Uomini e discepoli al servizio della gente, la formazione dei presbiteri oggi

Le parole a mons. Lazzaro You Heung sik, prefetto della Congregazione per il Clero nella prolusione tenuta in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia università Lateranense

“Non siamo solo al servizio del popolo fedele, ma di tutti i fedeli cristiani e non cristiani. Siamo chiamati a vivere costantemente in uscita, oltrepassando con il cuore e con lo sguardo ogni barriera, per realizzare il sogno di Gesù: che siamo uno, fratelli tutti”. Lo ha detto questa mattina mons. Lazzaro You Heung sik, prefetto della Congregazione per il Clero nella prolusione tenuta in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia università Lateranense dal tema: “Uomini e discepoli a servizio della gente. Vita e formazione dei presbiteri oggi”. Ricordando che “viviamo in un cambiamento d’epoca” secondo l’insegnamento di papa Francesco, il presule ha invocato “lo Spirito per capire come affrontare questi tempi nuovi”, sottolineando che “il concilio Vaticano II è stato il gran passo in questa direzione e la cui carica profetica non si è ancora esaurita”. Per questo mons. Heung Sik, richiamando il Sinodo, “abbiamo bisogno di ascoltarci l’un l’altro per scegliere cosa è nei piani di Dio nel qui ed oggi”. In questo il Prefetto pone il tema della formazione dei presbiteri, evidenziando che “va assunta e curata la nostra umanità secondo l’amicizia e il saper piangere e gioire con gli altri e il partecipare alla vita civile, ma questa nostra umanità va sempre messa in discussione ed evangelizzata”.  Da qui la ratio della stessa formazione: “dobbiamo essere cristiani prima che sacerdoti, discepoli prima che maestri, chiamati anzitutto a vivere il mistero pasquale che poi andremo a celebrare”. Mons. Heung Sik ha espresso la “preoccupazione” perchè “troppo spesso parliamo del presbitero al singolare, mentre il Concilio declina questa espressione al plurale, perché come presbiteri siamo un corpo attorno al vescovo. Per questo siamo chiamati, in questa società frammentata, a sentirci famiglia”.