LA CAPPELLA E IL CULTO DELLA MADONNA DEL PILERIO NELLA CATTEDRALE DI COSENZA

Lo studio del professor Luigi Intrieri sulla devozione verso la Madonna del Pilerio, rappresentata in un prezioso dipinto medievale su tavola, patrona e protettrice della Città di Cosenza. La riflessione teologica di don Enzo Gabrieli.  Da domani la seconda puntata sul cartaceo e online

Nella città di Cosenza è molto diffusa la devozione verso la Madonna del Pilerio[1], rappresentata in un prezioso dipinto medievale su tavola, conservato nell’omonima cappella della Cattedrale. Secondo una diffusa tradizione questa devozione sarebbe nata nel 1576, dopo che, grazie alla fervida implorazione rivolta da un fedele alla Beatissima Vergine Maria, cessò la pestilenza che imperversava nella Città. Quasi tutti gli scrittori che si sono occupati del problema sono anche convinti che l’attuale cappella architettonica esistente nella Cattedrale sia stata costruita nel 1603.

Le due date, tuttavia, sono fondate su documenti di dubbio valore o male interpretati. Per questo motivo vi sono da risolvere quattro problemi strettamente connessi tra di loro:

1) i vari significati del termine “cappella”

2) la data dell’inizio del culto del Pilerio nella Cattedrale di Cosenza

3) la data di costruzione dell’attuale cappella architettonica

4) lo sviluppo del culto tra ‘800 e ‘900.

 

1. Le “cappelle”.

 

Il primo problema da risolvere è costituito dai vari significati del termine “cappella“. Leggendo questo termine in un documento antico si è istintivamente indotti a pensare che indichi una cappella architettonica. Invece, non sempre è così.

Il termine “cappella” indica innanzi tutto una “istituzione“. Essa può essere promossa da chiunque (singola persona, famiglia o comunità di fedeli) per praticare un culto particolare approvato dalla Chiesa, ed è canonicamente istituita con decreto del Vescovo del luogo o del Papa. Come le attuali “fondazioni” civili, ogni cappella deve essere sostenuta da una fonte di reddito chiaramente indicata. Il fondatore di una cappella canonicamente approvata può presentare al Vescovo o al Papa anche il nome del “cappellano“, cioè del sacerdote al quale affidare il servizio del culto liturgico. In passato questa presentazione poteva dar luogo al diritto di “patronato“, cioè all’obbligo dell’autorità competente di  nominare il sacerdote presentato dal “patrono”. Attualmente, il canone 565 del vigente Codice di  Diritto Canonico (promulgato il 25 gennaio 1983) ha riservato il diritto di nomina al Vescovo del luogo, salvo casi esplicitamente indicati dalle leggi canoniche o dall’autorità ecclesiastica competente.

La cappella può essere istituita in un edificio proprio, all’interno di una casa privata oppure in una chiesa. In questo ultimo caso deve essere dotata di un segno visibile (quadro o statua o altare) con o senza uno spazio proprio intorno. La Cattedrale di Cosenza offre esempi di queste caratteristiche. La cappella dell’Assunta e quella dei santi Filippo e Giacomo sono all’esterno dell’edificio principale, ma collegate direttamente con esso. Le cappelle del Pilerio e del Santissimo Sacramento, invece, sono aperte verso l’interno dell’aula principale, ma in posizione più elevata. Almeno fino al 1940, inoltre, all’interno della Cattedrale vi erano anche altre dieci cappelle, ciascuna con proprio altare addossato alla parete: quattro poste nel lato delle attuali cappelle del Pilerio e del Santissimo Sacramento e altre sei nel lato opposto[2].

Col passare del tempo l’uso del termine “cappella” per indicare uno spazio proprio si è talmente diffuso da far dimenticare il suo significato originale di istituzione. Da notare che lo stesso termine può indicare anche un gruppo di cantori (cappella musicale) o alcune particolari funzioni del Papa (cappella pontificia) o di altre autorità.

 

b) La data dell’inizio del culto del Pilerio nella Cattedrale di Cosenza.

 

Nella Biblioteca Civica di Cosenza si trova un volume manoscritto di documenti, conosciuto col nome di Platea Vecchia dell’Arcidiocesi di Cosenza. Come è noto, le Platee contengono l’inventario dei beni e dei documenti che riguardano le fonti di reddito e i relativi oneri delle istituzioni religiose che le redigevano. Queste raccolte di documenti  erano necessarie, e lo sono ancora oggi, perchè i responsabili delle istituzioni religiose (come quelli delle istituzioni civili) sono frequentemente sostituiti per ragioni di età o di trasferimento, e quindi i nuovi responsabili non possono fare a meno degli atti ufficiali che li informino adeguatamente della situazione patrimoniale e finanziaria.

Il foglio 41 della Platea vecchia, redatta nel 1541 e di volta in volta aggiornata, contiene anche l’elenco delle Cappelle della Cattedrale. A prima vista colpisce il loro numero: ben 55 cappelle divise in due parti: ventotto “da la parte del Choro[3] di Mons.or R.mo l’Arcivescovo” e ventisette “dala parte del Rev. Vicario“[4]. Questo numero elevato suggerisce che la maggioranza dei segni visibili delle cappelle erano costituiti non da uno spazio proprio con altare, ma da un semplice quadro appeso alla parete o a un pilastro.

La cappella del Pilerio è indicata dalla Platea vecchia nel numero 22 delle cappelle del lato “dala parte del Rev. Vicario” (cioè dal lato di Corso Telesio) con le seguenti parole: “la Cappella del Pileri dela Città”. Come in tutti gli altri nomi delle cappelle della Platea,il primo nome, “Pileri“, indica in forma abbreviata il santo al quale è rivolto il culto; il secondo, “dela Città“, ne indica il patrono. L’espressione “del Pileri” significa evidentemente “del quadro (o dell’altare) del Pileriodela Città” indica che la cappella era stata istituita per deliberazione dell’assemblea rappresentativa della popolazione della città di Cosenza. Questa indicazione è rilevante perché segnala che nel 1541 la devozione alla Vergine del Pilerio era sostenuta e condivisa non da una sola famiglia, ma dall’intera popolazione cittadina.

Nell’elenco della Platea Vecchia l’indicazione “della Città” è riportata anche per la cappella “del Corpus Domini” (n. 13 delle cappelle del lato dell’Arcivescovo), cioè di una cappella che per la sua denominazione sovrastava in importanza tutte le altre. Le due cappelle “dela Città” indicavano che la devozione Eucaristica e quella Mariana costituivano il centro della vita spirituale cosentina.

 

Tradizionalmente l’inizio del culto del Pilerio nella Cattedrale di Cosenza è  attribuito al 1576. Si narra, infatti, che in quell’anno, durante una pestilenza, un fedele inginocchiato davanti al quadro della Madonna appeso a un pilastro ne implorava insistentemente da Lei la cessazione. Mentre pregava apparve una macchia sulla guancia della figura dipinta e la peste cessò. La narrazione di questo fatto e la sua data sono ordinariamente attribuite a un atto rogato dal notaio Migliorella il 9 febbraio 1594 e alla “Cronaca del Frugali” del 1603-1607. Nessuno di questi due documenti, invece, riporta queste notizie. Il primo riguarda la celebrazione di alcune messe periodiche sull’altare del Pilerio per una defunta: il secondo la traslazione del quadro da un punto all’altro della Cattedrale e la sua incoronazione. Evidentemente il primo che ha indicato i due documenti non li ha letti bene, e i successivi si sono fidati della citazione senza controllarne l’esattezza.

A sua volta ladata del 1576, attribuita al miracolo della cessazione della peste, appare per la prima volta soltanto nel 1838 in uno scritto pubblicato negli atti dell’Accademia Cosentina[5]. Probabilmente questa data fu accolta perché in quell’anno era morto di peste in Roma l’arcivescovo Andrea Matteo Acquaviva di Cosenza[6]. Il più antico documento scritto sul miracolo, a noi rimasto, è invece contenuto in una lapide posta nel 1779 dal Capitolo per commemorare la collocazione di un altare nella nuova ampia e profonda cappella del Pilerio[7].

La Platea Vecchia del 1541 non solo smentisce la data del 1576, ma attesta senza ombra di dubbio che il culto del Pilerio esisteva già da tempo ed aveva una notevole importanza perché “dela Città“. A sua volta anche la lapide posta nel 1779 conferma questi fatti, perché sia pure come supposizione, “ut creditur“, attribuisce il miracolo al periodo dell’episcopato del cardinale Francesco Borgia (1499-1511), che fu nominato arcivescovo della diocesi ma non vi venne mai personalmente. La lapide, tuttavia, suggerisce una data ancora più antica, perché afferma che la cessazione era stata impetrata da un fedele davanti a una immagine che pendeva trascurata da un pilastro (“cum olim e pila neglecta penderet“).

Non si sa da quanto tempo l’immagine della Beata Vergine “pendesse“, ma è certo che, se si trovava lì, il suo culto era già iniziato da tempo. Il nome cosentino e calabrese “Piliero“, riportato nei testi più antichi, è troppo vicino nella grafia e nel significato al termine francese “Pilier“(pilastro, colonna)[8] per non lasciar supporre che il culto fosse iniziato nel periodo angioino (1282-1442). A sua volta il fatto che l’immagine era “neglecta“ (trascurata), lascia supporre che ciò potrebbe dipendere dalla fine della dominazione angioina nel 1442. Comunque sia, resta sempre evidente il fatto che il culto deve aver avuto un inizio anteriore al ‘500, e deve essere legato a un fatto che aveva impressionato il popolo per giustificare la decisione dell’assemblea cittadina di istituire la relativa cappella, Lo stile bizantino del dipinto conforta ulteriormente la tesi di una maggiore antichità[9].

 

c) La data di costruzione dell’attuale cappella architettonica.

 

Come sopra indicato, inizialmente la Cappella del Pilerio era segnalata soltanto dal quadro appeso a un pilastro. Tuttavia nella seconda metà del ‘500 al quadro fu aggiunto un altare, che perciò poteva richiedere la nomina di un cappellano stabile. Infatti il primo gennaio del 1584 il Capitolo della Cattedrale elesse il “Cappellano delli Pilieri“[10]. Nel registro degli “Atti Capitolari” questa elezione appare per la prima volta, e da allora in poi fu poi ripetuta il primo gennaio di ogni anno successivo. Il significato di questa elezione è precisato dalla relazione “ad limina“[11] consegnata nel 1590 al Papa dall’arcivescovo card. Giovanni Evangelista Pallotta (1587-1591). Questi riferì innanzi tutto di aver fatto togliere dalla Cattedrale molti altari posti intorno ai pilastri perché i celebranti si intralciavano reciprocamente durante le funzioni liturgiche[12]. Riferì poi di aver fatto spostare in un luogo più comodo il Fonte battesimale, perché era di fronte alla porta laterale nella parte centrale della chiesa e ostacolava l’ingresso dei fedeli. Aggiunse, inoltre, che nello stesso luogo, “ibidem“, vi era un altare dedicato a “S.tae Mariae del Piliero” e una confraternita del medesimo nome. I confratelli facevano celebrare quotidianamente una messa e partecipavano alle processioni indossando un sacco bianco e un cappuccio celeste[13]. Evidentemente l’altare e la confraternita erano stati creati da poco tempo, perché solo cinque anni prima, nel 1584, il Capitolo aveva nominato il Cappellano per celebrare la messa quotidiana e assistere spiritualmente i confratelli.

Il significato del termine “ibidem” usato nella relazione ad limina può suscitare il dubbio se significhi “nella stessa Cattedrale” o “di fronte alla porta laterale” dove si trovava il Fonte battesimale prima del trasferimento, ma questo dubbio è risolto dall’atto rogato dal notaio Migliorella il 9 febbraio 1594. In questo atto il Capitolo si impegnava a far celebrare periodicamente delle messe per la moglie defunta di Coriolano Molli “nell’altare del pilastro dentro la catedrali ecc(lesi)a cons(enti)na incontro la porta piccola che li mesi passati fu concessa a detto s(igno)r Coroliano suo marito da mons.r  Ill.mo Arcivescovo quale fe’ acconciare li mesi passati l’Immagine della gloriosissima vergine Maria”[14]. Questo atto descrive con esattezza la posizione della Cappella, e quindi dell’altare, nel “pilastro …  incontro la porta piccola“e anche aggiunge che l’Arcivescovo (mons. Giovanni Battista Costanzo, 1591-1617) aveva fatto “acconciare li mesi passati” l’immagine, cioè nel 1593.

Nella successiva relazione ad limina del 1600 l’arcivescovo Costanzo riferì che da poco tempo la Cattedrale era stata migliorata (auctum) da due cappelle (sacellis), una del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia e l’altra della gloriosissima Vergine Madre di Dio. A quest’ultima cappella aveva contribuito la primaria nobiltà cosentina con il trasporto della calce e dell’altro materiale da costruzione necessario[15]. Nella relazione l’Arcivescovo usò il termine “sacellum“, che ordinariamente era usato per indicare una piccola costruzione a se stante, e non utilizzò il termine “Pilerio“. Questo fatto poteva indurre a ritenere che la notizia riguardasse l’attuale cappella dell’Assunta, posta all’esterno della Cattedrale, dietro l’abside, ma la successiva attenta lettura degli altri documenti del periodo toglie ogni dubbio. Da notare che la “primaria nobilitate“, che aveva contribuito a costruire la cappella, era anche la maggior componente “dela Città“, cioè del parlamento cittadino, che, come riferisce la notizia del 1541, era la patrona della cappella del Pilerio e di quella del “Corpus Domini“, cioè del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Anche in questa occasione le due cappelle sono nominate insieme.

La relazione del 1600 descrive la natura della modifica intervenuta dopo l’atto del notaio Migliorella del 1594. Questo atto accenna a un semplice altare (probabilmente di legno) addossato a un pilastro; la relazione del 1600, invece, descrive brevemente un magnifico altare in pietra e marmo e una confraternita che lo curava. Un atto notarile rogato dal notaio Maugerio due anni dopo, il 20 giugno 1602,  dà un’idea precisa dell’altare del Pilerio. L’atto, infatti, contiene l’impegno di uno scultore di «fare una cappella dentro la madre ecclesia consentina nel loco dove al presente se ritrova la Santissima Madonna delli Peleri» e di farla con due colonne della stessa lunghezza, grossezza e qualità di «quelle della Madonna di li Peleri» da poco costruita[16]. Nell’atto è inserito il disegno dell’altare da costruire con l’indicazione dei marmi da utilizzare. L’esame di questo disegno attesta che la “cappella” già costruita del Pilerio era un altare di splendidi marmi addossato alla parete e con due colonne intorno al quadro.

L’atto notarile di Maugeri distingue due diversi luoghi: quello «dove al presente se ritrova la Santissima Madonna delli Peleri» e quello «della Madonna di li Peleri» ultimamente costruita. Lo spostamento del quadro dal primo al secondo luogo avvenne, infatti, l’anno successivo, come descrisse il canonico Frugali nella sua “Cronaca”. Innanzi tutto «a 17 Aprile 1603 si levò la Madonna delli Pileri del suo luogo dove era stata sempre, e si pose al pilastro di sotto»[17]. Pochi giorni dopo «a 3 Maggio 1603 fu levata la Madonna delli Pileri, e portata a dietro l’altar Maggiore, onde lì fu fatta una bara»[18]lo stesso giorno fu portata su le spalle da Canonici (…) innanzi la Cappella della Epifania cantando la litania». Quattro anni dopo «a 17 Aprile 1607 ad’ore venti si fece una solennissima processione (…) un Prete portava la Corona ed all’ultimo una varetta[19] portata da Canonici, ove vi era un’immagine di rilevo[20] di nostra Signora, all’ultimo Monzignore Illmo ornato di abiti pontificali, ritornati innanzi la porta della Chiesa fece la benedizione con gran numeroso popolo, e le fenestre della Città tutte apparate di drappo, tutto questo si fece per fare la corona alla Madonna delli Pileri»[21]. Il culto della Madonna del Pilerio si era ormai definitivamente affermato sia perché dell’immagine venerata era stata fatta «un’immagine di rilevo», probabilmente una statua processionale, sia perché con la sua incoronazione, effettuata dall’Arcivescovo Costanzo, aveva ricevuto il massimo riconoscimento ufficiale.

Nella sua descrizione il Frugali non usa il termine “cappella”, tuttavia le successive relazioni ad limina del 1609[22] (sempre dell’arcivescovo Costanzo) e del 1619 (dell’arcivescovo Paolo Emilio Santoro)[23] confermano l’esistenza delle due cappelle del Pilerio e del Santissimo Sacramento, l’una vicina all’altra, e la loro recente costruzione. La relazione del 1619 precisa che ambedue si trovavano a metà della Cattedrale nella medesima ala, dal lato opposto a Corso Telesio. La cappella che doveva essere costruita in base all’atto del notaio Maugeri, invece, non è mai citata negli elenchi disponibili, per cui è probabile che non sia stata realizzata.

La relazione della visita apostolica del 1628 conferma implicitamente che tutti i trentuno altari allora esistenti erano addossati alle pareti. Essa infatti ne elenca ordinatamente i nomi e dà un quadro completo della situazione. In particolare la relazione precisa preliminarmente che l’altare del S.mo Sacramento era posto nella parte centrale del lato opposto a Corso Telesio (in cornu Evangelii)[24]. Il successivo elenco inizia però dall’altare del lato di Corso Telesio (in cornu Epistulae) vicino all’altare maggiore e prosegue fino al trentunesimo altare senza indicare quando iniziano gli altari dell’altro lato, probabilmente dal sedicesimo o diciassettesimo. L’altare del Pilerio è il ventesimo di questo elenco e quello del S.mo Sacramento è il ventiduesimo; fra i due vi è l’altare dei Santi Stefano e Lorenzo[25]. Non vi è dubbio, perciò, che, fra i trentuno altari elencati, questi erano sul lato dove si trovano attualmente le due cappelle del Santissimo Sacramento e del Pilerio, cioè in Cornu Evangelii.

Per un secolo le successive relazioni ad limina non danno indicazioni precise sulle cappelle. Evidentemente non vi erano stati cambiamenti di rilievo. Nel 1730 l’arcivescovo  Vincenzo Maria d’Aragona scrisse che nel lato opposto a Corso Telesio vi erano in Cattedrale dodici cappelle, adeguatamente distribuite, fra le quali, senza indicarne il nome, quattro magnificamente ornate e approfondite nel muro; altre dodici cappelle erano distribuite nella parete del lato di Corso Telesio[26].

Nella successiva relazione ad limina del 11 dicembre 1745 l’arcivescovo Francesco Antonio Cavalcanti riferì che nella Cattedrale vi erano tre confraternite: Assunta, San Giacomo e Morti, e sedici cappelle[27], e quindi non ventiquattro, come indicato quindici anni prima dall’arcivescovo d’Aragona,

Il Liber Praebendarum, probabilmente compilato nella prima metà del ‘700, riporta testualmente: «Vi sono in essa molte Cappelle, le maggiori delle quali sono del Sagramento, di S. Maria detta del Pilerio, del Privileggiato, e della Morte. Dentro quella del Pilerio vi è un’Abbadia, sotto titolo di S. Michele Arcangelo che si conferisce a Cardinali, ed in atto si possiede dal Card. Buoncompagno; quale Badia fu fondata da Monsignore Ricciullo sin dall’anno 1633 a tempo ch’era Vescovo dell’Umbriatico»[28]. Questa descrizione è un po’ generica, perciò occorre precisare che le cappelle dell’Assunta e di San Giacomo, allora come oggi, erano nel retro della Cattedrale e al suo esterno, collegate con essa, ma ciascuna con una propria struttura architettonica.

Nel decennio 1750-1760 l’arcivescovo Michele Maria Capece Galeota (1748-1764) trasformò completamente l’interno della Cattedrale, rivestendolo secondo lo stile barocco del tempo. Purtroppo durante i lavori furono distrutti molti monumenti, e fu murato il sepolcro della regina di Francia, Isabella d’Aragona, costruito poco dopo la sua morte a Cosenza nel 1271[29]. Nella relazione del 1757 l’Arcivescovo spiegò brevemente di aver deciso la trasformazione della Cattedrale, perché essa era quasi diruta[30]. Nel relazione del 1760 riferì che la Cattedrale era stata riconsacrata il 25 giugno 1760, ma non diede indicazioni particolari sulle cappelle[31].

Le relazioni ad limina dei successivi Arcivescovi continuano a dare scarse indicazioni, ma una notizia interessante è data dalla relazione del 1795. In essa l’arcivescovo Raffaele Maria Mormile riferì che le cappelle di ambedue le pareti erano di mezza profondità, eccettuate le due dei Morti e del Pilerio che invece erano di piena e congruente profondità[32]. Questa precisazione chiarisce definitivamente che le due attuali cappelle sopraelevate, che sono le uniche cappelle ancora esistenti dopo la riforma liturgica decisa dal Concilio Vaticano II, sono state costruite con l’attuale profondità durante i lavori fatti eseguire dall’arcivescovo Capece Galeota.

Ulteriori particolari provengono da altri documenti. Sulla base dell’altare della cappella dei Morti (poi intitolata al SS.mo Sacramento nel 1943[33]) è incisa la data della sua costruzione: 1770[34], dieci anni dopo la riconsacrazione della Cattedrale. Probabilmente anche l’altare della cappella del Pilerio era stato costruito nello stesso periodo, ma la parete di fondo era ancora spoglia. Infatti il 18 settembre 1777 il notaio Bruno Sicilia rogò contiene il contratto stipulato per il suo completamento tra il Capitolo della Cattedrale e il procuratore Matteo Palmieri di Napoli. Con questo atto il Palmieri si impegnava a «edificare, costruire, e formare la Cappella sudetta del Pilerio dall’Altare in sù sino al Finestrone inclusive tutto di pietra di Marmo fino, ed a corrispondenza dell’Altare ivi sistente; così come li balaustri nel primo gradino sistente sotto il secondo arco della Cappella accennata vicino l’Altare, anche di Marmo fino»[35]. Questa descrizione conferma che l’altare era stato già posto in opera e che le opere da costruire riguardavano solo il rivestimento della parte soprastante della parete. I lavori furono effettuati con alacrità e dopo circa due anni, nel 1779, il Capitolo ne celebrò la conclusione con la lapide attualmente visibile nell’interno della cappella sul fianco del cancello che precede l’altare[36].

Le successive relazioni ad limina del ‘700 accennano solo genericamente alle cappelle. Dopo un’interruzione di venti anni, dovuto alle guerre napoleoniche, le relazioni ad limina ripresero ad essere regolarmente presentate alla Santa Sede. Nella sua prima relazione, nel 1821, l’arcivescovo Domenico Narni Mancinelli (1818-1832) informò che nelle Cappelle della Cattedrale vi erano quindici altari. Nel Coro, ben sistemato, vi era l’Altare maggiore, dedicato all’Assunta, e il Trono episcopale marmoreo[37]. Quattro solenni Cappelle, completamente ornate, emergevano sulle altre. In quella dedicata alla Beata Vergine Maria – venerata dal popolo con grande devozione e detta “de Pilerio” – era custodito con la massima cura anche il SS.mo Sacramento. Altre Cappelle erano curate da tre confraternite laicali: la prima, chiamata dal popolo “della Morte“, era intitolata alle Anime del Purgatorio; la seconda era intitolata al SS.mo nome di Maria (oggi dell’AssuntaSS. Filippo e Giacomo[38]. Come già prima accennato, queste ultime due cappelle sono all’esterno dell’edificio principale, dietro l’abside.

Nei vari lavori compiuti all’interno e all’esterno della Cattedrale dalla metà del ‘700 in poi, l’edificio aveva completamente perduto le sue caratteristiche artistiche originarie. Questo fatto urtava la sensibilità artistica del tempo, soprattutto perché il rivestimento barocco del ‘700 e le modifiche della facciata compiute da Narni Mancinelli erano in contrasto con la struttura romanica medievale. Per questo motivo si sviluppò all’interno della Città un movimento per effettuare un’operazione di totale restauro e ripristinare le strutture architettoniche del 1222. Accogliendo questo movimento, nel 1896 l’Arcivescovo Camillo Sorgente (1874-1911) diede inizio ai lavori di restauro, che durarono a lungo, e in qualche modo continuano ancora oggi. Particolarmente intensa fu la tendenza ad eliminare le cappelle addossate alle pareti interne e curate da famiglie private. In un volume, pubblicato da Cesare Minicucci nel 1933, l’Autore elenca gli altari allora addossati alle pareti, ma la cui eliminazione era prevista. Nel lato di Corso Telesio (in Cornu Epistulae) vi erano ancora gli altari di S. Filippo Neri, S.ta Maria della Neve, Immacolata, S. Elena, San Bruno, Crocifisso; nel lato opposto (in Cornu Evangelii) S. Bonifacio, S. Francesco di Paola, S. Stefano, S, Maria delle Grazie[39].

Nei primi anni dell’episcopato di mons. Aniello Calcara (1940-1961) le cappelle addossate alle pareti furono eliminate e le due cappelle del Pilerio e dei Morti furono sistemate[40]. Come riferito da mons. Narni Mancinelli nella relazione ad limina del 1821, durante i restauri della metà del ‘700 la cappella del SS. Sacramento era stata collocata  con un proprio altare all’interno della cappella del Pilerio. Per dare il massimo rilievo possibile a questa devozione, il 9 maggio 1943 l’arcivescovo Calcara trasferì il suo culto nella cappella dei Morti e le cambiò il nome in cappella del SS.mo Sacramento. Rimasero inalterate, invece, le due cappelle esterne di Maria SS.ma Assunta e dei Santi Filippo e Giacomo, popolarmente detta dei Nobili.

Per un caso fortuito contribuirono al restauro della Cattedrale anche i bombardamenti aerei che dal 28 agosto a 13 settembre 1943 colpirono la Città. Le costruzioni civili addossate all’esterno dell’abside furono irreparabilmente danneggiate, e perciò abbandonate. Le coperture, le vetrate e alcune strutture della Cattedrale furono gravemente danneggiate e subito dopo prontamente riparate per l’intervento del locale Ufficio del Genio Civile[41]. Quaranta anni dopo, nel 1984 – in preparazione della visita che il papa Giovanni Paolo II avrebbe dovuto effettuare il 6 ottobre a Cosenza  – i resti delle costruzioni civili ancora addossate alla Cattedrale furono totalmente eliminati e l’antico lato sinistro dell’abside fu reso visibile. Grazie agli stessi lavori diventarono visibili anche le pareti esterne della cappella dell’Assunta.

 

d) Lo sviluppo del culto tra ‘800 e ‘900.

 

Come già messo in evidenza, nonostante la resistenza del clero diocesano[42], l’arcivescovo Costanzo aveva dato un notevole impulso allo sviluppo del culto del Pilerio. Questo culto era stato ulteriormente accresciuto dall’arcivescovo Capece Galeota nella metà del ‘700 grazie alla costruzione della cappella profonda, sopraelevata rispetto al piano della Cattedrale e collegata ad essa con una scala. Un ulteriore incremento del culto popolare fu determinato dal tremendo terremoto del 1783, che devastò tutta la Calabria ma aveva notevolmente risparmiato la città di Cosenza. Ancora una volta intervenne l’assemblea cittadina con una deliberazione registrata dal notaio Trocini nel 1798.

 «Certifico io qui sottoscritto ordinario cancelliere di q(uest)a Ill(ustrissi)ma, e Fidelissima Città di Cosenza, qualmente nel dì sei dell’andante Mese di Luglio nel atrio del Sedile di d(ett)a, col intervento e presenza del Sig.r D. Marco Antonio Ariani Regio Gov(ernator)e e Giudice, e li Sig.ri Sindaco de Nobili D. Antonio Ferraro, e di D. Raffaele Maria Saporito eletto del Populo, non che dei Sig.ri Deputati di amendue le Piazze, con Publico, e Solenne Parlam(en)to tra gli altri punti in essi stabiliti, e conchiusi, s’attrova il Seg(uen)te [verbale] del tenore V3[43].

 Fu egualm(en)te proposto da essi Sig.ri Sindaco, ed Eletto di essere ormai più che patente la Singolare protezione di Maria SS.ma del Pilerio di questo publico Cosentino, al parlante miracolo della Liberazione della peste di q(uest)a Città, ne ha aggiunto degli altri infiniti, come a loro Sig.ri è troppo noto liberandoci nel 1783 dai duri effetti de’ continui tremuoti; ed anteriorm(en)te, e posteriorm(en)te da tante, e tante epidemie, e giornalm(en)te impartendo da quella Sacratissima immagine grazie a tutti, e spetialmente a noi Cosentini, come la giormaliera esperienza ci adimostra, onde fa’ d’uopo, anche con un atto esterno di dovuta venerazione, che q(uest)a Città corrisponda a tanti benefici, per lo che si stimerebbe opportuno che la Città medesima in Corpo, assista nel giorno della di lei festività nella Messa Cantata, ch’è solito solennizarsi nella Cappella della med(esim)a sita dentro la Chiesa Madre, anche per correre in detto giorno la solennità della Natività della Regina del Cielo, e della Terra obligando i nostri Successori in posterum, ed in Interum ad assistere alla Sacra Funz(io)ne sud(ett)a e così da tutti d(ett)i Sig.ri pari voto, et nemine discrepante fu conchiuso osservarsi inviolabilm(en)te senza potersi apportare, o produrre scusa, o eccezz(io)ne alcuna.

 Come il tutto appare da d(ett)o parlamento inserito, e registrato nel libro de colloqui che presso di me si conserva, ed a fede.

Cos(enz)a li 26 luglio 1798

 Io (-) Luigi Assisi Cancell(ier)e certifico come sopra ed in fede ho Reg(istra)to

 (Sigillo disegnato)

 C. M. Trocini[44]».

 

Questa deliberazione del Parlamento cittadino diede inizio alla celebrazione della festa annuale nel giorno 8 settembre, «solennità della Natività della Regina del Cielo», ancora oggi celebrata con grande concorso di popolo. Nel 1800 un atto del notaio Giovanni Casini descrisse i particolari delle fessure apparsi nel legno del quadro della Madonna del Pilerio durante il terremoto del 1783 e l’impegno cittadino a curarne la devozione per la protezione concessa dalla Beata Vergine[45].

L’ulteriore sviluppo del culto continuò senza soste. Con decreto del 22 marzo 1836 il papa Gregorio XVI accolse la richiesta dell’arcivescovo Lorenzo Pontillo e lo delegò a effettuare di persona l’incoronazione dell’immagine della Madonna del Pilerio, a benedire il popolo nella stessa occasione e a concedere l’indulgenza plenaria ai presenti[46]. Due anni dopo, in un discorso letto nella sede dell’Accademia Cosentina e poi pubblicato[47], il canonico Saverio Giannuzzi Savelli difese la verità storica della peste del 1576 e delle fessure apparse nella sacra immagine durante il terremoto del 1783 contro le accuse di falso che Carlo Botta[48] aveva rivolto al culto del Pilerio nella sua Storia d’Italia.

Il 12 febbraio 1854 un altro forte terremoto sconvolse la Calabria Settentrionale e ancora una volta,  nonostante i gravi danni ricevuti da vari edifici, la popolazione cosentina ringraziò la Madonna del Pilerio per la protezione accordatale. Per questo motivo, il 7 maggio dello stesso anno le autorità ecclesiastiche decisero la celebrazione di una seconda festa annuale nella ricorrenza del 12 febbraio[49].

Nel 1915 si sviluppò una forte controversia tra i Frati Minori Osservanti di San Francesco d’Assisi e il Capitolo della Cattedrale. I primi sostenevano che la Patrona della Città di Cosenza era l’Immacolata, la cui immagine era conservata nella chiesa di San Francesco d’Assisi. Nel 1656, infatti, in seguito a una pestilenza il Parlamento della Città l’aveva dichiarata Patrona di Cosenza e si era impegnato sia a difendere anche col sangue il privilegio della Concezione Immacolata di Maria SS.ma. sia  a rinnovare tale giuramento l’otto dicembre di ogni anno nella chiesa di San Francesco d’Assisi[50]. Probabilmente questa controversia oggi ci fa sorridere, perché in ogni caso la Patrona della Città restava sempre Maria SS.ma. Ma in quell’anno assunse una notevole importanza, e cessò soltanto col decreto del 18 dicembre 1915 della Sacra Congregazione dei Riti che confermò il titolo di Patrona a Maria SS. del Pilerio[51]. Nel 1989, infine, Giovanni Paolo II proclamò la Beata Vergine del Pilerio Patrona dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano[52], costituita nel 1986 in seguito  alla fusione delle due precedenti diocesi di Cosenza e di Bisignano.

Le vicende del quadro del Pilerio continuarono. Dopo essere stato accuratamente restaurato dalla dott.ssa Maria Pia Di Dario Guida per togliere le ridipinture effettuate varie volte e la polvere depositata nei secoli[53], nel febbraio del 1976 il quadro ritornò in Cattedrale. Successivamente fu esposto nel Museo nazionale in Palazzo Arnone insieme alla Croce Bizantina per difenderli dalla possibilità di furto. Riportato poi solennemente in Cattedrale il 6 settembre 2007[54], il quadro fu esposto nella cappella del SS.mo Sacramento – in attesa del completamento dei lavori di restauro nella cappella del Pilerio. E fu ricollocato nel suo altare ai primi di marzo del 2011.[55]

Il culto della Vergine del Pilerio è ancora oggi inalterato mediante la celebrazione solenne delle due feste del 12 febbraio e del 8 settembre, ma la sua storia continua. Il 25 giugno 2013, infatti, nel Palazzo Arcivescovile è stato inaugurato il Museo diocesano, e nella sala dedicata al culto mariano è stata posta una copia del quadro della Madonna del Pilerio. Su di esso sono stati incastonati preziosi ricordi della prima incoronazione del 1607: un parato d’oro, aureole e corone e uno smeraldo sul quale è inciso lo stemma  dell’Arcivescovo del tempo, mons. Giovanni Battista Costanzo[56].

[1] Su questo argomento ho già pubblicato in passato i seguenti articoli, nei quali ho esposto i risultati delle ricerche via via compiute fino allora. In qualche caso, e anche nel presente scritto, ho successivamente modificato alcune interpretazioni: L. INTRIERI, Nuove notizie sul culto della Madonna del Pilerio, ”L’Unione”, 1997, n. 2, 28 febbraio, p. 8; ID., Le prime notizie sul culto del Pilerio, “Le due città”, 2004, n. 14-15, ottobre-novembre, pp.  32-33; ID., All’origine del culto della Madonna del Pilerio, “Le due città”, 2007, n. 31, gennaio-febbraio, p. 23; ID., La costruzione della cappella del Pilerio nella Cattedrale di Cosenza. “Rogerius”, 2008, n. 1, gennaio-giugno, pp. 103-109; ID., L’antica cappella del Pilerio, “Parola di Vita”, 2012, n. 13, 25.4, p. 19.

[2] Cesare MINICUCCI, Cosenza Sacra

[3] Il “Choro” (coro) è lo spazio posto intorno all’altare principale e ordinariamente riservato al clero per le celebrazioni liturgiche.

[4] La destra e la sinistra delle sale ufficiali, civili o di culto, è sempre riferita non a chi le guarda dall’entrata principale, ma a chi le presiede, e quindi a chi le guarda dall’altare (nelle chiese) o dal seggio della presidenza (nel Parlamento, nei consigli pubblici, in un tribunale ecc.). Pertanto, nella cattedrale di Cosenza, il lato sinistro è quello che fiancheggia Corso Telesio, e il lato destro quello opposto. Ovviamente, l’Arcivescovo siede nel lato più importante, quello di destra (dove fino al 1965 si leggeva il Vangelo e perciò detto anche in cornu Evangelii), e il Vicario, se c’è, siede in quello di sinistra (dove generalmente si leggeva il brano della lettera di un Apostolo e perciò detto anche in cornu Epistulae). Per evitare confusioni userò sempre in questo scritto un’espressione riferita a “Corso Telesio”.

[5] Saverio Canonico Teologo GIANNUZZI SAVELLI, Discorso critico sopra ciò che il Sig. Carlo Botta scrive intorno ai prodigi operati in Cosenza dalla Madonna del Piliero, in Atti della Accademia Cosentina, anno 1838, vol. 1°, Migliaccio, Cosenza 1838, pp. 143-150.

[6] P. Francesco RUSSO, Storia della Arcidiocesi di Cosenza, Napoli 1958, p. 479.

[7] «D. O. M. DEIPARAE VIRGINI A PILERIO NUNCUPATAE QUOD CUM OLIM E PILA NEGLECTA PENDERET ET DIRA LUES  PER BRUTIOS GRASSARETUR MORBO IN GENIS EXTEMPLO ADPARENTE CONSENTIAM A PESTE LIBERAVERIT (FRANCESCO S. R. E. CARDINALI BORGIA UT CREDITUR ARCHEPO) DEIN SIGNUM RETINUERIT ET VISIBILE ADHUC STET CAP. CONS. BENEFICI MEMOR OBSEQUI TENAX ALTARE SELECTO MARMORE INSTRUCTUM EXORNATUMQ. ERIGI COLLOCARIQ. CENSUIT ANNO MDCCLXXIX»

[8] Nel 1981 è apparsa su un giornale cosentino (Elio VIVACQUA (p. Vittorino), Le origini del culto alla Madonna del Pilerio, “L’Unione”, a. I, n. 1, 31.3.1981, p. 4) la tesi che il titolo “Piliero“, attribuito al quadroderiva dal greco “puleròs” (guardiani delle porte della città) e indica la Madonna come “custode della porta della Città“. Come prova si adduce la vicinanza con Rossano, dove pemangono molte tracce dell’arte e della cultura bizantina. Tuttavia indipendentemente dal culto prestato a Rossano, non condivido questa tesi per Cosenza, perché, come riportato in questo paragrafo e nel successivo, vi sono vari documenti dai quali si desume che in dialetto e nei testi citati il termine  “piliero” significa senza alcun dubbio “pilastro“.

[9] Maria Pia DI DARIO GUIDA, La Madonna del Pilerio in Cosenza, in “Rivista Storica Calabrese”, IX (1988), pp. 347-360. Questo saggio descrive accuratamente le caratteristiche del dipinto e del lavoro di restauro compiuto sotto la sua direzione. Cita gli autori che fino allora si era erano occupati del tema, ma attribuisce anch’essa all’atto del Migliorella la descrizione del miracolo del 1576. Riporta anche la tesi del possibile significato di “custode della porta“, ma non prende posizione pro o contro.

[10] Archivio Storico Diocesano di Cosenza (ASD.CS), ArCap 3.11, Atti Capitolari 1533-1678, foglio non numerato, anno 1584. In questo caso il termine Pilieri indica certamente l’appellativo delle persone riunite in confraternita che ne curavano il culto.

[11] Il Concilio di Trento (1645-1663) stabilì che ogni Vescovo residenziale si recasse a Roma per consegnare personalmente una relazione sullo stato della sua diocesi. L’espressione “ad limina“, “alle soglie”, indicava l’ingresso del palazzo del Papa. Queste relazioni costituiscono una fonte importantissima per ricostruire la storia delle diocesi.

[12] «Ecclesia Metropolitana Cusentina (…) qua Deo dicata est sub invocatione Assumptionis B.ma Virginis Mariae vetus tamen admodum et male disposita, multaque reparatione indigens, pro qua iam multa necessaria praeparavi; pluribus antea altaribus circum circa columnas positis, indecenterque tentis, ac invicem celebrantes impedientibus, deformata; quae iussu meo sublata fuerunt, eorumque cultum ad Altare Maius translatum, quod in medio chori marmoreis columnis suffultum consistit» (Archivio Storico Docesano di Cosenca [ASD.CS], Relazione ad limina 1590, f. 2r. Gli originali delle relazioni ad limina sono conservate nell’Archivio Segreto Vaticano. In ASD.CS vi sono soltanto copie fotostatiche).

[13] «Erat in ea fons Baptismalis in loco tamen indecenti, et cultum Ecclesiae, ac ad eam ingressum impediens cum esset in conspectu porta, qua est a latere in medio ecclesiae, quem ad decentiorem, et commodiorum locum trasferendum meo aere mandavi. Est ibidem Altare aliud sub invocatione S.tae Mariae del Piliero, ubi est instituta confraternitas sub invocat(ion)e eiusdem S.tae Mariae, cuius confr(atr)es in eo quotidie missas celebrari faciunt, eorumque plurimi officium B. Mariae Virginis recitant, et in processionibus albo sacco induti, et capucio caelestis coloris incedunt.» (ibid., f. 3v).

[14] Archivio di Stato, Cosenza (AS.CS), Notaio Orazio Migliorella, Atto 9 febbraio 1594, ff. 63v-68r.

[15] «Archiepiscopale templum, Sanctis.mae Dei parenti in coelum assumpta sacrum, Consentinae urbis medium fere locum occupat; aedificio antiquitate magis, quam pulcritudine spectabili. Cum esset vetustate, si non omnino collapsum, at magna ex parte luxatum, sarctum tectum servatum est  – auctum quoque duobus sacellis, alteri augustissimi Eucharistiae sacramenti, altero gloriosissimae, Deiparae Virginis nomini devoto. Sacellum hoc tantum sibi Dei matris fama conciliavit officij, ac potius pietatis, ut fuerint e primaria nobilitate qui coementa ceteramque materiam ad aedificium numquam satis laudato exemplo comporta[ve]rint. Hic erunt posthac sanctorum reliquiae, quae una cum B.mae Virginis imagine propediem ubi affectum iam marmoreum aedificium effectum erit, transferentur. Additum denique est porphyreticum [rosso porpora] ex marmore suggestum cum primis elegans, atque magnificum quod ad templi ipsius commendationem mirificae facturum desiderabatur» (ASD.CS, Relazione ad limina 1600, f. 29v).

[16] «Jo Maria Bernaudo della città di Cosenza da una parte et mastro Andrea Magiore de Cosenza mastro scarpellino de l’altra parte … fare una cappella dentro la madre ecclesia consentina nel loco dove al presente se ritrova la Santissima Madonna delli Peleri» e di farla con due colonne della stessa lunghezza, grossezza e qualità di «quelle della Madonna di li Peleri novamente construtta» (AS.CS, Notaio Maugerio, Atto 20 giugno 1602, ff. 137r-138r). Anche in questo caso l’espressione “li Peleri” indica probabilmente non il quadro ma i membri della Confraternita che ne curavano il culto.

[17] L. INTRIERI, Dalla “Cronaca” del Frugali al Duemila, cit., p. 49. Nella stessa pagina, immediatamente dopo la notizia di questo spostamento, il Frugali scrisse che «a 18 Aprile 1603 si pose la Madonna secondo l’immagine di S. Maria Maggiore di Roma, che uscì dalla Chiesa, e la portò Fabrizio Maccharrone, e Antonello, tutte due Orefici, ed’ il Capitolo la condusse al luogo dove ora si ritrova, cioè al Pontone della Chiesa all’incontro alli detti orefici». Questa immagine, racchiusa in un’edicola, si trova ancora nello stesso posto dove allora fu collocata, nell’angolo esterno della Cattedrale risalendo Corso Telesio.

[18] In dialetto col nome di “bara” o “vara” è chiamata la portantina (due stanghe di legno affiancate sulle quali sono inchiodate delle tavole) utilizzata per il trasporto di oggetti pesanti e delle statue dei santi durante le processioni.

[19] Piccola vara o bara.

[20] In rilievo.

[21] L. INTRIERI, Dalla “Cronaca” del Frugali al Duemila ..,, cit., , p. 54.

[22] «In eadem Metropolitana due insignes et conspicue cappelle, quas paucas ab hinc annis edificandas curaveram, alteram ad honorem Sacratissimi Corporis Christi, alteram vero Gloriosissimae Deiparae Virginis iam constructae et complete (….) exquisitis columnis marmoreis et mischis arte compositis; et in priori per honorificum tabernaculum ubi S.mum Eucharistiae sacramentum recondit ante discessum meum construi feci, et appositum reliqui». (ASD.CS, Ad limina 1609, f. 51v)

[23] «In ipso Archiepiscopali templo (…….) et in medio Ecclesiae in eadem ala duo sunt sacella, in quorum uno sanctiss. Eucharistiae Sacramentum conservatur decenter ornatum, et immediate post hoc, aliud sequitur ss.mae Mariae semper Virginis, quod similiter, est, decens, et laici ambo sacella purgant, et impensas subministrant de mandato Archiepiscopi» (ASD.CS, Ad limina 1619, f. 68v).

[24] ASD.CS, Visita Apostolica 1628, f. 9v.

[25] ASD.CS, Visita Apostolica 1628, ff. 11r-12rv.

[26] «ultra altare maius eminentiori in loco collocatum habet a dextero latere quatuor cappellas magnifice et ornate intra muros profundatas, et constructas, et octo alia altaria in pariete apposite distributa, a sinistro vero latere alia duodecim habet Altaria, etiam in parete distributa» (ASD.CS, Ad limina 1730, f. 274v).

[27] «Ultra Altare maius sexdecim adsunt Cappellae, quarum aliquae magnificae, et perpolitae constructae» (ASD.CS, Ad Limina 1745, f. 318v).

[28] ASD.CS,  Ar.Cap.  2.1.1, p. 4.

[29] P. Francesco RUSSO, Storia della Arcidiocesi di Cosenza, cit., pp. 400-401.

[30] «Age igitur Ecclesia Metropolitana, quam pene dirutam (imo et dirui, et de novo aedificari oportuit) adinveni» (ASD.CS, Ad limina 1757, f. 361).

[31] ASD.CS, Ad limina 1760, f. 372r.

[32]  «Cappellae ex utroque latere, sunt dimidiae profunditatis, praeter duas Cappellas, quarum altera dicitur Mortis, altera erecta sub titulo B. M. V. de Pilerio, quae habent plenam, et congruentem profunditatem» (ASD.CS, Ad limina 1795, f. 82).

[33] Decreto, “Bollettino Ufficiale dell’Archidiocesi di Cosenza”, 1941, n. 6, p. 91: Inaugurazione, ibid. p. 93.

[34] In C. Minicucci (Cosenza Sacra, Edizioni Chiappetta, Cosenza 1933, p. 40) è erroneamente riportato che la data scolpita alla base dell’altare è 1771.

[35] AS.CS, Notaio Bruno Sicilia, atto 18 dicembre 1777, ff. 631v-635.

[36] Il contenuto della lapide è stato già inserito in nota (n. 7) nel paragrafo che riguarda la data d’inizio del culto del Pilerio.

[37] Dopo i restauri iniziati nel 1896 l’altare maggiore fu tolto e trasportato nella chiesa di San Pietro in Guarano, allora in corso di costruzione. A sua volto  il trono episcopale marmoreo fu ceduto alla Cattedrale di Salerno.

[38] ASD.CS, Ad limina 1821, ff. 137v-138r. In V. A. TUCCI, L’Archivio storico diocesano di Cosenza e la Relazione ad Limina di Mons. Domenico Narni Mancinelli (1821), “Rogerius” (Soriano Calabro CZ), a. XIII, n. 2, luglio-dicembre 2010, pp. 89-90, si trova la trascrizione completa di questa relazione preceduta da una introduzione. Nel 1838 un Breve Apostolico inserì l’altare del SS.mo, posto nella cappella del Pilerio, tra i sette altari della diocesi ai quali unire l’indulgenza concessa dal papa Gregorio XVI (ASD.CS, 4.2.3.35, Brevi Apostolici)

[39] Cesare MINICUCCI, Cosenza Sacra, cit., pp. 9-13.

[40] Finora non ho trovato la data precisa di tale eliminazione, ma dalla descrizione dell’architetto Vincenzo Piccini (I restauri del Duomo di Cosenza, Tip. La Provvidenza, Cosenza 1945, pp. 35-36) si ricava che dovrebbe essere avvenuta durante i lavori di restauro degli anni 1942-1945. Una delle cappelle eliminate è stata recentemente scoperta e fotografata dietro la parte della parete che si trova tra le due cappelle del Pilerio e dei Morti (oggi del SS.mo Sacramento) (Lorenzo COSCARELLA, La cappella nascosta  della Cattedrale di Cosenza, “Parola di Vita”, n. 26, 27 settembre 2012, p. 19; Alessandra PAGANO, Custode di tanti segreti. Il Duomo continua a stupire, ivi).

[41] PICCINI, I restauri del Duomo di Cosenza, cit. p. 36, nota 20.

[42] Nel racconto dello spostamento del quadro del Pilerio, effettuato il 3 maggio 1603, il Frugali annota che «la Madonna delli Pileri () fu portata su le spalle da Canonici mentre li preti della Diocesi non la volsero portare» (L. INTRIERI, Dalla “Cronaca” del Frugali al Duemila, cit., p. 49). Il comportamento del clero trova una spiegazione probabile nel fatto che ogni paese venerava la Madonna con un titolo diverso, e quindi il clero non gradiva il forte rilievo che l’Arcivescovo intendeva dare a un culto fino allora praticato solo nella Città.

[43] La sigla V3 (in realtà il secondo segno è soltanto un simbolo simile al 3) significa “videlicet” (cioè), e in questo caso indica l’inizio di un discorso.

[44] AS.CS, Notaio Carmelo Maria Trocini, Atto 3 agosto 1798, Inserto di un foglio tra i fogli 249v-250r. Questa festa è celebrata ancora oggi nel giorno 8 settembre (Natività di Maria Santissima).

[45] AS.CS, Notaio Giovanni Casini, atto 11 marzo 1800, ff. 43v-46r con inserto.

[46] AS.CS, Notaio Carmine Mazzei, atto 19.6.1836, ff. 450-451.

[47] GIANNUZZI SAVELLI, Discorso critico …, cit.

[48] Carlo BOTTA, Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1719, vol. IV, Palermo 1835, pp. 412-413.

[49] AS.CS, Notaio Carmine Mazzei, atto 7.5.1854, ff. 69r-78v. Questo atto descrive anche gli effetti del terremoto di domenica 12 febbraio 1854, carnevale, a un’ora di notte, secondo l’ora napoletana, ma ore 19 italiane. Descrive la continuazione delle scosse e l’ulteriore forte scossa di martedì 1° marzo (a ore 19 napoletane, ma 13 italiane) con  gravi danni in Città e dintorni da Piane, Figline, Dipignano ecc. fino a Rende.

[50] ASD.CS 2.2.4.9, Controversia Pilerio Immacolata. L’affermazione che la beata Vergine Maria era stata «preservata intatta da ogni macchia del peccato originale» fin dal primo istante del suo concepimento è stata oggetto di controversia fra i teologi, perché ad alcuni sembrava in contrasto con la verità di fede che attribuisce la redenzione dal peccato originale alla passione, morte e resurrezione di Gesù. I Francescani, invece, ritenevano che il contrasto non esisteva perché questo singolare privilegio era stato concesso a Maria SS.ma proprio in vista della redenzione, e perciò, come a Cosenza nel 1656, animavano positivamente le manifestazioni della popolazione. Il dogma fu poi definito da Pio IX nel 1854 con la Bolla Ineffabilis Deus.

[51] ASD.CS, 3.4.4.2. Culto del Pilerio. Decreto 18.12.1915 della Sacra Congregazione dei Riti.

[52] ASD.CS, 3.4.4.2. Culto del Pilerio, Decreto 6.3.1989 del papa Giovanni Paolo II. Per decisione del Sinodo diocesano di Cosenza del 1592 il patrono della antica diocesi di Cosenza era San Francesco di Paola.

[53] La Madonna del Pilerio, “Bollettino Ufficiale dell’Arcidiocesi di Cosenza” (Boll.CS), 1976-1977, p. II di copertina; Aperto l’anno centenario mariano, ibid., 1976-1977, p. 46-53; Chiuse le celebrazioni per il IV centenario della Madonna del Pilerio, ibid., 1976-1977, pp. 88-91.

[54] Omelia dell’Arcivescovo per il ritorno dell’Icona originale della Madonna del Pilerio, Cosenza 6 settembre 2007, “La Chiesa in Cosenza-Bisignano. Atti Ufficiali e Vita Pastorale”, n. 15, Febbraio 2007-2008, pp. 148-150.

[55]  Lorenzo COSCARELLA, Il ritorno dell’antica icona della Madonna del Pilerio nel cuore della Cattedrale, “Parola di Vita”, n. 8, 2011, p. 19.

[56] d.r., Un prezioso tassello della città, “Parola di Vita”, anno 6, n. 23, 20 giugno 2013, p. 14. La cronaca dell’inaugurazione del Museo è nei due numeri successivi del giornale (n. 24, pp. 11-14; n. 25, pp. 11-14). Nel n. 25, del 4 luglio, a p. 13, vi la descrizione della Sala del Pilerio e del “Parato festivo del quadro divino” realizzato per la prima inaugurazione del 1607.