Chiesa
“Francesco non è solo per i cristiani, ma per il mondo”
Parla il regista ed esule iraniano, Mohsen Makhmalbaf, in questi giorni in Italia per partecipare alla 19ª edizione del Tertio Millennio Film Fest: "Il dialogo tra le religioni ha un ruolo importante nelle nostre vite poiché determina anche i nostri comportamenti quotidiani".
Speranza, conoscenza e coraggio per controbattere la ferocia degli uomini e i conflitti e la violenza che da essa scaturiscono. Ma soprattutto il dialogo tra le fedi. Ne è convinto il regista, esule iraniano, Mohsen Makhmalbaf, in questi giorni in Italia per partecipare alla 19ª edizione del “Tertio Millennio Film Fest” (fino al 31 ottobre) con due opere, l’inedito “The Tenant”, che tratta delle condizioni dei rifugiati oggi in Europa, e il documentario “Daddy’s School” di cui lo stesso cineasta è il protagonista. Nato in uno dei quartieri più miseri di Teheran, a soli 15 anni si unisce alla milizia rivoluzionaria contro il regime dello Scià Reza Pahlevi. Arrestato, sconta diversi anni in carcere per la sua opposizione al regime. Da questo momento in poi intraprende la carriera di scrittore, regista, sceneggiatore, produttore e attivista per i diritti umani. Al suo attivo oltre venti opere, diversi riconoscimenti, tra cui il Premio della Giuria ecumenica al festival di Cannes (2001) e il Premio Bresson 2015, conferito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, promotrice del Tertio Millennio Film Fest, quest’anno dedicato al dialogo interculturale e interreligioso. L’urgenza del dialogo. “Il dialogo tra le religioni ha un ruolo importante nelle nostre vite poiché determina anche i nostri comportamenti quotidiani, i nostri cuori, le nostre menti. Influenza le nostre relazioni e i conflitti dentro noi stessi e con gli altri. In positivo e negativo. Per questi motivi è necessario dialogare”, spiega il regista. Nelle sue parole la decisiva parentesi politica non è relegata al passato ma vive in forme più artistiche e non meno impegnate. “Senza dialogo non si possono condividere i nostri punti di vista. Se non si dialoga si va verso la guerra” come sta accadendo in Medio Oriente dove le divisioni etniche e religiose fanno da detonatore a gravi crisi politiche e sociali. Ed è quello che il regista racconta in uno dei suoi film più famosi, “The gardener” (“Il giardiniere”), girato in Israele, ad Haifa, in cui il protagonista, che visita il centro mondiale dei fedeli Baha’i – religione monoteistica nata in Iran a metà del XIX secolo che propone l’unità spirituale di tutta l’umanità – esplora il ruolo della religione nel mondo di oggi. “Le religioni – dice Makhmalbaf che si definisce non credente – possono cambiare le nostre vite e non solo in Medio Oriente. Possono suscitare paura e con la paura i nostri comportamenti cambiano. Non riusciamo più a fidarci degli altri, l’amicizia viene meno e per proteggerci siamo disposti anche a distruggere l’altro”. La lezione del Papa. “Ma non bisogna arrendersi alla paura”. Questa è la grande lezione di Papa Francesco, “un uomo che stimo moltissimo. Mi piace ascoltarlo – rivela il regista – quando ci esorta a dialogare, a conoscerci, a stimarci. Abbiamo bisogno di tanti uomini come lui, di diverse fedi, per intavolare un vero dialogo”. “Purtroppo – ammette – le religioni oggi sono diventate fonte di odio e di divisioni. Abbiamo pochi uomini che rappresentano la vera voce delle fedi e il Pontefice è una di queste. Due settimane fa ero in Israele e nei miei interventi ho detto agli israeliani che hanno bisogno di un leader come Papa Francesco per la loro religione e per portare un messaggio di pace. Papa Francesco non è solo per i cristiani ma è per tutto il mondo”. In “The tenant”, presentato il 29 ottobre a Roma, Makhmalbaf racconta delle condizioni dei rifugiati in arrivo in Europa. “Se ci fosse la pace non avremmo così tanti rifugiati. Guardiamo alla Siria, alla Libia, centinaia di migliaia di morti, di feriti, milioni di sfollati e rifugiati negli ultimi 4 anni. Dobbiamo pensare a loro come a noi stessi, per loro urge chiedere pace e rispetto dei diritti umani”. Un appello che il regista iraniano aveva lanciato anche per il 39enne regista ucraino Oleg Sentsov, condannato a 20 anni di detenzione in Russia perché accusato di sabotaggio e terrorismo in Crimea, dopo l’annessione russa. A Oleg Makhmalbaf aveva dedicato il Premio Bresson, al momento della consegna lo scorso settembre. “Oleg è pronto a morire ma non ha paura. Per cambiare serve speranza, coraggio per l’umanità. Informazione, coraggio e speranza questo è il contributo che l’arte e gli artisti possono dare alla costruzione di un mondo più giusto. Il cinema può contribuire a spargere speranza e coraggio per fare fronte alle sfide attuali”. Con la sua arte il regista cerca anche di costruire una cultura moderna per l’Iran. Makhmalbaf è distante dalle posizioni conservatrici assunte dal regime iraniano guidato dall’ayatollah Ali Khamenei del quale critica la scelta di sostenere il presidente siriano Assad. “La Guida suprema – conclude – cerca di controllare i sogni della sua gente. L’Iran è un Paese ricco non solo di petrolio ma anche di una storia di rispetto delle fedi. Per questo il popolo sa bene ciò che vuole: la pace e non la guerra”.