Diocesi
L’omelia della messa crismale 2025

Pubblichiamo integralmente l’omelia pronunciata da mons. Checchinato nella Messa del crisma in Cattedrale
Una occasione di grazia, la messa del crisma, che ci mette davanti il mistero dell’unzione di Gesù di Nazaret: nella antifona di ingresso, attraverso la citazione delle parole del libro dell’Apocalisse, la liturgia ricorda che “Gesù Cristo ha fatto di noi un regno e ci ha costituiti sacerdoti per il suo Dio e Padre; a lui gloria e potenza nei secoli dei secoli.” E la preghiera detta di “colletta” che abbiamo pregato prima della Liturgia della Parola esplicitava ulteriormente il senso della nostra celebrazione: “O Padre, che hai consacrato il tuo unico Figlio con l’unzione dello Spirito Santo e lo hai costituito Messia e Signore, concedi a noi, partecipi della sua consacrazione, di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza”. È dall’unzione di Cristo derivano tutte le altre unzioni, prima fra tutte l’unzione dello Spirito conferita con i sacramenti dell’iniziazione cristiana che ci rende figli nel Figlio. E poi un’altra unzione, quella che si riceve in ordine al servizio nella Chiesa, con la specificità di ripresentare Cristo, pastore grande delle pecore (Eb 13,20). Il primo riferimento di questa celebrazione è proprio il Crisma la cui benedizione ricorda “la potenza che emana dal Cristo dal cui santo nome è chiamato crisma” anche se ragioni storiche hanno di fatto previsto la benedizione contestuale dell’olio dei catecumeni e degli infermi. Sarebbe limitato pensare a questa celebrazione solamente come la festa dei presbiteri, è più adeguato pensarla come festa della nostra vocazione ad essere testimoni nel mondo dell’opera di salvezza di Cristo, in forza della partecipazione alla sua consacrazione. E di fronte a questo obiettivo offertoci dalla liturgia, come non accettare la sfida di essere tutti, sacerdoti e fedeli, suoi testimoni, ognuno con il suo dono ricevuto per la costruzione del Regno? Impariamo da Gesù, nostro Maestro e Signore, lo stile che traspare dalla sua vita, anticipata dalla Profezia e letta dagli evangelisti, così come abbiamo ascoltato nel testo di Apocalisse e nel testo evangelico di Luca.
“Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Lc 4, 20) ci dice il Vangelo. Nel testo di Isaia che legge, Gesù vi trova il suo programma di vita, un programma di liberazione e di bellezza, la buona notizia del Vangelo. E anche noi, con gli occhi fissi su Gesù, vogliamo far nostro questo programma, accogliendo la sua parola e la sua vita come ce l’hanno trasmessa i Vangeli. E lo facciamo a partire da quanto ci riferisce l’autore del testo di Apocalisse, quando, guardando a Gesù lo definisce “testimone fedele, primogenito dei morti, principe dei re della terra”.
Gesù è il testimone fedele: è cioè colui che con la sua vita esprime perfettamente tutto quello che Dio ci vuole rivelare di se stesso. Sembrano riecheggiare le parole che Gesù stesso dice a Filippo: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14, 9); e il nostro pensiero va alle parole e agli episodi della vita di Gesù in cui scopriamo il volto di un Dio ricco di misericordia e di perdono, un Dio che ama gli ultimi e si fa loro compagno di strada e loro difensore, un Dio che ama la pace e non la discordia, un Dio che ama il servizio e non il potere. Gesù è testimone fedele del Padre suo con cui ha una intimità particolarmente intensa e coinvolgente “Io e il Padre siamo una cosa sola”. (Gv 10,30) Ed è proprio questa intimità che gli permette di essere “testimone fedele”, regalandoci, con la sua vita, la vera icona del nostro Dio, creatore, Signore e Padre. Quanto differenti sono i pensieri del nostro tempo veicolati da teologie di bassa lega che annunciano un volto deformato e blasfemo di Dio! Penso alla cosiddetta teologia della prosperità, che diffonde la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera, dal punto di vista economico, sani da quello fisico e individualmente felici. Questo tipo di cristianesimo colloca il benessere del credente al centro della preghiera, e fa del suo Creatore colui che realizza i suoi pensieri e i suoi desideri. Questo pensiero trasforma Dio in un potere al nostro servizio, la Chiesa in un supermercato della fede, e la religione in un fenomeno utilitaristico ed eminentemente sensazionalistico e pragmatico. Non solo, questo pensiero trasforma i poveri in colpevoli della loro povertà, e fa diventare Dio nemico dei poveri e degli ultimi. Anche alle nostre latitudini si ascoltano ragionamenti simili da parte di chi sbandiera rosari e vangeli nelle piazze e fa morire la gente facendola naufragare nel mediterraneo a bordo di barconi. Gesù, insegnaci a non tradire il tuo Vangelo, le beatitudini che ci invitano a farci prossimo con chi piange, chi è solo, chi è disprezzato e perseguitato!
Gesù è il primogenito dei morti, “perché si è associato alla nostra morte, partecipandone tutta la drammaticità, per comunicarci la sua vita di Figlio, diventando così il primogenito tra molti fratelli” (Vanni, 66). Ha scelto di salvarci non dall’alto, dalla pienezza della sua onnipotenza, ma dal basso, diventando uno di noi, svuotando se stesso, “assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,7). Questo stile di prossimità non può non mettere in crisi tante nostre attività in cui ci sentiamo salvatori degli altri a partire dalle nostre postazioni di superiorità. Se il «servizio» ai poveri, anche quello della Chiesa, non viene inteso secondo la logica di Gesù, in una prospettiva di solidale «condivisione» e «compassione» operativa, non rispecchia più lo stile dell’Incarnazione, ma assume la logica della degnazione del potente verso l’impotente, la logica dell’imposizione del libero sul non-libero; una logica estrinsecista, separatista, non basata sulla solidarietà. Il servizio -in questa prospettiva- assume la logica che proprio Dio, l’unico «potente», ha rifiutato per amore. Di fatto il rischio che nell’opzione per i poveri si punti su un «servizio» e su un’assistenza senza la condivisione è permanentemente in agguato ed è molto forte. (Mosso, L’opzione preferenziale per i poveri, in CC) Signore Gesù primogenito dei morti, che hai scelto di condividere tutto con noi, aiutaci ad essere fratelli e sorelle capaci di camminare insieme, aiutaci soprattutto a diventare attenti ai più poveri, a coloro che la giustizia stravagante dei nostri tempi ha reso meno degni del pane, del lavoro, della casa, dell’assistenza sanitaria; a diventare voce con le voci dei poveri che gridano giustizia. E facci diventare amici di coloro che sono più poveri di tutti, quelli che non ti conoscono, perché possano ricevere attraverso di noi la buona notizia del tuo vangelo.
Gesù è ancora “principe dei re della terra”. Nel linguaggio dell’Apocalisse i re della terra sono associati a quei centri di potere moralmente negativi e corrotti che condizionano in maniera pesante la nostra storia. Non è difficile sperimentare queste realtà negative anche nel nostro tempo, e siamo tentati da un deficit di speranza che ci fa credere che il Vangelo possa avere molte belle parole ma poco efficaci. E così pensiamo che la menzogna e l’aggressione verbale fatte su un social siano più efficaci della ricerca comune della verità, che la furbizia e le amicizie giuste siano più utili del rispetto delle leggi, che desiderare e perseguire il potere, a qualunque costo, sia più vantaggioso che scegliere la semplicità evangelica. Signore Gesù, in quest’anno santo che papa Francesco ha voluto contrassegnato dalla speranza aiutaci a credere con più forza alla tua onnipotente debolezza, facci scorgere il segno della tua luce divina nelle piaghe doloranti del mondo e della chiesa, convinti che “in un mondo lacerato da discordie, con il tuo aiuto, la tua Chiesa possa risplendere segno profetico di unità e di pace”. “Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri.” (Spes non confundit, 25).