Dinamica comunitaria per la cittadinanza attiva

Nella sala Rogliano della parrocchia SS. Cuori di Gesù e Madonna di Loreto un incontro con il sociologo Marcello e il vescovo Checchinato per una presa di consapevolezza collettiva dell’impegno civico

L’incontro sulla cittadinanza attiva organizzato dall’AC della parrocchia di Loreto è stata un’occasione per riflettere, da più angolature, sull’impegno civico. Una necessità che può essere declinata da più punti di vista, probabilmente convergenti, come ha evidenziato il sociologo Giorgio Marcello, verso uno stile comunitario di impegno a servizio della collettività. Ha echeggiato più volte la parola ‘policrisi’, che in fondo dice la complessità del tempo presente, e che fa sentire i suoi riverberi tanto nel microcosmo quanto nel macrocosmo, cioè tanto nelle piccole città come la nostra, tanto nel Paese e oltre esso, in una dimensione spaziale più ampia. La risposta, difatti, è lavorare insieme per generare processi virtuosi. Prendersi cura. Avere a cuore. Il che significa superare le logiche dell’individualismo, del tirare l’acqua al proprio mulino, del profitto e della finanza sfrenata, che spesso si risolve in un’autopoiesi giuridica ed economica cieca e sregolata.

I cristiani, secondo l’insegnamento della Chiesa, sono fermento per la società. Ma, come diceva giustamente il magistrato intervenuto, cosa sta mancando perché lo siano davvero? Nel tempo presente, come (cioè in che modo) i credenti debbono rimboccarsi le maniche per incidere nell’agone pubblico? Aggiungeremmo: come farlo non perdendo la propria identità?

Le risposte, a ben vedere, possono essere tante. Il vescovo Giovanni ha anzitutto dialogato a partire dall’esperienza biblica, in particolare da quella genesiaca, per la quale “non è buono che l’uomo sia solo, voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”. Per questo Adamo afferma finalmente che “essa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa”. Ma oggi, ci chiediamo, c’é la passione per il dialogo? C’é la passione per il fratello? C’é l’anelito al bene comune che non è la somma dei beni individuali ma un tesoro più grande, cioè la garanzia di benessere per tutta la comunità?

Vittorino Andreoli, più che di benessere, parlava di “ben d’essere”. Forse è un concetto più ampio, che dà maggiore riconoscimento al concetto di salute come benessere fisico, psichico, personale, sociale. Salute significa proprio anelito al “bene di essere”. Prendersi cura significa avere a cuore il bene di essere di ciascuno, non volgere la faccia – come ha detto qualcun altro – dinanzi alle contraddizioni della storia che ci pongono dinanzi tristi immagini di povertà e di disagio. Davanti ai tanti giovani che rimangono intrappolati nella disperazione fino a compiere gesti estremi, come accaduto anche nel nostro territorio, come esercitare lo sguardo profondo e, oseremmo, salvifico?

E allora Stato sociale significa coagulare le forze civiche verso un progetto di ricezione, cura, sostegno e accompagnamento delle fragilità. Ma questo importa il non rimanere curvi su se stessi. Ricordare di essere erectus ma anche sapiens sapiens. Per i cristiani, poi, ricordare – con il Concilio – che “Cristo svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione“.