Editoriali
I Santi che nel sociale hanno fatto davvero l’Italia
Andrebbe costruita una cartina dalla quale emerge la bellezza di questa presenza sparsa nella penisola e che aveva in comune solo la fede
Non è solo la Torino dell’Ottocento la scuola e l’ambito dell’impegno dei santi sociali ma c’è ancora tutta un’opera da scoprire fatta di silenzio operoso nelle nostre contrade e nei nostri villaggi anche meridionali.
C’è tutta una schiera di fondatrici e fondatori d’istituti di ordini religiosi nei quali si colloca anche Elena Aiello come pietra preziosa di una più vasta corona: Maddalena di Canossa a Verona, Teresa Verzeri a Bergamo e Vicenza, Giuseppe Cottolengo, Giuseppe Cafasso e Giovanni Bosco a Torino, e al sud nella stessa epoca il venerabile Gaetano Mauro a Montalto, il beato Francesco Maria greco con la venerabile Teresa De Vincenti ad Acri, il Servo di Dio Carlo de Cardona a Cosenza.
L’opera di madre Elena Aiello si inserisce in quell’impegno di tanti discepoli di Gesù che tra la fine dell’Ottocento e per tutto il novecento hanno contribuito realmente ad unire l’Italia, a caratterizzarla come terra della solidarietà, dell’accoglienza, della coscienza di cittadinanza. “Buoni cristiani e onesti cittadini”, così voleva Don Bosco i suoi ragazzi nella Torino dell’Ottocento insieme a mamma Margherita e a tanti figli e figlie che ne seguirono l’esempio.
Una concreta traduzione dell’impegno sociale dei cattolici che ebbe una spinta dalla Rerum novarum di Leone XIII e alla quale vengono ricollegati i santi del sociale, dell’impegno educativo e della carità.
Basta pensare all’impegno di tanti sacerdoti che sono scesi in campo, anche nella politica per il riscatto delle terre del Sud, accanto agli uomini della democrazia cristiana, accanto al grande don Luigi Sturzo. A Cosenza emerge la grande figura di don Luigi Nicoletti che formatore di tanti sacerdoti impegnati per la promozione umana e sociale dei loro parrocchiani.
«I Santi cambiano il mondo», affermò Papa Benedetto XVI nella Santa Messa del 24 settembre 2011, nella Domplatz di Erfurt (Germania). I Beati e i Santi non solo dalla Chiesa ma anche dalla società civile vengono accolti con fierezza e cordialmente onorati, perché considerati eroi del bene e modelli di sana umanità.
“Usufruendo dell’opportunità data da Dio in Gesù Cristo, di ascoltare e accogliere la sua parola, i Santi immettono nella storia dell’umanità l’energia pulita dell’amore, del perdono, della fratellanza, della mitezza e della pace. Con la loro grande bontà essi rendono più ospitale la città dell’uomo e più luminosa la città di Dio, che è la Chiesa. I Santi cambiano il mondo, ma anche la Chiesa, resa più evangelica e più credibile dalla loro testimonianza”. Così si è espresso il cardinale Amato aprendo con la sua prolusione lo Studium annuale dei Postulatore il 13 gennaio scorso.Se è vero che con la definizione di “santi sociali” si indicano particolarmente quelli piemontesi, è anche vero che andrebbe tracciata una “cartina” sull’impegno sociale di tanti altri santi e sante che nell’Italia hanno supplito, sostenuto ed incoraggiato l’unificazione di una terra che aveva come denominatore comune solo il patrimonio di valori cristiani.
Forse non è stato Garibaldi o Vittorio Emanuele, Cavour o Mazzini a fare l’Italia. Fatta l’Italia politica e delineati i confini bisognava fare gli italiani. Per essere e sentirsi italiani mancava ad esempio la lingua. Nel 1861, su venticinque milioni di abitanti, le persone che sapevano usare l’italiano erano al massimo due milioni e mezzo (ossia il 10% della popolazione), e più del 75% degli italiani non sapeva né leggere né scrivere. Quante scuole e luoghi educativi fondati e gestiti dalla Chiesa. Mancava il pane, quante opere di carità. Mancava la sanità e qui potremmo fare un elenco di opere a favore di ultimi e malati inimmaginabile. Se a questi ‘padri’ della Patria è ascritto il merito politico a tanti cristiani va ascritto il merito etico, culturale, fondativo e della prese di coscienza di essere uomini liberi.