da 16 anni e la Cei ci ha sempre aiutato per diversi progetti”.L’elenco è lungo, segno di una vita che irrompe da un’arida scheda informativa: c’è l’apertura e il mantenimento di un asilo, il sostentamento degli studenti, l’università cattolica che il vescovo ha fondato ed è in parte sostenuto con i fondi della Cei “senza i quali – conclude il missionario – dovremmo chiudere tantissime attività”.