Il dibattito sulla nuova legge sulla cittadinanza
Sostanzialmente la legge di riferimento è ancora quella del 1992, nonostante i profondi cambiamenti che hanno investito la realtà del fenomeno migratorio nel nostro Paese
E’ difficile fare previsioni sull’esito che avrà effettivamente il dibattito intorno alla nuova legge sulla cittadinanza e se la via dello ius scholae – su cui peraltro anche i sondaggi registrano notevoli consensi – troverà finalmente una concretizzazione normativa. I precedenti non sono incoraggianti, come dimostra il fatto che sostanzialmente la legge di riferimento è ancora quella del 1992, nonostante i profondi cambiamenti che hanno investito la realtà del fenomeno migratorio nel nostro Paese e nonostante la consapevolezza sempre più diffusa che l’apporto dei “nuovi italiani” è e sarà sempre più decisivo per gli equilibri demografici ed economici.
Qualcosa però sembra essersi davvero messo in movimento. A far ripartire il percorso della riforma è stata l’apertura di Forza Italia che ha disincagliato il dibattito dalle secche di un’interpretazione angusta e miope dei vincoli di maggioranza. Il premierato come nuovo assetto istituzionale è di là da venire, al di là degli annunci che sottolineano enfaticamente ogni passaggio anche meramente formale, ma di fatto le dinamiche di un maggioritario spinto che finisce per limitare fortemente le prerogative del Parlamento sono già pienamente operanti. Il tema annoso dell’overdose di decreti-legge sta lì a documentarlo. Le stesse riforme costituzionali sono diventate un affare di maggioranza (ma sotto questo profilo anche il centro-sinistra ha i suoi peccati da farsi perdonare…), impacchettate in un accordo che prevede un capitolo per ciascuno dei partiti che formano la coalizione di governo: premierato, autonomia differenziata, separazione delle carriere dei magistrati.
Nessuno nega all’esecutivo di turno il diritto di portare avanti il proprio programma con il sostegno dei gruppi parlamentari usciti dalle elezioni. Ma la Camere non possono essere ridotte a cinghia di trasmissione delle iniziative del governo. “Organo della rappresentanza politica”, “centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione”: così la Corte costituzionale definisce il Parlamento. Esso è il luogo in cui si rispecchia il pluralismo politico e culturale del Paese e questa identità non può essere cancellata dai meccanismi che pur legittimamente vengono adottati per garantire la governabilità. Sarebbe davvero un bel segnale se, su un tema di così grande rilevanza sociale e civile come la cittadinanza, la discussione e il voto delle Camere potessero svilupparsi con libertà e senso di responsabilità. Certo, non solo la maggioranza dovrebbe rinunciare a rinchiudersi nelle mura dell’esecutivo, ma anche le opposizioni dovrebbero evitare di cavalcare la questione per mettere in difficoltà il governo. Mettere da parte contrapposizioni ideologiche “ma non gli ideali, la conoscenza, la passione”, per dirla con il cardinale Zuppi. A giudicare da come è stato strumentalizzato dalla Lega persino l’omicidio di Sharon Verzeni non è facile essere ottimisti, ma il tentativo va condotto fino in fondo.
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