Chiesa
Senza liturgia non c’è cristianesimo
Pubblichiamo la riflessione e la relazione liturgica di don Santo Canonaco, sacerdote dell'arcidiocesi di Cosenza - Bisignano sul significato della liturgia alla luce del Concilio Vaticano II.
Nella catechesi dell’udienza generale, di mercoledì 3 febbraio u.s. dedicata alla preghiera liturgica, Papa Francesco sottolinea che le liturgie pubbliche e i sacramenti sono “mediazioni concrete” per arrivare all’incontro con Cristo, “presente nello Spirito Santo attraverso i segni sacramentali” No quindi ad una spiritualità intimistica, ad una preghiera solo individuale, “che non sia radicata nella celebrazione dei santi misteri”. Senza liturgia il cristianesimo è senza Cristo, intimistico, perché i riti liturgici sono mediazioni concrete per arrivare all’incontro con il Signore Risorto presente nello Spirito Santo attraverso i segni sacramentali.Queste parole del Santo Padre Francesco mi hanno sollecitato a meditare come la liturgia effettivamente è fonte dello Spirito cristiano. Riflessioni che desidero partecipare ai lettori del settimanale Diocesano “PAROLA DI VITA” scaturite dalla mia esperienza di 53 anni di ministero pastorale.La liturgia fonte dello Spirito CristianoIl rapporto tra liturgia e vita cristiana viene intenzionalmente sottolineato dalla costituzione Sacrosanctum Concilium: essa, infatti, si apre con la dichiarazione che, proponendosi il concilio il quotidiano incremento della vita cristiana tra i fedeli, ha ritenuto perciò di doversi interessare in modo speciale anche dell’incremento della liturgia (cfr SC 1). Per il Vaticano II liturgia vuol dire promozione della vita cristiana: « essa infatti è la prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possano attingere il genuino spirito cristiano » (SC14); e promozione, in quanto mezzo eminente con cui « i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo » (SC 2). La liturgia cioè realizza « giorno per giorno » ciò che la vita cristiana è per definizione: il mistero di Cristo che diventa culto di Dio perfettamente compiuto nell’olocausto latreutico; la salvezza del mondo che, mediante la redenzione operata da questo olocausto, diventa storia; la significazione profetica della vita eterna che, testimoniata dalla vita cristiana, viene proclamata nel-l’azione liturgica.Sono queste le tre grandi dimensioni del mistero e della vita liturgica che vengono sottolineate dall’insegnamento del concilio e che meritano di essere meditate.
Culto di DioBisogna riconoscere che la nozione della liturgia intesa come attuazione della virtù di religione e come esercizio del culto di Dio è stata sempre nozione ovvia, comune, corrente della liturgia stessa; si può anzi dire che questa nozione quasi esclusiva della liturgia come culto ha costituito un po’ il limite di una certa spiritualità. Il Vaticano II non ha certamente diminuito il significato della vi¬ta liturgica come culto di Dio, anzi lo ha ribadito, ma il suo insegnamento non apporta su questo punto elementi nuovi o rinnovatori. Dobbiamo però notare che dello stesso culto il concilio presenta una nozione più ampia di quel¬la esclusivamente liturgica, grazie alla valorizzazione di tutta la vita cristiana come vita sacerdotale; la Sacrosanctum Concilium non manca di dire esplicitamente che la liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa, e che i fedeli devono glorificare il Padre dinanzi agli uomini anche attraverso le opere di carità, di pietà e di apostolato (n. 9); né debbono ritenere che la vita religiosa consista solo in de¬terminati atti di culto (GS 43). Per di più, quando ci parlano della liturgia come culto di Dio, i testi conciliari non tralasciano mai di accostare questo aspetto a quello della redenzione umana: il mistero di Cristo espresso dalla liturgia è glorificazione del Padre attraverso la salvezza del mondo, e se della liturgia come realizzazione della salvezza dovremo dire qualche cosa in particolare, è impossibile separare, nella documentazione conciliare, la dimensione culturale dell’azione liturgica dalla dimensione salvifica.Infatti, “ in Cristo “ avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato, e ci fu data la pienezza del culto divino ” (Sacr. Leon.) (SC 5) è questa l’opera dell’umana redenzione e della perfetta glorificazione di Dio (ibid) che viene continuata e attuata, per mezzo del sacrificio e dei sacramenti, nella Chiesa (SC 6); opera tanto grande, « con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati », e mediante la quale Cristo è sempre presente nella sua Chiesa associandola a sé nel culto dell’Eterno Padre (cfr SC 7).« Giustamente perciò la liturgia è ritenuta come l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell’uomo, e viene esercitato dal Corpo Mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale » (SC 7).Si può dunque parlare della visione liturgica del concilio come di un teocentrismo latreutico non meno che di un teocentrismo soteriologico della vita cristiana: glorificare Dio nella latria e salvare il mondo sono realizzazioni reciproche dell’azione e della vita liturgica.Realizzazione della salvezzaIl secondo aspetto della spiritualità liturgica messo in evidenza dal concilio è l’intimo rapporto tra liturgia ed economia della salvezza.Qui possiamo parlare di un indiscutibile rinnovamento, relativamente a quella prospettiva sacramentale della vita cristiana la quale mette in rilievo come l’economia della salvezza sia tutta incentrata in un organismo sacramentale, molteplice nei compiti e negli effetti, ma unico nella fondamentale azione del mistero salvifico di Cristo. Questa organizzata distribuzione della grazia che realizza l’itinerario dinamico della salvezza e della santità at¬traverso i sacramenti, non è soltanto un valore essenziale della vita spirituale, è anche contenuto dell’azione liturgica: l’attuazione dell’opera di salvezza annunziata dagli Apostoli — dice la Sacrosanctum Concilium — avviene « per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti, sui quali s’impernia tutta la vita liturgica » (n. 6). La liturgia come avvenimento, come azione, come realtà compiuta si incentra proprio nella celebrazione sacramentale intesa come atto cultuale che glorifica Dio e, purificando l’uomo, lo santifica (SC 5).Per quanto possa sembrare strano, è un fatto che in passato parecchi sacramenti, a parte la loro dimensione rituale sempre fedelmente rispettata, erano quasi diventa¬ti estranei alla coscienza liturgica del popolo cristiano: che tutta la vita sacramentale è essenzialmente vita liturgica veniva talvolta riconosciuto, o addirittura scoperto, con un certo stupore. Di qui quel diminuito senso della ecclesialità dell’avvenimento sacramentale e quella tendenza a vedere nell’atto sacramentale una situazione meramente individuale e privata. Il conci¬lio invece ha riportato le cose alle prospettive giuste, riattualizzando anche nelle prescrizioni normative (cfr SC 27) la dimensione liturgica della vita sacramentale, che del resto è tanto profondamente legata alla prima tradizione spirituale della Chiesa di Dio.E’ in questo senso che la Sacrosanctum Concilium parla della liturgia come di sorgente della grazia e punto di convergenza di tutte le altre attività della Chiesa (n. 10). Ed è in questa prospettiva che il vertice liturgico di tutta l’azione della Chiesa come azione santificatrice non si identifica esclusivamente con quel tipo di liturgia alla quale a volte limitiamo la nostra attenzione: il concetto di azione liturgica non coincide più con il gesto esteriore, squisita¬mente ed essenzialmente sociale, ma si allarga per assume-re a suo contenuto anche gesti che in se stessi non manifestano un carattere di socialità ma che, per intima connessione con l’azione della Chiesa, hanno una loro validità comunitaria e universale. Il sacramento della penitenza per fare un esempio — è una liturgia, nella quale il senso della solidarietà ecclesiale è indiscutibile (cfr LG 11; PO 5), e il gesto con cui offriamo al sacerdozio purifica¬tore di Cristo la nostra umanità peccatrice è a sua volta un gesto sacerdotale che fa assumere da Cristo, nei nostri peccati, quelli di tutto il mondo.A questo punto è chiaro che la nozione di liturgia, in quanto azione semplicemente rituale, sorretta da rubriche, non coincide più con la nozione di liturgia in quanto azione sacra compiuta dalla Chiesa. Le prospettive conciliari determinano una differenziazione, anzi l’impulso del concilio tende ad un orientamento minimalistico a proposito di rubriche, che va di pari passo con un certo massimalismo a proposito di sensibilità e di attività liturgica. Il concetto di liturgia si è venuto cioè purificando da una certa sovrastruttura di carattere puramente esteriore e rubricistico — la ” liturgia rito ” — per assumere un valore immensamente più grande, in virtù del quale la liturgia stessa presenta una sua misteriosa sacramentalità. Invisibile realtà visibilmente significata attraverso segni e comportamenti che sono manifesti, evidenti, la liturgia esprime un valore che da una parte si riallaccia al mistero di Cristo e della Chiesa (SC 2) e dall’altra comunica tale mistero ai fedeli, sia come singoli che come comunità (ibid). Ed ecco allora che l’avvenimento liturgico, in questa sua caratteristica sacramentale, realizza una sua natura personalistica e comunitaria insieme, non in senso di alternativa o di opposizione, ma in senso di comunione e di unitaria animazione, in quanto la comunità, il Popolo di Dio è frutto di una individuale comunione che, attraverso le esigenze della natura umana e della vocazione cristiana, trabocca nella comunione salvatrice del corpo mistico di Cristo.Significazione profeticaTerzo elemento essenziale al contenuto della vita liturgica è la sua funzione di segno.Attraverso l’azione liturgica il mistero della Chiesa, « di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita al¬la contemplazione, presente nel mondo e, tuttavia, pellegrina » (SC 2), viene per così dire celebrato, espresso e attualizzato in gesti che lo rappresentano e lo significano, con una funzione espressiva che non si limita a ciò che la liturgia opera nei confronti del culto di Dio e dell’economia della salvezza nella nostra terrena condizione di via-tori, ma si fa manifestazione, annunzio, profezia di quella realtà di culto e di salvezza che si compirà plenariamente e definitivamente nella vita eterna:« Nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo (Ap 21, 2; Col 3, 1; Ebr 8, 2) » (SC).Questa prospettiva profetica della liturgia realizza nel modo più eminente ed effettivo il contatto tra la Chiesa pellegrinante e la Chiesa celeste, proclamando l’indole escatologica della Chiesa stessa.Notiamo che questa significazione escatologica e profetica della liturgia è quella che in fondo giustifica la sollecitudine e la stima che la Chiesa di Dio dimostra per l’aspetto celebrativo dell’azione liturgica. La condizione celeste della vita della Chiesa è infatti una condizione celebrativa: è la celebrazione della gloria di Dio e della beatitudine degli eletti:« Quando Cristo apparirà e vi sarà la gloriosa risurrezione dei morti, lo splendore di Dio illuminerà la Città celeste e la sua lucerna sarà l’Agnello (Ap 21, 23). Allora tutta la Chiesa dei Santi con somma felicità d’amore adorerà Dio e ” l’Agnello che è stato ucciso ” (Ap 5, 12) esclamando ad una voce: ” A Colui che siede sul trono e all’Agnello va la benedizione, l’onore, la gloria e il dominio per tutti i secoli ” (Ap 5, 13) » (LG 51).Questa condizione conclusiva che viene qui sottolineata postula per la liturgia — proprio come valore spirituale — l’esigenza, che il concilio riconosce (cfr SC 112 sg), di un suo contenuto espressivo, di una strutturazione espressiva di carattere anche solenne, emozionale, precisamente per assolvere questa sua funzione di segno profetico, « di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti » (SC 129).Per questo triplice valore cultuale, salvifico ed escatologico, la liturgia è il vertice dell’attività della Chiesa, che in nessun’altra azione è altrettanto realizzatrice della sua missione come nell’azione liturgica: essa « in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza » (SC 7). In questa visione globale, sia terrestre che escatologica della liturgia, di cui tutta la Sacrosanctum Concilium è traboccante, noi dobbiamo vedere l’attuazione storica del mistero di Cristo in tutte le sue dimensioni e l’esercizio adeguato del suo unico sacerdozio partecipato al Popolo di Dio.È ovvio che, con questa importanza riconosciuta alla liturgia, il concilio non possa poi trascurare quello che è l’aspetto più propriamente e tecnicamente ascetico della stessa e insista quindi, non soltanto con norme precettive (SC 14-20) ma con tutto un orientamento ascetico e spirituale della vita, sulla formazione liturgica del Popolo di Dio.A questo proposito il testo della Sacrosanctum Concilium va integrato con l’insegnamento relativo all’educazione liturgica dei decreti sulla formazione sacerdotale, sul rinnovamento della vita religiosa, sul ministero sacerdotale. Nei seminari, i docenti delle altre materie abbiano cura di dare al mistero di Cristo e alla storia della salvezza il rilievo necessario perché ne risulti il loro rapporto con la liturgia, e la formazione sacerdotale trovi la sua unità (SC 16); si insegni ai chierici a riconoscere presenti e operanti i misteri della salvezza nelle azioni liturgiche (OT 16); gli alunni del clero indigeno sappiano scoprire il mistero di Cristo operante nella liturgia per viverlo (AG 16); i sacerdoti « vengano aiutati… a vivere la vita liturgica e a trasfonderla nei fedeli affidati » (SC 18); per i religiosi la « ricchissima fonte » della liturgia deve essere nutrimento non solo della vita spirituale a livello individuale ma anche della vita comunitaria (PC 6; 15); la formazione liturgica dei fedeli deve essere uno dei principali doveri del pastore in cura d’anime che voglia essere fedele dispensatore dei misteri di Dio (SC 19); nelle Chiese novelle la vita della fede, della liturgia e della carità è essenziale perché i gruppi dei fedeli diventino vere e proprie comunità (AG 19).Se a questi testi si aggiunge ciò che la Dei Verbum dice sulla realtà e l’importanza dei rapporti tra sacra scrittura e liturgia (n. 21; 25), si può avere un’idea del peso che il Vaticano II dà alla formazione liturgica: lo stesso che la tradizione ha sempre dato alla formazione ascetica e spirituale; anzi il concilio mette la formazione liturgica tra i primi mezzi della formazione ascetica (cfr AA 4), di modo che la formazione liturgica diventa animatrice di tutta la formazione ascetico-spirituale, mentre questa, priva di una adeguata educazione liturgica, appare eccessivamente strumentalistica e, nonostante tutto, prevalentemente umanistica. E’ la formazione liturgica che ha soprattutto la forza e l’efficacia di educare al senso del trascendente, al senso teocentrico della vita, che mira cioè a realizzare efficacemente il triplice valore di culto, di salvezza e di profezia che la Chiesa terrestre e celeste offre nell’azione liturgica al Popolo di Dio. Ascolto della parola di DioQuesta formazione liturgica così intesa punta su due valori essenziali che attuano praticamente quanto la liturgia offre con la sua azione al popolo fedele, e quanto il po¬polo vivendo la liturgia assume con un’assimilazione personale che lo rende glorificatore del Padre, e contemporaneamente salvato e salvatore. Il primo di questi valori contenuti nell’azione liturgica è l’offerta e l’ascolto della parola di Dio; il secondo è la comunione con la vita personale di Cristo.Fin dai primi anni del cristianesimo, la liturgia della Chiesa è stata caratterizzata dalla presenza della parola di Dio:« Proprio nel giorno della Pentecoste, che segnò la manifestazione della Chiesa al mondo, ” quelli che accolsero la parola ” di Pietro ” furono battezzati ” ed erano ” assidui all’insegna¬mento degli Apostoli, alle riunioni comuni, alla frazione del pane, e alla preghiera… lodando insieme Dio… ” (At 2, 41-47). Da allora, la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale, mediante la lettura di quanto ” nella Scrittura Lo riguardava ” (cfr Lc 24, 27), mediante la celebrazione dell’Eucaristia…, e mediante l’azione di grazie ” a Dio per il suo dono ineffabile ” (2 Cor 9, 15) nel Cristo Gesù ” in lode della sua gloria ” (Ef 1, 12) per virtù dello Spirito Santo » (SC 6).La parola di Dio è inserita nell’azione cultuale, e lo è per significare sia la presenza che la rivelazione di Dio: nella liturgia è Cristo stesso che annunzia il Vangelo, è Dio che parla al suo popolo (SC 33). La Sacrosanctum Concilium si preoccupa di sottolineare l’importanza della parola di Dio nella liturgia, anzi l’intima connessione tra senso del¬la divina parola e senso liturgico:« Massima è l’importanza della Sacra Scrittura nella celebra¬zione liturgica. Da essa infatti si attingono le letture… e i salmi…; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i gesti liturgici. Perciò per promuovere la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra Liturgia, è necessario che venga favorita quella soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali che occidentali » (SC 24).Tuttavia il momento della parola di Dío nella liturgia non si limita a questa funzione strutturale. Ciò che il concilio vuol sottolineare quando parla della « mensa della parola di Dio » (DV 21; SC 51; PC 6; PO 18, ecc.) è che l’annunzio della parola di Dio nella liturgia è profonda¬mente connesso alla funzione vivificatrice della liturgia stessa: è un gesto di vita cristiana. Qui soprattutto, in dimensione liturgica, è il caso di ricordare il rapporto tra sacra scrittura e fede, perché questo dono della fede, che è dono di vita cristiana, di vita divina, proprio nell’azione liturgica viene offerto e realizzato attraverso l’annuncio della parola di Dio, che è tanto più specificamente vitale quanto più intimamente connesso con il ministero della grazia, che nell’azione liturgica viene sacramentalmente comunicata:« La predicazione della parola è necessaria per lo stesso ministero dei Sacramenti, trattandosi di Sacramenti della fede, la quale nasce e si alimenta con la parola » (PO 4); « difatti in virtù della parola salvatrice, la fede si accende nel cuore dei non credenti e si nutre nel cuore dei credenti, e con la fede ha inizio e cresce la comunità dei credenti » (ibid).Questa intenzione essenzialmente vitale dell’annunzio del¬la parola di Dio non entra nella sacra liturgia unicamente in funzione di cultura religiosa — anche se il fine istruttivo è presente (SC 33) — ma soprattutto in funzione di vita spirituale; e ciò implica da parte del fedele che partecipa all’azione liturgica, sia esso chierico o laico — questo non ha importanza, perché nell’azione liturgica tutto il Popolo di Dio è partecipe — un atteggiamento che non deve essere quello del curioso che cerca di sapere, ma del credente che cerca di nutrire con le parole di vita eterna (Gv 6,68) la sua comunione con il Signore.L’intenzione della Chiesa nel dare un posto così assolutamente primario alla parola di Dio nel rinnovamento liturgico è stata proprio quella di metterci nella condizione di un ascolto che diventi preghiera, che si trasformi in comunione. Qui può essere il caso di parlare di ascesi in prospettiva liturgica: un mortificare la nostra curiosità, le nostre esigenze di intellettuali raziocinanti, la superbia di tante nostre indagini con cui oggi per lo più ci accostiamo alla pagina sacra, per acquistare una semplicità di ascolto della parola eterna di Dio che diventi so¬stanza della nostra vita. Oggi la liturgia della messa impegna la nostra ascesi al livello più arduo, quello dell’intelligenza, perché nell’umiltà di una fede che adora, l’incontro con la parola diventi incontro personale con Dio.Nell’azione liturgica l’ascolto della parola di Dio è sorretto dal sacerdozio universale, nel senso che non soltanto il sacerdozio ministeriale annunzia la parola, ma anche il sacerdozio comune dei fedeli è attivo in questa comunione con la parola di Dio. Di questo possiamo cogliere una risonanza nella rinnovata disciplina della Chiesa, che ormai ammette ad annunziare la parola nell’azione liturgica non soltanto il chierico ma anche il laico: è certamente la risonanza di questa rinnovata dottrina del sacerdozio universale, per cui l’annunzio non ha attori e spettatori, ma è un’azione ecclesiale che raggiunge tutto il Popolo di Dio, indipendentemente dalla funzione ministeriale o meno che il singolo fedele eserciti; e il commento omiletico aggiunto alla parola di Dio, che si caratterizza precisamente per la sua natura più o meno direttamente magisteriale e quindi affidata al sacerdozio ministeriale, non fa che sottolineare, con la stessa differenza del rito, come la parola di Dio sia valore universale senza distinzione di classi. Ma, ancora a livello di fede e di comunione, ci sembra che sia giusto pensare come la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, abbia voluto ricondurre la parola di Dio al centro, al vertice del¬la preghiera cristiana anche attraverso questa più diretta partecipazione del popolo fedele, in modo che il Signore non continui a restare ai margini della vita dei suoi credenti, ma irrompa in essa anche mediante il segno liturgico. Ed è per questo che bisogna evitare l’insidia di prestare magari tanta attenzione a quella che può essere la novità rituale preoccupandosi invece troppo poco della novità spirituale significata da questo impegno attivo liturgico.È in questa prospettiva che il perenne annunzio del la parola nella liturgia ha una funzione non soltanto di proposta e di ricordo della fede, ma dí incremento della stessa; e una vera spiritualità liturgica sarebbe monca se non approfondisse questa preoccupazione vissuta di attingere dall’annunzio liturgico della parola di Dio il provvidenziale alimento di una fede che deve crescere, che deve maturare, che deve camminare, mediante l’animazione dell’annunzio, verso la pienezza della visione. In questo sen¬so è da sottolineare come la Sacrosanctum Concilio; non opponga l’ascolto liturgico della parola di Dio all’atteggiamento contemplativo dell’orante (SC 11; 90); anzi, il « sacro silenzio » come momento liturgico ha avuto nel testo conciliare una sua rivalutazione (SC 30) che è destinata a corrispondere al desiderio profondo del Popolo di Dio, nella misura che la sua spiritualità e la sua formazione cristiana verrà intrisa di autentico senso liturgico. Si può dire che, attraverso l’ascolto della parola di Dio, il silenzio diventa una specie di valore teologale, per la trasparenza della verità che esso significa: la verità del mistero di Dio contemplato nella fede.Comunione con CristoDopo quanto abbiamo detto fin qui non c’è nemmeno bisogno di ripetere che tutta l’azione liturgica non è altro che un offrire Cristo al Popolo di Dio. Espressione e attuazione del suo mistero nella triplice dimensione cultuale, salvifica ed escatologica e quindi esercizio per eccellenza del suo sacerdozio partecipato alle membra del corpo mistico, la liturgia realizza nel modo più totale ed effi¬cace la presenza di Cristo nella Chiesa, come ci dice un testo di sintesi, della Sacrosanctum Concilium (n. 7) che abbiamo frammentariamente citato e che va letto per intero. È ovvio che una delle principali espressioni di questa incessante presenza di Cristo nella Chiesa sia la preghierache Cristo sacerdote « unito al suo Corpo eleva al Padre » (SC 84) e alla quale viene associata tutta l’umanità (SC 83). Il recuperato senso della preghiera liturgica come pre¬ghiera di tutto il Popolo di Dio è uno dei valori ai quali i cristiani più impegnati si mostrano oggi particolarmente sensibilizzati e attenti, e rappresenta una delle più decise manifestazioni di quel « transítus Spirítus Sancti in sua Ecclesia » (SC 43) che è l’attuale corrente di rinnovamento liturgico.Tutta l’azione liturgica è preghiera, è azione orante, è avvenimento di preghiera in quanto realizza la comunione con Cristo e col suo mistero; ma è evidente che soprattutto nella celebrazione dell’eucaristia diventa realtà questa unione del Popolo di Dio con Cristo, che costituisce poi l’unità del corpo mistico. Unito a Cristo, il popolo fedele viene offerto in quella oblazione che nella perfezione della gloria resa al Padre ha il titolo della salvezza del mondo. Qui occorre appena ri¬chiamarsi a quel diritto-dovere che il sacerdozio universa¬le conferisce ai fedeli di partecipare attivamente all’oblazione eucaristica facendo da essa assumere se stessi e tut¬ta la loro vita:« E’ attraverso il ministero dei Presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto perché viene unito al sacrificio di Cristo, unico Mediatore; questo sacrificio, infatti, per mano dei Presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell’Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore » (P0 2; cfr LG 28).In questo senso la vita di Cristo, la grazia di Cristo e lo stesso mistero del corpo mistico — come il concilio non si stanca di sottolineare (cfr SC 47; LG 3; 11; 26; UR 2, ecc.) — vengono realizzati, espressi e partecipati dal-l’azione liturgica. Lo stesso ministero della parola ha il suo vertice in questa « mensa della paro¬la di Dio » che, unita alla mensa del corpo del Signore, costituisce la rivelazione personale di Cristo e il più efficace mezzo di comunione con lui. Incremento delle virtù cristianeQuesta comunione con Cristo, realizzata dalla liturgia, questa partecipazione al mistero di Cristo attraverso il ministero della parola e della grazia, si presenta in profonda connessione, nel testo conciliare, con l’incremento delle virtù cristiane. L’azione liturgica, la realtà liturgica viene così intesa come sorgente e itinerario della vita cristiana.La vita liturgica, secondo la fondamentale ispirazione della Sacrosanctum Concilium, è l’alimento della vita morale attraverso la partecipazione del mistero di Cristo, che non è solo causa efficiente della santità, ma causa esemplare della stessa. Tutta la struttura dell’azione liturgica tende a mettere in evidenza questa esemplarità del mistero di Cristo che, offrendolo, lo partecipa, lo comunica; e da questo punto di vista lo stesso tempo liturgico ha il suo preciso significato che il concilio si preoccupa di sottolineare:« La Santa Madre Chiesa considera suo dovere celebrare… l’opera della salvezza del suo Sposo divino… Nel corso dell’anno poi distribuisce tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione e dalla Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in tal modo i misteri della Redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei membri del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti a tutti i tempi, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza » (SC 102).La rivalutazione della domenica, come settimanale celebrazione del mistero pasquale e perciò « festa primordiale… il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico » (SC 106), è indice di questo prevalente senso del mistero e dell’imitazione di Cristo nella vita della Chiesa e del cristiano.Questo rapporto tra vita liturgica e vita morale del cristiano ci permette di dire, come il concilio fa parecchie volte, che la liturgia non è un ” tipo ” di spiritualità cristiana, un modo di essere cristiani, ma è l’unico modo, o almeno il modo fondamentale di esserlo. Ricordiamo; « essa infatti è la prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possano attingere il genuino spirito cristiano » (SC 14); « è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù » (SC 10); anche se, con l’equilibrio che abbiamo più volte notato, la Sacrosanctum Concilium riconosce che questo eminente valore della liturgia non esaurisce in ultima specie tutta la vita cristiana (SC 9; 12). Non l’esaurisce ma la feconda, e si può dire quindi che non c’è nessun momento e nessun esercizio e nessuna forma di vita spirituale che alla liturgia non si ispiri, che non abbia le sue radici feconde nel mistero di Cristo (SC 13).C’è nella Sacrosanctum Concilium una successione di testi (n. 9-13) che esprime questo rapporto che unisce la intera vita spirituale cristiana alla vita liturgica senza tuttavia esaurire la prima nella seconda; sarà bene tenerli pre-senti perché su di essi poggiano tutte le nostre presenti riflessioni:« La sacra Liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa. Infatti, prima che gli uomini possano accostarsi alla Liturgia, bisogna che siano chiamati alla fede e si convertano… Per questo motivo la Chiesa annunzia il messaggio della salvezza a coloro che ancora non credono, affinché tutti gli uomini conoscano l’unico vero Dio e il suo inviato, Gesù Cristo, e sí convertano dalle loro vie facendo penitenza…, deve inoltre disporli ai Sacramenti, insegnar loro ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato, ed incitarli a tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, attraverso le quali si renda manifesto che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini » (SC 9). « La Liturgia spinge i fedeli, ” nutriti dei sacramenti pasquali “, a vivere ” in perfetta unione “, e domanda che « esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede » (Miss. Rom.) » (SC 10).Ad ottenere la piena efficacia della grazia che emana dalla vita liturgica « è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia con retta disposizione d’animo, conformino la loro mente alle parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano » (SC 11).« La vita spirituale tuttavia non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia. Il cristiano, infatti, benché chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto a entrare nella sua stanza per pregare il Padre in segreto (Mt 6, 6); anzi, secondo l’insegnamento dell’Apostolo, è tenuto a pregare incessantemente (1 Tess 5, 17). Il medesimo Apostolo poi c’insegna a portare continuamente nel nostro corpo i patimenti di Gesù morente, affinché la vita di Cristo si manifesti nella nostra carne mortale. È per questo che nel Sacrificio della Messa preghiamo il Signore che ” accettando l’offerta del sacrificio spirituale ” faccia ” di noi stessi un’offerta eterna ” (Miss. Rom.) » (SC 12).Da questa pagina si vede come il concilio esemplifichi almeno tre dettagli della vita spirituale globalmente intesa — conversione, ascesi, preghiera — distinguendoli dalla vita liturgica, ma collegandoli ad essa.Prima di tutto la liturgia, la vita liturgica è il fonda¬mento fecondo di quell’itinerario di conversione cui il cristiano è chiamato. Se occorre un’azione propedeutica per i non credenti (SC 9), i momenti essenziali della conversione sono operati dall’azione sacramentale liturgica; però il dinamismo e lo sviluppo della conversione, fermo rimanendo l’inserimento nell’azione liturgica, ha anche esigenze ed espressioni che sono più direttamente e immediatamente personali, e non sono legate all’azione liturgica come tale, sebbene sempre ne usufruiscano. Potremmo per esempio mettere in rilievo come la stessa vita sacramentale dei credenti, per quanto sia tutta essenzialmente liturgica, ha delle espressioni, delle esplicitazioni, dei condizionamenti che non hanno un immediato riferimento all’azione liturgica come tale, ma ne sono piuttosto la maturazione nella vita del singolo credente: in questo senso il testo richiama la coerenza tra la fede e la vita, tra la carità fraterna e la grazia dei sacramenti pasquali (SC 10) e parla di cooperazione con la grazia divina della liturgia (SC 11).Altri documenti parlano di una continuità della conversione, di un itinerario di conversione che è stimolato dall’atto liturgico, di modo che mentre il momento attuale della conversione è affidato al gesto sacramentale, la continuità ne è affidata ad un crescente impegno personale. Così, i sacerdoti debbono « invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità » (PO 4) e a sottoporre alla Chiesa i propri peccati nel sacramento della penitenza, « per potersi così convertire ogni giorno di più al Signore » (P0 5); essi stessi, con un quotidiano esame di coscienza si preparino all’atto sacramentale della penitenza per favorire « la necessaria conversione del cuore all’amore del Padre delle misericordie » (PO 18); in senso più radicale, la conversione dei non cristiani è tutto un itinerario spirituale di comunione al mistero pasquale di Cristo (AG 13) che viene immediatamente partecipato nella vita sacramentale (LG 7).Perciò, come la conversione va perseguita non sol¬tanto attraverso il gesto liturgico ma attraverso il gesto ascetico, così questa dimensione ascetica, che traduce la conversione personale del credente, ha il suo centro in quella configurazione a Cristo nella partecipazione alla sua passione e morte che il testo conciliare ci ha ricordato con le parole di san Paolo (SC 12; cfr AA 16), e nella fedeltà al suo insegnamento (SC 9): momenti tutti che il cristiano non può affidare soltanto all’azione liturgica collettiva della Chiesa, ma che deve assumere nel suo personale impegno di quotidiana coerenza. La liturgia non viene mai a sostituire la individuale corrispondenza del cristiano e le sue conseguenze; non è un alibi di disimpegno e nemmeno una specie di solidarietà che esima il singolo cristiano dal suo personale apporto di vita virtuosa.Terzo elemento che abbiamo visto indicato dal concilio come valore che si radica certamente nella fondamentale azione liturgica della Chiesa di Dio, ma insieme se ne distingue per le varie ed innumerevoli possibilità di esplicitazione personale, è quello della preghiera (SC 12).La preghiera personale non si op¬pone alla preghiera liturgica, ma ha in essa le sue radici essenziali: la Sacrosanctum Concilium dice esplicitamente che « l’Ufficio divino, in quanto preghiera pubblica della Chiesa, è fonte di pietà e nutrimento della preghiera personale » (n. 90). Vale a dire che, proprio nella misura che il cristiano è cristiano — fatto cristiano dalla fecondità dell’azione liturgica — cresce la sua capacità di maturare nell’esperienza personale della preghiera e della comunione con Dio.Anche qui è possibile integrare la Sacrosanctum Concilium con altri testi, a documentare la continuità della prospettiva conciliare: i sacerdoti debbono insegnare ai fedeli una così intima partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che li porti « anche in esse alla preghiera sin¬cera », e a conservare « per tutta la vita uno spirito di orazione sempre più attivo e perfetto » (PO 5); personalmente poi « l’anima sacerdotale si studia di rispecchia¬re ciò che viene realizzato sull’altare » penetrando « sempre più a fondo nel mistero di Cristo con la preghiera » (PO 14) e con il « dialogo quotidiano », visitandolo « nel tabernacolo » e praticando « il culto personale della Santissima Eucaristia » (PO 18); i religiosi attingono « lo spirito di preghiera e la preghiera stessa » dalle fonti della spiritualità cristiana, cioè dalla sacra scrittura e dalla sacra liturgia (PC 6); qualsiasi lettura della sacra pagina « dev’essere accompagnata dalla preghiera » per diventare colloquio tra Dio e l’uomo (DV 25); la fecondità dell’apostolato dei laici sta in una vita di preghiera, realizzata sia nel culto pubblico che nell’orazione (AA 16).Esiste quindi una solidarietà, tra preghiera liturgica e preghiera personale che ha anche una reciprocità, in quanto nel cristiano impegnato l’assiduità e la personalizzazione del proprio impegno di orante rappresenta un atteggia-mento quanto mai propizio ad una assimilazione più totale, più profonda e più vera di tutta la realtà liturgica: si può parlare cioè di una specie di osmosi, dove evidentemente il dato oggettivo del mistero di Cristo è precedente, ma dove tuttavia la fedeltà personale ha una sua azione tante volte determinante per caratterizzare una santità.Da questa nostra panoramica possiamo dire che secondo l’insegnamento del concilio tutta la vita spirituale è intrisa di ricchezza liturgica, non identificata con la pura fedeltà al rito, ma intesa come partecipazione al mistero di Cristo che è avvenimento, è azione, è realtà che si compie, e si compie attraverso l’attività della Chiesa di Dio, la quale opera il permanere del mistero nel dato contemporaneo della vita di ogni uomo, assumendolo e rendendolo con ciò capace di una sua personale maturazione, che sia ad un tempo partecipazione al mistero di Cristo e caratteristica manifestazione dello stesso.Concludo citando le parole di Papa Francesco: ” La preghiera del cristiano fa propria la presenza sacramentale di Gesù. Ciò che è esterno a noi diventa parte di noi: la liturgia lo esprime perfino con il gesto così naturale del mangiare. La Messa non può essere solo “ascoltata”: è anche un’espressione non giusta, “io vado ad ascoltare Messa”. La Messa non può essere solo ascoltata, come se noi fossimo solo spettatori di qualcosa che scivola via senza coinvolgerci. La Messa è sempre celebrata, e non solo dal sacerdote che la presiede, ma da tutti i cristiani che la vivono. E il centro è Cristo! Tutti noi, nella diversità dei doni e dei ministeri, tutti ci uniamo alla sua azione, perché è Lui, Cristo, il Protagonista della liturgia.Quando i primi cristiani iniziarono a vivere il loro culto, lo fecero attualizzando i gesti e le parole di Gesù, con la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché la loro vita, raggiunta da quella grazia, diventasse sacrificio spirituale offerto a Dio. Questo approccio fu una vera “rivoluzione”. Scrive San Paolo nella Lettera ai Romani: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (12,1). La vita è chiamata a diventare culto a Dio, ma questo non può avvenire senza la preghiera, specialmente la preghiera liturgica. Questo pensiero ci aiuti tutti quando si va a Messa: vado a pregare in comunità, vado a pregare con Cristo che è presente. Quando andiamo alla celebrazione di un Battesimo, per esempio, è Cristo lì, presente, che battezza. “Ma, Padre, questa è un’idea, un modo di dire”: no, non è un modo di dire. Cristo è presente e nella liturgia tu preghi con Cristo che è accanto a te”.(Catechesi del 3.02.2021).