Editoriali
Ancora violenze e donne uccise, educare è e-ducere
Sta qui la radice di tutte queste morti innocenti: nella scelta del male anziché del bene. E' la stessa radice del fratello che alza la mano contro il fratello. Perché in fondo di questo si tratta. Si tratta - a partire da questo sfondo - di una società incapace di generare il senso del limite, vinto dal tutto e subito dei nostri strumenti iper evoluti; di una società che non ammette sconfitte e battezza le rinunce come un dovere superato.
Mi sveglio, sono poco meno delle 7 del mattino. Decido di navigare sui siti dei maggiori quotidiani nazionali, e che mi trovo? La notizia dell’ennesimo omicidio di una donna. Ma allora, mi chiedo, non riusciamo proprio a imparare? Non c’é un limite al misfatto e un aborrimento? Tento una risposta. Non vuole essere fatta di slogan o di espressioni preconfezionate, che quasi mai sono risolutive. No, non è filosofia questa lunga scia di morti uccisi che talora, in sede di violenza per motivi di genere, chiamiamo ‘femminicidi’.
Penso ai nostri borghi, ai piccoli nuclei familiari, alle relazioni malate, dove spesso s’annidano frustrazioni, dolori, delusioni. Nascoste. Il mondo è brutto perché è vario, mi verrebbe da dire, e tra questa varietà c’é quella di tanti che non sanno gestire la libertà di scelta che hanno, che travisano la parola rispetto e si sentono padroni di un diritto di vita e di morte che speravamo fosse sepolto dalla storia e invece riemerge sempre.
L’indignazione per le recenti morti violente di donne non ferma la scia di fatti di sangue. No, a ben vedere non bastano le maratone televisive, le pubblicità, gli appelli. Mi dispiace, ma non bastano neanche le marce e le presentazioni di libri. Perché purtroppo rimane la libertà. Il nostro grande diritto fondamentale che, spesso utilizzato contro natura, diventa veicolo di scelte scellerate.
Sta qui la radice di tutte queste morti innocenti: nella scelta del male anziché del bene. E’ la stessa radice del fratello che alza la mano contro il fratello. Perché in fondo di questo si tratta. Si tratta – a partire da questo sfondo – di una società incapace di generare il senso del limite, vinto dal tutto e subito dei nostri strumenti iper evoluti; di una società che non ammette sconfitte e battezza le rinunce come un dovere superato.
Come se ne esce? Con l’educazione. Non “l’educazione sentimentale”, che è un astratto urlo di vento, ancora una volta uno slogan gridato con gli occhi sgranati, ma con l’educazione a trecentosessanta gradi, quella che riceviamo sin da quando siamo sulle ginocchia delle nonne e di mamma e papà. “E-ducere” è “guidare da”, è avere in mano qualcosa di grezzo e lavorarlo perché non sia brutale, perché sia ben formato a tutto ciò che di vero, di bello e di buono c’é.
Già, ma una società che ha inscatolato e messo in soffitta le certezze, che ha messo in dubbio l’oggettivo del bello e del buono per far prevalere il soggettivismo e il relativismo esasperato… ha qualche speranza?