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L’icona della Madonna del Pilerio (XII sec.) custodita e venerata nella Cattedrale di Cosenza
Uno studio sul prezioso dipinto su tavola custodito all'interno della Cattedrale di Cosenza risalente al XIII sec.
L’icona della Madonna del Pilerio attualmente custodita e venerata nella Cattedrale di Cosenza, nella cappella a lei dedicata, è un pregevole dipinto su tavola risalente al XIII sec. e misura 95 x 65 cm; eseguita in ambito mediterraneo occidentale la per le sue caratteristiche iconografiche è definita “bizantina”.
La tavola su cui è rappresentata la Vergine che allatta il Bambino[1] ha subito nel tempo vari rimaneggiamenti e danneggiamenti fino ad essere stata completamente ridipinta[2]. Solo con i restauri voluti dall’arcivescovo Mons. Enea Selis nel 1976-77 ed eseguiti presso la Sovrintendenza per i Beni culturali è stata riportata alla bellezza originale che ha permesso e, permette tuttora, una lettura approfondita della immagine scritta sul legno. L’icona infatti, fino ad allora, era considerata di scarso valore artistico e solo una mera riproduzione di una più antica icona medievale[3]
Partendo dalla figura della Vergine rappresentata possiamo affermare, confortati da autorevoli studi[4], che l’immagine è la sintesi tra una Galaktotrophousa (Colei che dona il latte) e la Kikkotissa (Vergine dal rosso manto). I due particolari pittorici dell’allattamento del Divin Bambino e del Maforiuòn (manto rosso) emergono nella loro immediatezza appena ci si accosta all’icona.
Il titolo di Pilerio, chiaramente postumo alla sua realizzazione, offre diverse interpretazioni, alcune anche apparentemente contrastanti, ma permettono di cogliere la ricchezza delle interpretazioni di tipo teologico, devozionale e pastorale date all’icona di Nostra Signora del Pilerio. La più tradizionale interpretazione del titolo è quella di Pilastro. Essa fa letteralmente riferimento alla collocazione del quadro che si trovava appeso ad una colonna[5] all’interno della chiesa Cattedrale. Questo titolo potrebbe risalire proprio al periodo di dominazione spagnola o comunque all’epoca del miracolo della peste nel 1576. Epoca nella quale l’influenza della pietas spagnola potrebbe aver portato a Cosenza la devozione per la Vergine del Pilar[6] anch’essa collocata su di una colonna. Testimonianze di questa influenza sono ancora presenti, ad esempio, nell’America latina dove forte fu la dominazione spagnola.
“Potrebbe darsi che gli spagnoli nell’intento di diffondere la devozione alla Madonna del Pilar, hanno dato il titolo di Pilerio all’icona della Madonna che si trovava nella Cattedrale appesa ad un pilastro”[7].
Un altro dato di cui tener conto è la certa influenza bizantina dovuta all’appartenenza della Città all’eparchia greca fin dal IV secolo e della vicina Rossano. Nella tradizione e nella liturgia bizantina è uso collocare la Vergine alla porta del Tempio e nei punti strategici delle Città come atto di affidamento alla “Custode” del popolo di Dio (dal greco puloròs = custode della porta).
Dai titoli più popolari a quelli più teologici, tutti integrati tra loro, nella forte devozione del popolo di Dio, emerge la ricchezza e la storia di una tavola dipinta che ha attraversato i secoli, divenendo segno di quello speciale accompagnamento della Vergine per i suoi figli, scandendo i momenti lieti e tristi dell’Arcidiocesi cosentina, nutrendone la fede, sostenendola con l’intercessione, indicando Cristo come “Via” e speranza per il credente.
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Facendoci aiutare dalla simbologia sacra e dal significato dei colori possiamo contemplare la meravigliosa bellezza dell’icona della Madonna del Pilerio.
L’icona è avvolta da una lice tutta particolare che emerge dallo sfondo oro che simboleggia la gloria di Dio che tutto abbraccia. La grazia trasfigura la creatura nella quale “abita l’Altissimo”. Tutte le icone, ma particolarmente quelle della Madre di Dio, sono accompagnate dall’oro che indica il progetto e l’iniziativa di Dio, la gloria scende e prende possesso della tenda. “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). Nell’iconografia esso è sempre richiamo dall’irraggiamento divino.
Anche il rosso del velo che scende dal capo e il porpora dell’abito di cui Maria è rivestita sono simboli della divinità che “avvolge” la giovane di Nazaret e ne coinvolge mente e cuore. Il progetto di Dio sulla creatura è sempre integrale. Tocca affetti e sentimenti, volontà e scelte nella creatura che dice il suo “Si” al Signore. “Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua Parola” (Lc 1,38). Il colore porpora dell’abito richiama anche alla dimensione sacerdotale e regale ma soprattutto alla “potenza dell’Altissimo” di cui l’angelo annunziante le parla quando le propone il grande progetto della salvezza e della maternità. Maria canterà con la vita la grandezza della potenza divina manifestata nella storia della salvezza e nella concreta storia del popolo di Israele: “Ha spiegato la potenza del suo braccio…ha soccorso Israele suo servo… come aveva promesso ai nostri padri” (Lc 1, 51a. 54a. 55a.). Il velo rosso che scende sulla spalla vuole significare che la Vergine Maria è stata “avvolta” dall’alto e ricoperta dalla grazia. “Ave Maria, piena di Grazia” (Lc 1,28). E’ la kecharitoméne, la piena di Dio.
Il marrone della veste della vergine è richiamo della sua umanità, mentre l’altra parte di manto di colore blu che avvolge la donna, avvolge anche gli abiti, indica il privilegiato rapporto con Dio di questa creatura. Esso è quasi tessuto insieme per indicare “la predilezione” di Maria. “Non temere perché hai trovato grazia presso Dio” (Lc 1,30).
È la densità della materia, rappresenta la creatura ma che è bruna perché esposta, irradiata da Cristo sole della vita. Le tonalità brune per tutto ciò che è terrestre ne indica non solo le caratteristiche ma anche il loro essere “irradiate”. Qui si innesta la tradizione delle “madonne nere” che sono spesso più che inculturazione pregnante messaggio teologico.
Base di ogni colore che è in tutta la tavola esprime la purezza, l’immacolato concepimento della Vergine. Esso si intravede sulla fronte nella manica del braccio sinistro e dovrebbe essere l’abito che ella indossa sotto tutti gli altri. “La beatissima vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia di peccato originale”[8].
Una bella sintesi teologica con l’aiuto dei simboli e dei colori ci fa dire di Maria, guardando questa icona che “la Madonna è una creatura umana (marrone della veste), concepita senza peccato (bianco della prima veste), verso la quale Dio benevolmente si è chinato (celeste del manto) e l’ha riempita della sua grazia (rosso del velo), affinché doni al mondo Cristo il Salvatore”[9].
Altri elementi che ornano la Vergine
– Tre stelle, secondo l’iconografia classica bizantina, sono collocate una sulla fronte e due ai lati sulle spalle. Esse indicano che Maria è inabitata dalla Trinità ma anche la sua verginità prima, durante e dopo il parto.
– Medaglioni dorati intorno al capo della Vergine sono undici. Rappresentano la Chiesa apostolica senza l’apostolo Giuda che ha tradito il Signore. Questo particolare stellario indica Maria presente nel cenacolo di Gerusalemme, accanto agli apostoli, proprio nei giorni e nelle ore della Pasqua fino alla Pentecoste.
– Le scritte in latino (MR e DOMINI) collocate rispettivamente a sinistra e a destra dell’immagine come prescritto dal Concilio di Nicea (787) indicano la maternità divina di Maria.
– L’aureola sul capo del Divino Bambino contrassegnato dalla croce è un chiaro richiamo alla Passione di Cristo e al suo regnare glorioso. Il mistero dell’Incarnazione infatti è strettamente collegato con quello della Redenzione.
La Vergine Maria regge il Bambino tra le braccia e Gesù è seduto delicatamente sulla mano destra che diventa per lui quasi un trono. Un drappo rosso posto tra le mani della Madonna richiama la sua signoria, la sua potestà regale e sacerdotale, la sua divinità. Non è escluso anche il richiamo alla Passione. Gesù prende il latte dalla mammella che diventa un particolare iconografico molto evidente: c’è una stretta tensione tra Cristo che è capo della Chiesa e il suo corpo mistico di cui Maria ne è icone perfetta. Alcuni studiosi vedono proprio nella posizione del collo piegata verso il Bambino questa strettissima dipendenza e questo stretto rapporto tra Gesù e Maria, tra Cristo e la Chiesa. L’iconografia del seno si chiarisce ancora di più se la Vergine è colta nella dimensione di nutrice (Colei che nutre, imbandisce il banchetto, la mensa) dei figli fino a diventare, come la invoca la Chiesa ortodossa, trapeza evidente richiamo alla mensa eucaristica. Il Bambino è rappresentato con due addomi, strettamente legati da una fascia rossa intrecciata, ad indicare che le due nature umana e divina sono unite in Cristo. Nella piccola fascia rossa intrecciata alcuni hanno intravisto quasi un prolungamento del cordone ombelicale che unisce il figlio (divino) alla Vergine (madre) per esprimere visivamente il titolo di Madre di Dio (Theotòkos) inciso sulla tavola[10].
Copre il Bambino un trasparente velo bianco che ricorda la divina purezza di Cristo agnello senza macchia che toglie i peccati del mondo e riscatta con l’effusione del suo sangue l’intera umanità dalla schiavitù, dai peccati e dalla morte. Tale velo richiama anche l’atto epifanico di Dio che in Cristo si è rivelato: “Chi ha visto me ha visto anche il Padre” (Gv 14,7). La Vergine come in ogni antica icona indica con la mano sinistra il figlio, si fa odigitria (indica la Via) a tutti coloro che guardando la sua immagine potrebbero cadere nella tentazione di fermare lo sguardo su di lei. Sembra riecheggiare in questo gesto la frase di Maria a Cana: “Fate tutto quello che Egli vi dirà” (Gv 2,5). Le dita delle mani indicano anche alcune verità di fede: le tre dita della mano destra richiamano il mistero trinitario e ancora il parto verginale di Maria toccata dal mistero dell’Incarnazione; le due dita della mano sinistra invece indicano la doppia natura umana e divina di Cristo.
Un ultimo segno che appare sulla tavola è la macchia scura sul volto della Vergine. È il segno della peste di cui Maria si è caricata per liberare miracolosamente la città di Cosenza afflitta dal terribile mordo e di cui storia e devozione popolare sono ancora testimoni.
[1] G. Leone
[2] M. P. Di Dario, Icona di Calabria,
[3] A. Frangipane, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, II – Calabria, Roma 1933, p. 121
[4] G. Leone, Icone della “Theotokos” in Calabria, Ed. Vivarium 1990
[5] Secondo quanto testimoniato da una lapide posta in una cappella del Pilerio, l’icona era appesa ad una colonna abbandonata (a pila neglecta penderet), presumibilmente collocata accanto alla porta piccola, come riferisce M. Borretti in La cattedrale di Cosenza, monografia storico-artistica, del 1933 dove a p. 17 riferisce di un atto notarile del 29 gennaio 1594 da cui si rilevava che il signor Coriolano Mollo, napoletano, affidava al capitolo cosentino una elemosina di 3 ducati l’anno per l’anniversario di messe di suffragio della moglie Camilla di cui ella e la sua famiglia erano devoti.
[6] La Vergine del Pilar è molto venerata a Saragozza, è patrona della Spagna ed è venerata il 12 ottobre. Secondo una a tradizione che dovrebbe risalire al 40 d. C., la Vergine apparendo nei pressi del fiume Ebro all’Apostolo Giacomo addolorato per gli scarsi risultati della sua predicazione apostolica gli consegnò un pilastro, chiedendogli di edificare una chiesa in suo onore. Il pilastro fu collocato da San Giacomo nello stesso punto nel quale si trova oggi, e che nonostante la chiesa abbia subito vari cambiamenti e vicissitudini, tra cui un incendio, il pilastro si sia conservato nei secoli. Si tratta di una colonna di diaspro, attualmente ricoperta completamente di bronzo ed argento; solo nella parte posteriore della cappella vi è un’apertura (oculo) che permette di toccare, baciare e venerare la colonna originale.
[7] G. Tuoto, La Madonna del Pilerio, Legenda, Cosenza 2001 p. 37
[8] Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus, dogma dell’Immacolata, 8 dicembre 1854
[9] G.Tuoto, La Madonna del Pilerio, Leggenda, Cosenza 2001, p. 32
[10] Il Concilio di Efeso nel 1431 ha proclamato che Maria è Madre di Dio per il concepimento umano del figlio di Dio nel suo seno. Non perché ha generato la natura del Verbo ma poiché da Lei è nato il santo corpo di Cristo Gesù.