Promuovere la vita e tutelare la dignità umana

Consegnata al Papa copia del Piccolo lessico sul fine-vita a cura della Pontifica Accademia per la vita

Eutanasia, accanimento terapeutico, suicidio assistito, abbandono terapeutico. In poche parole “fine vita”. Tema scottante e ampiamente dibattuto, sia nel mondo politico che in quello religioso, capace di risvegliare le coscienze di tutti e di sollevare la spinosa questione di un intervento legislativo urgente, che indichi (se possibile) un indirizzo da seguire, per far sempre il bene dell’ammalato. Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha consegnato nella giornata di ieri una copia de “Il Piccolo Lessico del fine-vita”, edito da Lev, a Papa Francesco, nel quale si fa il punto sulla posizione della Santa Sede in merito all’eutanasia e all’accanimento terapeutico. Il prelato ha voluto ribadire l’assoluto e deciso NO da parte della Chiesa verso queste soluzioni mediche, che rappresentano il “fallimento dell’amore” e non darebbero dignità al fine vita, come il Santo Padre ha avuto modo di ribadire nel suo messaggio ai partecipanti al simposio “Towards a Narrative of Hope. An International Interfaith Symposium on Palliative Care”, tenutosi in Canada a maggio. Il rispetto e la tutela della vita vanno assicurati sin dalle prime fasi del concepimento e fino alla morte. Chiesa e politica devono collaborare per trovare soluzioni condivise, in grado di preservare in tolo l’integrità etica della persona. Nessuno ha il diritto di decidere quando e se interrompere l’esistenza terrena di un ammalato, nessuno ha in mano la cura migliore, nessuno possiede la verità assoluta. Questo deve spingere al varo di una legge che eviti la “deriva eutanasica”, come mons. Paglia ha ribadito. Il piccolo “Lessico” vuole essere una strumento divulgativo in grado di formare le coscienze e di avviare un dialogo serio, duraturo e costruttivo tra più parti su questo tema delicato. È importante inoltre che la medicina si faccia “carico di tutta la persona, non solo di un organo o di una funzione malata” ha sottolineato il prelato. È auspicabile puntare nella direzione di una “mediazione accettabile” che ricerchi il “bene maggiore” delle persone che vivono situazioni cliniche molto precarie, tenendo presente gli sviluppi continui della scienza e il possibile miglioramento delle leggi. Altra questione cruciale è che nella vita non siamo soli e non bisogna lasciare solo chi soffre, come spesso accade fra le mura degli ospedali. Non si nasce a parte dal mondo ma si è sempre inseriti in un circuito di relazioni, di scambi, di confronti. Questo spiega la necessità di non abbandonare mai gli ammalati, ma di tendergli una mano stabilendo con loro un rapporto basato sull’amore e sulla comprensione.