Conflitti dimenticati, sono 21 nel mondo

Rapporto Caritas. Tragedie immense ma solo 1 giovane su 2 sa che esistono

Negli anni della pandemia sono 21 le guerre ad alta intensità nel mondo nel 2020, 6 in più rispetto all’anno precedente, quando erano 15. Tra le più gravi lo Yemen, la Siria, il Sud Sudan. Con il conflitto nella regione etiopica del Tigray salgono a 22 nel 2021. Comprendendo tutte le crisi e escalation violente si calcolano 359 conflitti nel 2020, solo uno in più rispetto al 2019. L’allarme è invece sull’aumento delle persone che hanno bisogno di aiuti umanitari, il 40% in più tra 2020 e 2021, pari a  235 milioni di persone coinvolte. Le agenzia delle Nazioni Unite, la comunità internazionale e l’Ue hanno dichiarato di non riuscire a raggiungere più di 165 milioni di persone in 56 Paesi del mondo, quindi 75 milioni restano scoperte dagli aiuti istituzionali. A compensare il vuoto rimane solo la società civile e organizzazioni come la Caritas e le Ong. Inoltre sono più che raddoppiati in 10 anni i rifugiati e gli sfollati, raggiungendo la cifra record di 82,4 milioni. Oltre ai conflitti, le cause sono crisi profonde come quella del Venezuela. Sono alcuni dei dati che emergono dal Report di Caritas italiana su disuguaglianze e conflitti dimenticati intitolato “Falsi equilibri”, presentato oggi a Roma.

Il fallimento degli aiuti umanitari. “L’aumento di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari è un dato molto preoccupante – spiega al Sir Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana e curatore del rapporto insieme a Walter Nanni -. Non riuscire nemmeno a portare il cibo nei campi profughi è una dichiarazione di fallimento”. Il rapporto pone l’accento sulle disuguaglianze e sul Covid-19, “che non ha causato conflitti – precisa Beccegato – ma può averli aggravati, perché alcuni governi hanno strumentalizzato la situazione. Però in altri casi ci sono stati accordi per il cessate il fuoco”.

E’ un quadro mondiale a varie tinte. Certo la pandemia, prosegue, “ha segnato un declino delle democrazie”. Secondo vari metodi di rivelazione nel 70% dei Paesi del mondo “la democrazia è entrata in recessione”: “Il Covid viene usato per limitare le proteste e reprimere le libertà e il dissenso”. Sono però aumentate  povertà e fame che causano instabilità e in alcune nazioni ci si trova di fronte ad una sorta di “apartheid vaccinali”, dove vengono favoriti alcuni gruppi a cui vengono forniti vaccini piuttosto che ad altri.

Le disuguaglianze sociali. Altro elemento preso in considerazione dalla ricerca sono le disuguaglianze: “Tutti gli indicatori sono in aumento – spiega Beccegato -.  Le disuguaglianze che più provocano guerre e violenze sono quelle di tipo orizzontali tra gruppi che mirano al potere”. Lo studio esamina questo mix letale che cause le guerre: povertà assoluta, disuguaglianze, recessione, dipendenza da poche fonti di reddito, accaparramento delle risorse naturali da parte di altri Paesi. Tra gli altri fattori spiegano l’enorme crescita dei bisogni umanitari ci sono i cambiamenti climatici e il legame della finanza con la guerra: ad esempio, puntualizza, “le speculazioni finanziarie sui prezzi del cibo, che si stanno ripetendo in queste settimane, causano povertà e poi di conseguenza guerre”. A preoccupare è anche la produzione e il commercio di armi. “Chi ha più armi in mano va a fare la guerra e questo spiega il proliferare dei conflitti”, dice il vicedirettore di Caritas italiana.

Solo 1 giovane su 2 sa citare una guerra. Una sezione del rapporto è dedicata alla conoscenza dei conflitti da parte dei giovani, con rilevazioni a campione sulla popolazione italiana, nelle scuole superiori, e tra i giovani Ac. Il dato è sconfortante: 1 giovane su 2  non sa citare alcuna guerra combattuta negli ultimi 5 anni, con una scarsissima conoscenza del quadro geopolitico. “Questo è dovuto ad una cattiva informazione – afferma Beccegato –. In Italia si parla solo della pandemia e non di povertà, guerre e violenze”. Di positivo dal report emerge che “siamo un popolo pacifista che chiede di risolvere i conflitti con la diplomazia e la mediazione politica, che riconosce il ruolo del Papa, della Chiesa e nel no profit nella difesa dei diritti e contro le guerre”. “Le politiche che lottano contro la fame e le cause strutturali della povertà – conclude – sono quelle che promuovono la pace”.