La Mappa di Madaba in Giordania

Il mosaico è composto da tessere policrome che mostrano l’itinerario per raggiungere Gerusalemme

La città di Madaba in Giordania, a 35 km a sud-ovest di Amman, è un importante punto di riferimento per il Cristianesimo. Situata nei pressi del Monte Nebo, dove si ritiene che Mosè ebbe la visione della Terra Promessa, e poco distante dal Mar Morto, vanta una lunga storia di convivenza pacifica tra le fedi araba e greco-ortodossa. Il sito è ricco di monumenti di inestimabile valore e di opere d’arte, risalenti al periodo tra il I secolo a.C. e il VII secolo d.C. Ricordiamo, tra le tante cose, il museo archeologico con le sue ceramiche, le sue monete e i suoi mosaici policromi a tema floreale, animale e mitologico, che raccontano la storia millenaria di questa località, la Chiesa della Vergine e degli Apostoli, con i suoi meravigliosi mosaici a tema animale, e la Chiesa della Decapitazione di San Giovanni Battista con la sua torre campanaria, la sua cripta sotterranea con cisterne e le sue antiche grotte. Un discorso a parte merita la Chiesa di San Giorgio, uno degli edifici di culto più belli di tutta la Giordania, costruito da alcuni monaci greco-ortodossi su un precedente edificio bizantino. Presenta una facciata in pietra con tre arcate, possiede colonne riccamente decorate e ha interni sontuosi, con tombe di epoche diverse e icone ortodosse molto pregiate.

Madaba è citata nelle Sacre Scritture come una delle terre, spartite fra le dodici tribù di Israele al tempo di Erode. Il suo nome è riportato anche sulla “Stele di Mesha”, una pietra in basalto nero recante un’iscrizione del IX secolo a.C., fatta incidere dal re Mesha dei Moabiti dopo la vittoria sugli Israeliti. La città fu sotto l’influenza dei Greci di Alessandro Magno, dei Seleucidi, degli Ammoniti, degli Israeliti, dei Nabatei e dei Romani. Con l’affermazione del Cristianesimo, Madaba iniziò ad accrescere la sua importanza diventando sede episcopale, ma fu solo sotto i Bizantini e, in seguito, sotto Giustiniano I che visse il periodo di massima prosperità. I Bizantini si occuparono della costruzione di edifici di culto e di palazzi amministrativi, adornati con mosaici tanto raffinati da conferire al luogo l’appellativo di Città dei Mosaici. Dopo la conquista da parte dei Persiani sasanidi nel 614, Madaba tornò prima in mano ai Bizantini e poi fu controllata dagli Arabi che, agli inizi dell’VIII secolo, la saccheggiarono provocando la perdita di molti mosaici. Un violento sisma nel 746 devastò il territorio che, in un secondo momento, venne ricostruito da un gruppo di cristiani che vi si stanziarono, dopo aver abbandonato la vicina località di al-karak, a est del Mar Morto, a causa di una faida tribale con la comunità araba. Nel periodo in cui Palestina e Giordania dipendevano dall’Impero Ottomano, anche i greco-ortodossi ebbero la possibilità di abitare in una zona specifica di Madaba. Nel 1894 fondarono un luogo di culto sui resti di una vecchia chiesa dedicata a San Giorgio, distrutta dal terremoto del 746. Non poterono, tuttavia, innalzarne una ex novo per via dell’accordo del XVI secolo tra il Sultano Suleiman e il Patriarca di Gerusalemme. Circa dieci anni prima dell’inizio di questi lavori, il parroco dei greco-ortodossi, Arkadio, aveva riferito al Patriarca di Gerusalemme, Nicodemo, la presenza di frammenti di pavimento musivo. Quest’ultimo, però, non prese alcun provvedimento né diede una risposta precisa. Terminate la muratura e la copertura nella Chiesa di San Giorgio, l’intervento sulla pavimentazione svelò altri magnifici mosaici. Il nuovo patriarca Gerasimo inviò il diacono bibliotecario, Kleofa Kikilides, per accertarsi di queste scoperte. Il 13 dicembre 1898, rimossa la terra che copriva il pavimento della stessa Chiesa, furono riportate alla luce circa due milioni di tessere policrome, che componevano la più antica carta topografica della Palestina con l’indicazione dei luoghi in cui fiorì il Cristianesimo. Fu realizzata da artisti sconosciuti in epoca bizantina (VI secolo), come mappa che i pellegrini giunti in Giordania potevano consultare per arrivare a Gerusalemme.

Molti frammenti andarono persi, mentre quelli superstiti furono riparati grossolanamente e incorporati nel pavimento della Chiesa di San Giorgio. Furono rinvenute anche 157 didascalie in greco, con il riferimento ai siti biblici del Medio Oriente, dell’Egitto e della Palestina. Larga circa sedici cm e alta sei, la carta raffigura un’area che si estende dal Libano a nord fino al Delta del Nilo a sud, dal Mar Mediterraneo a ovest al deserto ad est. Gli archeologi hanno individuato sul disegno la prima costruzione romana fatta da Adriano nel 135, con la realizzazione della via principale che scorre da nord a sud (Cardo Maximus) e la strada in direzione est-ovest (Decumanus Maximus). Queste due vie tagliano la mappa in quattro spazi corrispondenti ai quattro quartieri che, da secoli, coabitano dentro le mura di Gerusalemme: a nord-est il quartiere musulmano, a sud-est quello ebraico, a nord-ovest quello cristiano, a sud-ovest quello armeno. Al centro della pianta spicca Gerusalemme, intorno alla quale ci sono circa centocinquanta vignette di siti diversi, insieme ai simboli che richiamano la Porta di Damasco, la Porta dei Leoni o di Santo Stefano, la Porta d’Oro, la Porta di Sion, la Chiesa del Santo Sepolcro e la Torre di Davide. Ci sono indicazioni di città (Neapolis, Ascalona, Gaza, Pelusium, Charachmoba), segni che ricordano chiese distrutte, come quella di Nea, ma anche corsi d’acqua, strade, mari, monti, ponti che collegano le sponde del Giordano, oasi con palme e sorgenti, punti di guado del fiume, cervi e pesci del Mar Morto, navi che in passato attraversavano il Mar Morto. Ci vollero cent’anni e tanti pellegrinaggi perché questa mappa venisse finalmente restaurata. Padre Girolamo Golubovich si interessò ad essa curando un apposito opuscolo informativo. Altri studi furono compiuti dai domenicani Marie Joseph Lagrande e Louis-Hugues Vincent dell’École Biblique, e dall’assunzionista Joseph Germer-Durand. L’archeologo francescano Michele Piccirillo, studioso di archeologia paleobizantina nel Vicino Oriente, fondò la “Scuola musiva di Madaba”, diventata un importante istituto d’arte e di restauri, rilanciato sotto il patrocinio del Ministero del Turismo e delle Antichità. Basema Hamarneh, ordinaria di Archeologia Tardoantica e Paleocristiana all’Università di Vienna, ha ricostruito la storia di questo famosissimo mosaico cristiano, insieme alle vicende della Chiesa che lo ospita, nel volume La carta di Madaba. Guida alla (ri)scoperta di un monumento unico (Edizioni Girasole, 2024), la cui prefazione è a cura del cardinale Ravasi. La Carta di Madaba è un inno di speranza per un futuro pieno di armonia.