Primo Piano
Baumann ha vinto. Noi sconfitti ma…
La "modernità liquida" avanza progressivamente e in nome dell'individualismo rottama la relazione, la convivenza, il matrimonio e la famiglia. Forse per i cristiani è giunto il momento di rivendicare per sé il patrimonio civile del matrimonio. In fondo non sarebbe che una pagina, moderna, della resistenza dell'ethos cristiano. Che nessuna legge dell'uomo può schiacciare e spazzare via.
Il divorzio breve sancisce in Italia la vittoria della “società liquida”, in cui anche l’amore è liquido come lo è la relazione, come lo sono la convivenza e il matrimonio. È la vittoria di Zygmunt Bauman, il sociologo polacco di origini ebraiche, padre della “modernità liquida”. È la sconfitta (meglio riconoscerla subito) di quanti, noi compresi, ci siamo consapevolmente attardati a considerare il valore della nostra antropologia come universalmente riconosciuto e condiviso. Non avevamo capito che la profezia di Bauman non si proiettava su un futuro lontano, ma era lì a portata di anni e di giorni. Ora anche l’Italia ha il “suo” divorzio breve, celebrato come una vittoria della laicità, del riformismo e della modernità. O se non altro, come un semplice mettersi al passo dei tempi e di quell’Europa maestra nello sbriciolare le relazioni, nell’assecondare ogni forma di individualismo in nome dei “nuovi” diritti (percepiti e divenuti tali sotto la spinta del desiderio). Ci soffermiamo un istante sulle parole profetiche di Bauman: “La relazione tra due persone segue il modello dello shopping e non chiede altro che le capacità di un consumatore medio, moderatamente esperto. Al pari di altri prodotti di consumo, è fatta per essere consumata sul posto (non richiede addestramento ulteriore o una preparazione prolungata) ed essere usata una sola volta. Innanzitutto, la sua essenza è quella di potersene disfare senza problemi. Se ritenute scadenti o non di piena soddisfazione le merci possono essere sostituite con altri prodotti che si spera più soddisfacenti […] ma anche se mantengono le promesse, nessuno si aspetta da esse che durino a lungo; dopo tutto, automobili, computer o telefoni cellulari in perfetto stato e ancora funzionanti vengono gettati via senza troppo rammarico nel momento stesso in cui le loro versioni nuove e aggiornate giungono nei negozi e divengono l’ultimo grido. Perché mai le relazioni dovrebbero fare eccezione alla regola?”. Ecco la domanda alla quale tentare di dare una risposta. Ma a chi spetta questa risposta? Non ci si venga a dire che spetta solo ai credenti. Piuttosto, ci piacerebbe ascoltare la risposta di tutti i promotori, parlamentari e non, della legge sul divorzio breve. Chiediamo troppo? Un legislatore deve solo adeguarsi con le leggi alle conseguenze sociali delle scelte individuali, o dovrebbe scavare nelle motivazioni che causano quelle conseguenze? Forse chiediamo troppo a chi insegue la modernità come è stata raccontata dai soliti autori delle fiction tv, da alcuni cattivi maestri in servizio permanente effettivo e da una presunta intellighenzia (di sinistra o destra non ha alcuna importanza) che ha deciso di coniugare le più alte dosi di liberismo con il massimo dell’individualismo deresponsabilizzante. Ed ecco il risultato: una legge che consente, anche in barba agli eventuali figli, di sciogliere il vincolo matrimoniale (civile s’intende) in sei mesi. Perché i tempi moderni richiedono velocità decisionale, secondo il mantra politico del momento. Velocità in politica e velocità nella vita di ogni giorno. Arrivati a questo punto, in attesa di un’altra pagina della contrattualistica come gli annunciati “accordi prematrimoniali”, non sarebbe meglio per la società civile (e politica) gettare via la maschera e rinunciare definitivamente all’istituto del matrimonio? E di conseguenza rivisitare in profondità il cosiddetto diritto di famiglia, partendo proprio dal trionfo dell’individualismo? Ovviamente siamo certi che non accadrà, perché è più comodo conservare il simulacro del matrimonio e depotenziarlo progressivamente con le leggi e con la cattiva narrazione. Sino a renderlo impalpabile. In questo contesto giuridico e sociale friabile, cresce la responsabilità dei credenti nei confronti del matrimonio. Cosa impedisce che il matrimonio (anche nella sua dimensione civile) diventi un patrimonio precipuo dei credenti? Siamo sinceri, non è già così nei fatti? Sappiamo bene che una visione del genere può apparire rivoluzionaria, ma non è stato forse il cristianesimo a incardinare i valori del matrimonio e della famiglia nel mondo moderno? Poiché la cultura della post-modernità li ha rottamati, non sarà nostro il compito di conservarne il seme? In fondo non sarebbe che una pagina, moderna, della resistenza dell’ethos cristiano. Che nessuna legge dell’uomo può schiacciare e spazzare via. In un futuro neppure tanto remoto, forse si chiederà, a proposito dei cristiani: da cosa li riconoscerete? Anche dal fatto che hanno scelto il matrimonio e hanno accettato il rischio di mettere al mondo i figli. Pensateci, gente, pensateci.