Contro le mafie l’impegno e l’annuncio del Vangelo

I funerali show di Casamonica, il dibattito politico su Chiesa e criminalità, l'impegno della Chiesa calabrese da oltre trent'anni.

“Chiesa e mafia. La Chiesa Calabrese ha molto sofferto e ora ha molto da insegnare altre alle altre Chiese”. Così monsignor Bregantini in una intervista oggi su Repubblica a firma di Paolo Rodari. Un’occasione per fare il punto sulla vicenda dei funerali show del boss dei Casamonica. Più che abbattere la mafia c’è da combattere una mentalità mafiosa che pervade l’intera nazione italiana. Nessuna città è esente da presenze ingombranti e destabilizzanti di clan affiliati a questa o quell’organizzazione criminale. La Chiesa calabrese questi ultimi trent’anni ha fatto un grande percorso di analisi della situazione e del rapporto che intercorre tra la religiosità gli atteggiamenti mafiosi. I fatti di cronaca dello scorso anno hanno stimolato grazie alle forti parole di Papa Francesco il noto documento “Testimoniare la verità del Vangelo” e nei prossimi giorni sarà diffuso il direttorio sulle feste religiose e come arginare le possibili infiltrazioni degli altri interessi. In questo percorso è emerso come i pastori non vogliono e non possono lasciare soli i sacerdoti in questa battaglia impari nella trincea della pastorale dove tante volte ci si trova spiazzati rispetto alle richieste di chi si pone fuori dalla Chiesa, così come ha detto papa Francesco a Cassano allo Ionio. Se è vero che la mafia è una piovra che attanaglia e attraversa tutte le istituzioni cercando di iniettare il suo pericoloso veleno, allo stesso tempo è anche vero che bisogna abbattere quegli atteggiamenti di mafiosità e di connivenza che emergono guardando folle che plaudono ad un uomo in odore criminale, o come si dice in gergo, noto alle forze dell’ordine. Senza voler negare la possibilità della misericordia a nessuno, cosa che non compete alla Chiesa ma è diritto di Dio, emerge quella problematica sulla quale gli stessi vescovi calabresi hanno lavorato in questi ultimi anni: concedere o negare le esequie ai mafiosi e la possibilità di partecipare a momenti della vita religiosa (fare da padrino o portare una statua). Gli ambiti sono diversi e alla Chiesa non compete dare patenti di mafiosità, nessuno né essa ha il potere di intervenire direttamente nella cosa pubblica, ma alla Chiesa sono chiesti, come ha ribadito ancora Bregantini, e come hanno scritto i presuli calabresi nel documento sulla ‘ndrangheta, atteggiamenti profetici e di chiarezza. Ogni atteggiamento mafioso è antievangelico, non ha nulla di ecclesiale. A quelli che si sono stracciati le vesti per la celebrazione in chiesa va anche detto che è molto facile associare situazioni diverse rispetto alle quali la Chiesa è chiamata a muoversi con ponderatezza ed umiltà e troppo spesso a cercare un capro espiatorio fra il celebrante o la comunità cristiana sicuramente non aiuta una compattezza sociale che  è l’unico argine contro la mentalità mafiosa. Non c’entra niente il presunto otto per mille del mafioso dato alla Chiesa, secondo le parole di qualche politico che cerca di accaparrarsi voti. Sembra di sentire l’accusa mossa ai vescovi calabresi di accettare le offerte della ‘ndrangheta in occasione delle processioni. Queste brutte occasioni che capitano quando si abbassa la guardia al livello istituzionale, sociale, ecclesiale devono essere momento di riflessione, ciascuno nel suo ambito, per continuare con la battaglia di civiltà, di legalità, di annuncio liberante del Vangelo di Cristo che non è mai connivente con atteggiamenti che esaltano il potere di uno che pensa di dover conquistare il mondo con la forza e la violenza. Nello striscione esposto sulla facciata della Chiesa c’è forse una verità ma sicuramente una grande bugia. Il boss avrà pure conquistato Roma ma non sappiamo se potrà conquistare il paradiso perché Gesù ha detto che il regno dei cieli è dei piccoli, degli umili, degli operatori di giustizia e di pace. A Dio il giudizio, a noi l’impegno di testimoniare la verità del Vangelo.