Cristiani in Terra Santa: tra vocazione e missione

Padre Patton: “La spiritualità del piccolo gregge”

(Gerusalemme) “Nascere ed essere cristiani in Terra Santa è una vocazione e una missione, non una maledizione o un capriccio del destino. Nascere qui chiede di entrare dentro la spiritualità della vocazione e della sequela. È la spiritualità del piccolo gregge che non vuol dire essere svantaggiati rispetto ai cristiani che vivono in altri luoghi ma significa avere una responsabilità ancora maggiore di testimoniare la propria profonda fede in Dio”.

A parlare è il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, che nei giorni scorsi, a Gerusalemme, ha salutato uno dei primissimi gruppi di pellegrini italiani che pian piano stanno tornando in Terra Santa, grazie anche alla tenuta della tregua a Gaza e in Libano. Sono ancora lontani i grandi numeri dei pellegrinaggi del periodo antecedente il 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco terroristico di Hamas a Israele, ma un timido risveglio pare registrarsi. Inoltre, Nazareth, Betlemme e Gerusalemme sono i tre luoghi santi dove è possibile vivere anche l’esperienza dell’indulgenza giubilare. A questi si deve aggiungere il luogo del Battesimo di Gesù, in Giordania. La visita alla Custodia dei pellegrini italiani provenienti dalle diocesi di Milano, Trento, Brescia, Tortona, Piacenza e Novara, guidati da Adriana Sigilli (Diomira Travel) è stata l’occasione, per padre Patton, di parlare dei cristiani di Terra Santa, da coinvolgere sempre più all’interno dei programmi pensati per i pellegrini. Non solo visite e preghiere nei luoghi santi ma anche incontri e condivisioni con i cristiani locali che li abitano.

Importanza della presenza cristiana. “Terra Santa, Libano, Siria, Egitto, Giordania sono tutti posti, purtroppo, storicamente tormentati e funestati da conflitti che continuano anche oggi – ha detto Patton – ma sono luoghi dove è importante essere presenti come cristiani perché è importante dare una testimonianza di vita pacifica e di educazione alla pace. Una missione che i frati della Custodia portano avanti da 800 anni”. Purtroppo, ha aggiunto il frate, “negli anni le comunità cristiane di questa regione sono calate di numero a causa di conflitti e guerre. Molti sono emigrati in cerca di un futuro più stabile e sicuro. La presenza cristiana in questi paesi, che hanno accolto la nascita del cristianesimo, è ridotta a un piccolo gregge che deve continuamente trovare le motivazioni per rimanere. Questo è un tema che i cristiani locali, soprattutto i giovani, pongono alla Chiesa locale e a noi pastori. Ci chiedono: ‘Perché dobbiamo rimanere? Che motivo c’è di restare qui dove la vita è diventata quasi impossibile?’. Sono domande che ci sentiamo ripetere un po’ ovunque, da Betlemme ad Aleppo, da Gerusalemme a Nazareth”.

Essere sale e luce. La risposta maturata dal custode Patton, giunto alla fine del suo secondo mandato e prossimo a passare la staffetta a un successore, è che “nascere ed essere cristiani in Terra Santa è una vocazione e una missione”.

E la spiritualità del piccolo gregge, la conseguenza di essere un piccolo gregge – come dice Gesù nel Vangelo – è quella di “non temere”, di essere “sale e luce” cercando di “esprimere una forma di vita cristiana che sia significativa per gli altri”. Che è poi quello che le Chiese locali, a partire dalla Custodia di Terra Santa e dal Patriarcato latino di Gerusalemme, fanno attraverso le proprie istituzioni e organismi (case, scuole, ospedali…). “Una missione riconosciuta anche dai fedeli delle altre religioni – sottolinea padre Patton -. Ciò che facciamo, pensiamo alla formazione, all’educazione, all’istruzione, all’accoglienza, mira sempre a creare i presupposti per il dialogo, la convivenza e il rispetto delle diversità. Il senso della presenza cristiana qui è di tenere accesa una prospettiva diversa da quella di Caino e Abele.

Agire così ci offre la possibilità di lavorare insieme, non solo con cristiani di tutti i riti e confessioni, ma anche con musulmani ed ebrei. Non forziamo in nessun modo la conversione degli altri in senso religioso ma lavoriamo comunque per una conversione culturale, per aiutare a passare da una cultura del non riuscire a stare insieme a quella dell’accettarsi reciprocamente”. Significativa è la risposta che i giovani danno quando il custode chiede loro: “Secondo voi la vostra terra senza i cristiani sarebbe migliore o peggiore? Sarebbe peggiore”.

La qualità del gregge. Non è dunque una questione di numeri ma di “qualità” del gregge. Il custode, a riguardo, ha citato due esempi: quello della piccola comunità ecclesiale di Gaza, dove da 15 mesi si combatte una guerra tra Israele e Hamas con decine e decine di migliaia di morti e quello delle comunità dei villaggi cristiani dell’Oronte, nel Governatorato di Idlib (Siria), da dove sono arrivati i jihadisti, ex qaedisti, guidati da Al Jolani, che hanno abbattuto il regime di Bashar al Assad. Si tratta, ha spiegato, “di piccole comunità, piene di fede e di speranza, che hanno saputo concretamente affrontare le gravi difficoltà poste dalla guerra.

Molti fedeli, è vero, sono andati via ma chi è rimasto ha sperimentato un forte senso di appartenenza comunitaria. Sono piccole greggi che hanno saputo essere ‘sale e luce’ in questa situazione drammatica.

La chiesa è la casa di questi cristiani, addirittura la abitano da rifugiati, come a Gaza”. “L’odio terribile che si è sprigionato subito dopo il 7 ottobre ha creato un solco molto profondo – ha ammesso Patton – e per colmarlo ci vorranno generazioni, non certo pochi anni o qualche iniziativa di persone di buona volontà. Ci vorrà un cambio culturale e, onestamente, non so se la gente che vive qui in Terra Santa sia disponibile a questo cambio. Ciò che osservo è un fenomeno di radicalizzazione, da ambo le parti, che acuisce le distanze. In questo momento le possibilità sono due: alzare bandiera bianca e dire che stiamo perdendo tempo oppure ricordarci che questa è la nostra chiamata e quindi continuare a spenderci per la pace, il dialogo, la riconciliazione, il perdono e la convivenza. Come ci chiede Gesù”.