I Giardini tra abbandono e rinascita

Questa Terza Puntata sulla storia dei Giardini Vaticani abbraccia il periodo storico che va dal seicento alle soglie del novecento

I primi decenni del XVII secolo furono per i Giardini Vaticani estremamente importanti, sia dal punto di vista architettonico che botanico. Paolo V Borghese (1605-1621) lasciò enormi testimonianze della sua passione per l’arte. A lui si devono interventi rilevanti come il completamento della facciata della Basilica di San Pietro, la nascita di Villa Borghese di Porta Pinciana, status symbol della sua famiglia, e la costruzione di diverse residenze in Villa di Frascati. Ripristinò l’antico acquedotto di Traiano, dotando l’area urbana di Trastevere di un grande apparato idrico (Aqua Paula) che servì ad alimentare, non solo le antiche fontane, appositamente ristrutturate, ma anche le nuove che nacquero dentro il grande spazio verde della Santa Sede. Tra queste le Fontane del Bramante, del Forno o della Panetteria, degli Specchi, delle Torri o del Sacramento, dell’Aquilone o dello Scoglio e della Galera.

Per conferire maggiore decoro alla parte superiore del Cortile del Belvedere, Paolo V vi fece collocare la famosa Pigna bronzea, affiancata da due pavoni sempre in bronzo, posta su un basamento marmoreo. La Pigna, da cui deriva il nome del Cortile oggi in uso, fu poi trasformata in una fontana. Gregorio XV Ludovisi (1621-1623) si dedicò solo alla villa di famiglia, sorta nel sito degli antichi Horti Sallustiani. Urbano VIII (1624-1644), al secolo Maffeo Barberini, era appassionato di giardini ed esperto collezionista di fiori esotici e rari. Fece costruire la residenza estiva per eccellenza dei Papi, Villa di Castel Gandolfo, adornata da un’apposita area verde lussureggiante adatta alla sua salute, ed edificò la piccola e graziosa Fontana delle Api (ideata da Bernini ed eseguita da Borromini) sulla rampa che dal Cortile del Belvedere conduce ai Giardini, per canalizzare una sorgente scoperta in quel luogo. Innocenzo V Pamphilj (1644-1655) si dedicò principalmente alla residenza familiare a piazza Navona, prestando poca attenzione alla zona verdeggiante. Con Alessandro VII Chigi (1655-1667), nel 1659, il celebre Orto Botanico Vaticano, il Giardino dei Semplici, contenente fiori esotici e rari, fu sostituito da un nuovo Orto Botanico in un’area più ampia dentro il Gianicolo. I Giardini Vaticani persero così la connotazione di luogo adibito alle ricerche scientifiche, mediante lo studio delle piante. Papa Chigi non si prodigò tanto nel settore paesaggistico, al di là di interventi di spessore quali il colonnato del Bernini e la Scala Regia, concentrandosi maggiormente sulle residenze di famiglia e su Castel Gandolfo. Poche sono le novità in merito al loro sviluppo. Per prima cosa emerge una grande abbondanza di agrumi in vaso, a spalliera addossati a muri in cassettoni o piantati a terra, insieme a tante varietà diverse, come melangoli, portogalli, cedri e calabresi. Oltre ad essere annaffiati venivano sottoposti regolarmente ad operazioni di protezione, che impegnavano molto i giardinieri. Durante il Pontificato di Clemente XI Albani (1700-1721) vennero effettuati lavori di abbellimento, con la realizzazione di piedistalli in travertino, per il sostegno dei vasi per gli agrumi nel Giardino Segreto, il restauro della Casina di Pio IV con i suoi affreschi e mosaici, il rifacimento dei dipinti di Andrea Mantegna nel Palazzetto del Belvedere e l’istallazione di nuove sculture nel Cortile delle Statue. È documentata, inoltre, la presenza di piante di gelsomino, rose, mugherini, garofani, tulipani, alberi da frutto, peschi, ulivi e piante di fragole gradite ai Papi. Ogni anno, in coincidenza con la Solennità del Corpus Domini, i giardinieri raccoglievano fiori e foglie per spargerli durante la processione eucaristica. Benedetto XIII Orsini (1724-1730) preferì risiedere in Vaticano, ma frequentava assiduamente i Giardini ordinando la continua pulizia dei viali per le sue passeggiate. Sotto Benedetto XIV Lambertini (1740-1758), sull’ala orientale del Cortile del Belvedere vennero eretti dei contrafforti, mentre sul lato meridionale, in direzione dei Palazzi, venne aggiunta un’esedra in muratura con al centro un’edicola a nicchia. I Giardini risultavano ormai divisi in due settori: quello compreso tra le Mura Leonine e i bastioni verso Monte Mario, noto come “Giardino Pontificio”, e l’area agricola che occupava lo spazio compreso tra la Basilica Vaticana e la cinta muraria a confine con la città. Durante il Pontificato di Clemente XIV Ganganelli (1769-1774) nacque il “Museo Pio Clementino” nella zona superiore dei Giardini accanto al Belvedere, completato poi da Pio VI Braschi (1775-1799). Il Cortile delle Statue perse la sua conformazione rinascimentale, assumendo una forma ottagonale neoclassica per intervento dell’architetto Michelangelo Simonetti. Negli anni si puntò alla coltivazione di altri alberi da frutta, tra i quali albicocchi e fragole, e si sperimentò la presenza di ananas. Alla fine degli anni ottanta del settecento si mise mano, per la seconda volta, all’Orto Botanico nel quale fu impiegata una figura di spicco della cultura botanica dell’epoca, il reverendo Luigi Filippo Gilii. Questi sperimentò la natura e le proprietà di diversi esemplari di piante non mediterranee provenienti, in particolare, dalle Americhe e importate a Roma dalla Francia. L’esperienza dell’Orto di Gilii, tuttavia, fu breve a causa delle vicende politiche del tempo, come l’occupazione francese del 1798 che assestò un duro colpo ai Giardini Vaticani, i quali persero gran parte del loro patrimonio artistico. Prima che precipitasse la situazione politica, Pio VI diede un tocco neoclassico ad alcuni elementi dei Giardini, come la Fontana della Galera e il viale che conduceva ad essa. L’ottocento fu segnato da periodi di abbandono e poi di rifioritura delle superfici verdi, specialmente dopo la Restaurazione del 1815. Pio VII (1800-1823) provò a sanare la crisi provocata dall’invasione d’Oltralpe, tentò di arginare i danni insorti durante la Repubblica Romana (1848-49) e ricercò soluzioni atte a frenare le conseguenze negative, dovute alle perdite antecedenti alla proclamazione di Roma Capitale nel 1870. Diede alle superfici verdi un rinnovato gusto, che perdurò per tutto il XIX secolo. I Giardini, ancora divisi in una parte produttiva e in una di delizia, vennero affittati a privati, con contratti onerosi mirati a produrre reddito. Leone XII (1823-1829) “moralizzò” la Casina di Pio IV rimuovendo sculture profane, ordinò la costruzione di un’uccelliera con copertura in rame, riprendendo la tradizione venatoria del parco, in virtù anche della sua passione per la caccia, e fece allestire un allevamento di fagiani. Gregorio XVI (1831-1846) introdusse innovazioni ispirate al gusto inglese, che si stava diffondendo in Europa e a Roma in quel periodo. Esperto in scienze naturali, riadattò i muri di cinta dell’area verde, ridisegnò il Giardino Segreto di Paolo III, con l’aggiunta di aiuole regolari e di vasi di agrumi, ed espose il suo stemma. Recuperò in gran parte i terreni estesi oltre le Mura Leonine che, nel tempo, furono adibiti ad orti finalizzati a scopi di delizia. I Giardini migliorarono enormemente e furono soggetti a buona manutenzione, con continuo rinfrescamento dei boschi, prima impenetrabili, con la creazione di viali ben tracciati e ornati di marmi antichi, e con l’aggiunta di fiori e di nuove fontane. Gli anni successivi furono segnati, ancora una volta, da una situazione politica complessa. Pio IX (1846-1878) non ebbe tempo di occuparsi dei Giardini, dovendo fronteggiare le vicende legate alla seconda Repubblica Romana e alla crisi provocata dal crollo del Regime Pontificio, in seguito alla sconfitta dei francesi per mano dei difensori repubblicani nella battaglia del 30 aprile 1849. I Palazzi e i Giardini Vaticani riportarono ingenti danni, come la rottura dei vetri delle serre e il danneggiamento, in più parti, delle mura. Il Pontefice, tuttavia, affidò all’architetto Virginio Vespignani il progetto di un Monumento al Concilio Vaticano I, consistente in un’alta colonna di marmo sormontata dalla statua bronzea di San Pietro. L’opera fu collocata non sul Gianicolo, come era stato preventivato prima degli eventi del 1870, ma all’interno del Cortile della Pigna, per poi venire smembrato negli anni trenta del novecento e ricollocato nei pressi della Casa del Giardiniere. Leone XIII (1878-1903) si stabilì definitivamente in Vaticano, nutrendo un profondo amore per la natura e per la campagna romana. Dovette fronteggiare lo stato di trascuratezza nel quale versavano i Giardini. Accrebbe la rusticità dell’area verde vaticana, si dilettò di botanica, prestò cura ai fiori, raccogliendone abbastanza durante le sue passeggiate, e adornò i vigneti. L’origine campagnola di Pecci e l’amore giovanile per la caccia lo indussero alla realizzazione di un roccolo, una struttura vegetale per la caccia agli uccelli, di una nuova vaccheria e di un recinto per accogliere daini, caprioli, gazzelle, struzzi e pellicani. Durante la forzata clausura in Vaticano, in estate, Leone XIII si recava di tanto in tanto nella Casina di Pio IV, attrezzata solo per brevi soste e senza possibilità di vedute panoramiche. Nel 1890 decise di sistemarvi il grande torrione situato lungo le Mura Leonine, in posizione dominante sul resto dei Giardini, a cui fu addossato un piccolo chalet per le udienze. Alla veneranda età di 92 anni, quando iniziarono ad essere saltuarie le passeggiate nei Giardini, Pecci vi tornò per inaugurare il Monumento eretto in onore alla Madonna di Lourdes il 1° giugno 1902, che rimase incompiuto. Fece piantare, lungo un viale nei pressi del torrione e dello chalet, un filare di lecci e, poco prima di morire, tornò nello spazio verde che aveva amato in occasione di vari eventi, celebrati nella sua “casa di villeggiatura”.