Editoriali
C’é un’altra estate
Non solo spiagge, autostrade, aeroporti...
Video e testi dedicati a spiagge affollate, autostrade trafficate, aeroporti trasformati in bivacchi. Sono immagini e racconti mediatici che, pur con qualche variazione, ritornano abbondanti anche nel tempo della crisi. Chi cammina ai bordi della cronaca, ma non lontano dalla vita della gente, si rende conto che qualcosa di importante continua a sfuggire nella narrazione mediatica. S’accorge che ad essere dimenticati, oppure posti ai margini, sono sempre i molti luoghi della fragilità, della sofferenza, della solitudine, del limite. Sono gli ospedali, le strutture di ricovero, le case della città dove vivono persone sofferenti, deboli e spesso sole. Luoghi dove, anche in estate, abita un’umanità fragile, senza voce, che non fa notizia. C’è molta gente qui, ma nessuno la racconta. Qualcuno dice che questo silenzio è per rispetto della dignità umana in situazioni di debolezza, qualcun altro risponde che questo silenzio è per una regola mediatica che respinge tutto ciò che non è notiziabile. E non notiziabili, sempre secondo questa regola, sono la malattia, il dolore, lo spegnersi della vita dentro il normale scorrere dei giorni. C’è un’umanità che, secondo una diffusa mentalità, nulla o poco di interessante ha da dire. E così le strade dei media attraversano questi silenziosi ma affollati paesaggi umani senza dare troppo rilievo a quanto di essenziale sta quotidianamente avvenendo. Salvo quando si tratti di fatti di cronaca nera. Il silenzio accompagna questo attraversamento, ma appare ogni volta evidente che dietro la mancanza di parole c’è un vuoto. Meglio non parlare dei limiti che mettono a dura a prova l’uomo, meglio andare oltre un’umanità inquietata dalla sofferenza, inquieta per la sofferenza e inquietante per le domande che solleva attorno alla sofferenza. C’è un’inquietudine quotidiana che disturba. Soprattutto in estate quando si vorrebbe dare spazio solo alle spiagge, alle autostrade, agli aeroporti. Raramente i media sostano in un ospedale o in una casa per ascoltare e raccontare la fatica di vivere, per prendere nota delle domande sulla vita, sulla morte, sulla sofferenza, sull’altalena della speranza. Forse questo non è compito dei media: in ogni caso non serve puntare il dito contro di essi, ma ai bordi della cronaca si nota un limite, un’assenza, un vuoto. Nulla di nuovo, ma è possibile ed è giusto prenderne solo atto e rassegnarsi? Domanda retorica? Forse, ma torna alla mente un grido lanciato in altre terre e da altri uomini di fronte all’esperienza di un quotidiano dolore innocente che nessuno voleva raccontare: “Per amore del mio popolo non tacerò”. Potrebbe sembrare eccessivo ma stare accanto al popolo dei malati in un ospedale o in una casa dove la malattia è condivisa e non rimossa, porta anche a questi pensieri. Porta al rifiuto di un silenzio che con l’alibi del rispetto formale rischia di rimuovere il tema della dignità sostanziale della persona malata, debole, fragile. Non tanto un grido di ribellione e di indignazione quanto una presa di coscienza dello stato di salute della nostra umanità. Forse queste sono parole al vento, parole inutili, parole fuori dalla realtà, parole di chi ancora si illude che notiziabile sia la vita in sofferenza. Forse è solo un’illusione, ma ai bordi della cronaca nascono parole che ancora possono aiutare a tenere accesa la coscienza senza spegnere un televisore o chiudere un giornale. Forse è solo un’illusione ma ai bordi della cronaca si vede un’altra estate, non raccontata dai media ma non per questo lontana dal cuore e dalla mente.