Da figlio di immigrati nel tempio USA di libertà e democrazia

La richiesta è di declinare a tutto campo il termine "responsabilità", il desiderio è di parlare "all'intero popolo degli Stati Uniti", la scelta è di fare riferimento alla lezione di quattro "grandi americani" - Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton - per "dialogare con tutti" partendo dalla memoria storica del popolo Usa.

Nella National Hall di Washington ci sono i ritratti dei grandi legislatori americani. E al centro c’è Mosè, l’unico che guarda diritto, gli altri sono di lato. Oggi il primo Papa “americano” a prendere la parola nel “tempio” della democrazia statunitense dialoga in qualche modo con Mosé, che lo guarda diritto, quando dice: “Mosè ci offre una buona sintesi del vostro lavoro: a voi viene richiesto di proteggere, con gli strumenti della legge, l’immagine e la somiglianza modellate da Dio su ogni volto umano”. Nel suo già storico discorso all’Assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America, Papa Francesco si presenta ancora una volta, come aveva fatto alla Casa Bianca, come “figlio di immigrati” e rivolge – in inglese – a chi l’ascolta il discorso finora più ampio del suo decimo viaggio internazionale. La richiesta è di declinare a tutto campo il termine “responsabilità”, il desiderio è di parlare “all’intero popolo degli Stati Uniti”, la scelta è di fare riferimento alla lezione di quattro “grandi americani” – Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton – per “dialogare con tutti” partendo dalla memoria storica del popolo Usa. Quattro grandi americani. Abraham Lincoln, Martin Luther King, Dorothy Day e Thomas Merton “sono stati capaci di costruire un futuro migliore” e ”hanno dato forma a valori fondamentali che resteranno per sempre nello spirito del popolo americano”. “Un popolo con questo spirito può attraversare molte crisi, tensioni e conflitti, mentre sempre sarà in grado di trovare la forza per andare avanti e farlo con dignità”, il tributo del Papa al popolo americano. Di qui il messaggio ancora attuale per gli Stati Uniti: “Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà, come ha fatto Lincoln; quando promuove una cultura che consenta alla gente di sognare pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare; quando lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro, frutto di una fede che diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di Thomas Merton”. “No” a fondamentalismo e nuove schiavitù. “Dobbiamo essere particolarmente attenti ad ogni forma di fondamentalismo, tanto religioso come di ogni altro genere”, il monito del Papa: in un mondo che è “sempre più un luogo di violenti conflitti, odi e brutali atrocità, commesse perfino in nome di Dio e della religione”, serve “un delicato equilibrio” che passa anche dalla capacità di non dividere il mondo tra “giusti” e “peccatori”. ”Restaurare la pace, rimediare agli errori, mantenere gli impegni”, il triplice imperativo per risolvere “le molte crisi economiche e geopolitiche di oggi”: bisogna ascoltare “la voce della fede”, per “eliminare le nuove forme globali di schiavitù”. Politica è servizio. “Se la politica dev’essere veramente al servizio della persona umana, non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza”. Il Papa entra direttamente in campo, quando afferma che “politica è espressione del nostro insopprimibile bisogno di vivere insieme in unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quello di una comunità che sacrifichi gli interessi particolari per poter condividere, nella giustizia e nella pace, i suoi benefici, i suoi interessi, la sua vita sociale”. Il “sogno” di Martin Luther King “continua ad ispirarci”, perché l’America continua “ad essere, per molti una terra di sogni”. “Noi, gente di questo continente, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri”. “Il nostro mondo sta fronteggiando una crisi di rifugiati di proporzioni tali che non si vedevano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale”: la ricetta di Francesco è di non “scartare” i migranti, ma di seguire la “regola d’oro” evangelica: “Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te”. “Trattiamo gli altri con la medesima passione e compassione con cui vorremmo essere trattati”, la traduzione: “Se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità”. Il Papa si unisce all’appello dei vescovi Usa per l’abolizione globale della pena di morte, e spiega agli americani che “la società può solo beneficiare dalla riabilitazione di coloro che sono condannati per crimini”. Altro appello, sulla scorta della “Laudato si’”, è a lottare contro la povertà e la fame ridistribuendo la ricchezza. Sui temi del creato bisogna “cambiare rotta” per “evitare gli effetti più seri del degrado ambientale causato dall’attività umana”: “possiamo fare la differenza”, gli Usa “hanno un ruolo importante da giocare”. “Essere al servizio del dialogo e della pace significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo”. Citando Thomas Merton, monaco cistercense, “uomo di dialogo, promotore di pace tra popoli e religioni”, il Papa esorta a fermare il traffico di armi, che frutta “denaro intriso di sangue, spesso innocente”. Il Papa non cita mai espressamente l’ideologia del gender, ma fa riferimento alla famiglia “minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno”: “relazioni fondamentali sono state messe in discussione, come anche la base stessa del matrimonio e della famiglia”. Quanto ai giovani, l’appello è a un sano realismo: “I loro problemi sono i nostri problemi. Non possiamo evitarli”.