Un no deciso alla ricerca scientifica sugli embrioni

Importante pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. basta semplicemente riconoscere che l'embrione è ontologicamente soggetto di diritto.

E’ possibile salvaguardare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, cristallizzato nell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, impedendo ad una donna di donare gli embrioni ottenuti tramite fecondazione in vitro per fini di ricerca scientifica? A questo interrogativo ha risposto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pronunciandosi sul caso Parrillo contro Italia. Ripercorriamo il fatto: nel 2002 la signora Parrillo e il suo compagno, attraverso la tecnica della fecondazione in vitro, generavano 5 embrioni crioconservati presso una clinica privata di Roma. Nel 2003 il compagno della Parrillo perdeva la vita nell’attentato di Nassiriya. Colpita dal lutto, non volendo procedere all’impianto e alla successiva gravidanza, la Parrillo chiedeva di poter donare gli embrioni per fini di ricerca scientifica, in particolare per contribuire a scoprire nuovi trattamenti per malattie di difficile cura. Scontrandosi con il divieto posto dall’articolo 13 della legge 40/2004, attualmente vigente in Italia, di effettuare esperimenti su embrioni umani,  la signora Parrillo decideva di ricorrere alla CEDU investendola di una pronuncia in merito al suddetto divieto,  ritenendo quest’ultimo lesivo del diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte con sentenza “ha dichiarato, con 16 voti a 1, che non c’è stata nessuna violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Inoltre la Corte ha sottolineato l’assenza di prova circa la volontà del compagno della Parrillo di donare gli embrioni. Ancora una volta tramite una sentenza della CEDU viene in rilievo il delicato rapporto tra le nuove tecniche di procreazione e l’etica, più in particolare il bilanciamento tra i diritti dell’embrione e quello dei già nati e la relazione dialogica tra questi stessi diritti e il consenso informato prestato al momento della PMA. Mancando un indirizzo unitario sulla questione a livello europeo la Corte ha lasciato all’Italia un ampio margine di azione in questo campo, ma ha concluso sentenziando che il divieto di utilizzare gli embrioni per la ricerca scientifica è necessario in una società democratica. Un punto di approdo non scontato che traccia una strada che diventa sempre più percorribile: dare una tutela crescente all’embrione che è sì un concepito non ancora nato, ma non per questo un mero oggetto di diritto. Giova ricordare infatti che l’istituto della donazione, invocato nel ricorso, è stato pensato dal legislatore come mezzo contrattuale con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto. Applicare questa fattispecie all’embrione significherebbe considerare la vita di un soggetto terzo, l’embrione appunto, alla stregua di un diritto del quale i genitori possono liberamente disporre. Una deriva pericolosa che va arginata non solo attraverso interventi giurisprudenziali, ma ripensando la legge 40/2004 nell’ottica di una protezione effettiva del più debole: l’embrione. Senza grandi sforzi ermeneutici, occorre solo riconoscere che ontologicamente l’embrione è un soggetto di diritto.