Ai comunicatori: trasfigurare, non sfigurare la realtà

Domenico Pompili: "Con Francesco ritrovato lo sguardo di umana simpatia che non ingaggia una battaglia culturale contro il mondo, ma si pone in atteggiamento di comprensione". Dom Bernardo Gianni: "Riproporre alla Chiesa e alla nostra contemporaneità la prospettiva alternativa di umanesimo, in cui Gesù Cristo si fa prossimo all’umanità". Chiara Giaccardi: "Farci promotori di una comunicazione come benedizione"

Mettersi in gioco per affermare un umanesimo cristiano, che renda l’uomo “veramente degno di questo nome”. Un umanesimo inclusivo, che non rifugga le fragilità connaturate all’essere umano. È il contributo che una comunicazione degna di questo nome può offrire al prossimo Convegno ecclesiale nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015). A riflettere sull’argomento, a Roma, i presidenti e delegati delle 29 associazioni aderenti al Copercom (Coordinamento delle associazioni per la comunicazione), con il presidente del Copercom, Domenico Delle Foglie. Accompagnati da dom Bernardo Gianni, monaco benedettino e priore dell’Abbazia di San Miniato a Monte (Firenze), e Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media all’Università Cattolica di Milano, entrambi membri della giunta del Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale. Un nuovo umanesimo per un mondo migliore. “Amare il mondo vuol dire provare un’incontenibile simpatia per tutto ciò che appartiene alla storia”, ha esordito monsignor Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei, evidenziando come nel pontificato di papa Francesco si sia “ritrovato questo sguardo di umana simpatia che non ingaggia una ‘battaglia culturale’ contro il mondo, ma si pone in un atteggiamento di comprensione”, senza abbandonare “la via del discernimento evangelico”, eppure ammettendo “una fragilità e il riconoscimento della complessità del reale, rispetto a cui sia la società sia la Chiesa devono imparare ad accettare una domanda in più e una risposta in meno per essere credibili”. Ed è questa la strada da percorrere verso Firenze, memori del Concilio Vaticano II, che “arrivando a cogliere un’accezione molto bella e preziosa dell’umanesimo”, ha evidenziato dom Gianni, “riconosce la necessità di essere testimoni della nascita di un nuovo umanesimo, per costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia”. Una grande occasione. Qui, ha aggiunto dom Gianni, “si coglie il dato essenziale che sta al cuore della visione di Chiesa di papa Francesco, sempre più attenta ai destini dell’umanità”: la sfida di Firenze è “riproporre alla Chiesa e alla nostra contemporaneità questa prospettiva alternativa di umanesimo, in cui Gesù Cristo si fa prossimo all’umanità”. “Ribadire la centralità di Cristo” non vuol dire “disinteressarsi” di quanto ci circonda, ma al contrario sperimentare sempre “un dialogo con il mondo, a partire da questa centralità”. Viviamo in un’epoca – ha annotato – nella quale “parlare di umanesimo è sempre più difficile”, una contemporaneità “che ha dissolto l’uomo, del quale non resta niente perché da niente deriva”, e “se togliamo l’aggancio cristologico rischiamo di ridurre l’umanesimo a semplice etica”. Ecco, dunque, che Firenze “può essere una grande occasione in cui la Chiesa ripropone alla nostra umanità una nuova stagione fondata in Cristo”. In ascolto del mondo. Nel frattempo, l’impegno verso il Convegno ecclesiale è “mettersi in ascolto di ciò che il mondo ha da dire”, evidenziando “ciò che di bello c’è nella realtà che ci circonda”, ha spiegato Chiara Giaccardi, che del sito www.firenze2015.it è responsabile (insieme al direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Cei). E il sito è ricco di esperienze dal territorio che “mettono in luce la dimensione plurale e vissuta dell’umanesimo”, quella “bellezza dell’umano” che “esiste”, pur essendo “mescolata al peccato, alla fragilità, all’errore”. Perché “in un’epoca in cui c’è un’esaltazione, un mito della potenza”, rispetto alla quale “l’essere umano concreto” sembra essere “un limite”, “la Chiesa – ha osservato – ha il compito culturale di contrastare questo nuovo dualismo di svalutazione della concretezza e dell’umanità nel nome di una potenza che è distruttiva se lasciata a se stessa”. “Solo uno sguardo illuminato dalla fede – ha spiegato – può non far vergognare del limite. Il limite è la nostra porta aperta agli altri”. Trasfigurare la realtà. Papa Francesco, nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2014, scrive che “chi comunica si fa prossimo”, sul modello del buon samaritano. Bisogna “mettersi in gioco”, ha esortato dom Gianni. “Farci promotori di una comunicazione come benedizione, capace di trasfigurare anziché sfigurare la realtà”, ha rimarcato Giaccardi, mettendo in evidenza come il prossimo Convegno ecclesiale avvenga “nella fase del web 2.0 maturo, territorio digitale in cui la dimensione ‘social’ si è affermata in maniera molto forte”. Una condizione che, ad esempio, non esisteva dieci anni fa, al tempo del precedente Convegno ecclesiale di Verona. Pertanto, “abbiamo la responsabilità di valorizzare questa condizione”, ha aggiunto la sociologa, vedendo nella rete dei “territori esistenziali” da frequentare non “per raggiungere più persone in termini quantitativi”, ma perché non si può fare a meno di “abitarli”. Anche qui, oggi, vive l’uomo.