Chiesa
Avvento, lo sguardo corre a cercare un bimbo
Vegliare è un modo di vivere nuovo. Perché c’è una luce che illumina noi e quello che sta accadendo attorno a noi. Perché c’è una speranza, non riposta soltanto nelle nostre forze ma nella forza di un Dio che vive tra noi. Nessuno permetta al mondo circostante, luccicante nei negozi, di rubarci il natale della fede.
Lo sguardo corre oltre. Cerca il volto di una madre. Spera di intravedere un Bimbo. Il muro che divide Betlemme da Gerusalemme non conosce fessure, come i muri rabberciati dei contadini. È perfetto. Costringere a chiudere gli occhi. Così si può disegnare l’Evento di Betlemme guidati da un sogno. Nascerà davvero quel Bambino promesso, di nome Gesù? Troverà almeno una grotta per poter venire alla luce? Che nasca non vi è dubbio. Che gli uomini siano preparati ad accoglierlo è una scommessa da tentare ogni anno. Sì, si può addirittura confidare nella fragilità di un Bambino. Indifeso, adagiato in una mangiatoia, avvolto da pochi stracci. Eppure quel Bambino imprimerà alla storia un nuovo ritmo, un passo inatteso, il passo dell’amore. Ecco l’Avvento è attesa di quel Bimbo divino, che Erode teme fino a ordinarne la morte, senza raggiungerlo perché un angelo avvisa Giuseppe di fuggire in Egitto. L’Avvento prepara a questa storia, a questo incontro con quel Bimbo che è a contatto con Dio in maniera così intensa, impensabile e inimmaginabile dalla mente umana, da essere egli stesso Figlio di Dio, dunque Dio stesso. È il mistero, il fatto, che celebriamo a Natale. Una impossibilità in termini umani, una pretesa così assoluta, oltre le prospettive umane, se non l’avesse inventato Dio. Egli ha inviato suo Figlio tra gli uomini per redimerli, cosicché essi stessi potessero divenire figli dello stesso Padre.
L’Avvento è questa attesa, questa certezza. Una novità così grande, da essere sovrumana, occorre prepararla nel nostro cuore. Come? Tenendo bene gli occhi aperti, non lasciandosi vincere dal sonno della pigrizia, delle abitudini. A nessuno è concesso di dormire, di lasciarsi andare. Sì, l’atteggiamento giusto del cristiano sta racchiuso in un verbo: vegliare. Anzitutto significa riprendere in mano il proprio rapporto con Dio, distogliendo un po’ l’animo dalle preoccupazioni quotidiane.
Vegliare significa scrutare la propria esistenza, la propria vita. Dove stiamo andando? C’è ancora spazio per Dio? Per la preghiera? Vegliare significa attenzione e delicatezza verso la persona, la moglie, il marito, i figli che vivono accanto a te. Ed è vegliare trovare il tempo del dialogo, anche sulla fede, quale frutto di un rinnovato dialogo con Dio.
Dunque Avvento è certezza che il nostro viaggio terreno ha una meta. È Cristo stesso, che viene nel mondo di oggi non di ieri, che entra nella nostra terra non da principe o sovrano ma da umile viandante. Vegliare significa assumere quegli atteggiamenti e quelle scelte che orientano i nostri giorni senza lasciarci conquistare dal qualunquismo che chiude la porta del cuore alla sensibilità verso gli altri. Vegliare vuol dire anche rifuggire dal timore di annunciare Gesù Cristo nel nostro ambiente agli amici e a quanti lo hanno quasi dimenticato. È l’esercizio quotidiano della fedeltà, della coerenza, della compassione, del perdono.
Vegliare è in sintesi un modo di vivere nuovo. Perché c’è una luce che illumina noi e quello che sta accadendo attorno a noi. Perché c’è una speranza, non riposta soltanto nelle nostre forze ma nella forza di un Dio che vive tra noi.
Nessuno permetta al mondo circostante, luccicante nei negozi, di rubarci il natale della fede.