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Agrumi in crisi: Governo e organizzazioni agricole cercano la cura giusta
Un “Tavolo agrumi” è stato riunito presso il Ministero per le politiche agricole e ha stabilito l’erogazione di risorse finanziarie per il ritiro di circa 4.500 tonnellate di arance oltre che dieci milioni di euro per la creazione di un fondo agrumicolo che, nell’intenzione di tutti, dovrebbe funzionare per attivare misure dal punto di vista strutturale
È in crisi uno dei tesori agroalimentari del Paese. Nonostante la qualità e la ricchezza del prodotto, l’agrumicoltura italiana perde colpi e viene battuta sui mercati dalla concorrenza. Questione di tagli produttivi ma anche di strategie commerciali, di prezzi bassi e di gusti che cambiano ma anche di scarsa informazione. Fatto sta che tutto o quasi il comparto agrumicolo non solo langue ma rischia il tracollo. Tanto che, oltre alle organizzazioni di settore, anche il Governo è corso ai ripari.
Qualche giorno fa un “Tavolo agrumi” riunito presso il Ministero per le politiche agricole ha stabilito l’erogazione di risorse finanziarie per il ritiro di circa 4.500 tonnellate di arance oltre che dieci milioni di euro per la creazione di un fondo agrumicolo che, nell’intenzione di tutti, dovrebbe funzionare per attivare misure dal punto di vista strutturale. Si pensa, per esempio, alla creazione di un catasto agrumicolo, alla individuazione e fornitura di piante indenni da malattie devastanti, al rafforzamento delle strategie per l’esportazione, ad miglior collegamento con i canali commerciali e in particolare quelli della grande distribuzione organizzata. Nelle parole del sottosegretario all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione, si colgono buone intenzioni. “Dobbiamo – ha spiegato -, restituire competitività al comparto agrumicolo attraverso un approccio realmente integrato e capace di utilizzare tutte le risorse a disposizione per gli imprenditori agrumicoli”. Che occorra fare presto e bene, lo si capisce dal quadro restituito dai produttori. Secondo Coldiretti, “una pianta di arance su tre (31%) è stata tagliata negli ultimi quindici anni, ma si sono anche verificati il dimezzamento dei limoni (-50%) e una riduzione del 18% delle piante di clementine e mandarini”. Numeri che si capiscono meglio pensando che negli ultimi 15 anni sarebbero andati persi 60mila ettari di agrumi e che ne sono rimasti 124mila, dei quali 30mila in Calabria e 71mila in Sicilia. Secondo l’ultimo AgroOsserva di Ismea (che tiene sotto controllo tutti i mercati agroalimentari), la bilancia degli scambi con l’estero dell’agrumicoltura è peggiorata “passando da 71,6 a 145 milioni di euro, con un valore delle importazioni di 281 milioni di euro (+20%) a fronte di 137 milioni di euro di export, che è calato del 16% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”. Ma cosa c’è che non va? Per i coltivatori diretti, il problema è un mercato avaro con prezzi che non riescono neanche a coprire i costi di raccolta a causa della concorrenza (sleale secondo i produttori), dei prodotti importati dall’estero, in una situazione di dumping economico, sociale ed ambientale. C’è poi un problema di pezzature piccole dei frutti, così come di regole di scambio con i mercati esteri che devono essere armonizzate per difendere con onestà i nostri agrumi e per bloccare l’arrivo di malattie (oltre che di prodotti a prezzi stracciati). Serve poi un’informazione corretta fornita al consumatore finale. Proprio su questo punto produttori (Coldiretti, Confagricoltura, Cia-Agricoltori italiani), oltre che cooperative (con l’Alleanza delle cooperative agroalimentari), concordano più che su altri.
Il “Tavolo agrumi” ha provato ad iniziare a mettere in campo qualcosa. Misure accolte tutto sommato bene (seppur con qualche distinguo), dalle organizzazioni agricole. Dalla loro attuazione dipende buona parte del futuro di un comparto che non significa solamente economia (e quindi posti di lavoro), ma anche tradizione e cultura, buona alimentazione e territorio ben gestito.