Una speranza per i malati di Alzheimer
Per la prima volta, in una sperimentazione clinica con un farmaco destinato all’Alzheimer, viene registrato un reale, sebbene modesto, rallentamento del declino cognitivo nei pazienti trattati.
Si accendono ancora luci di speranza nel difficile cammino per sconfiggere la malattia di Alzheimer. Un recente studio (pubblicato sul prestigioso “New England Journal of Medicine”) descrive infatti i risultati della sperimentazione (attualmente in fase 3) di un nuovo farmaco, il Lecanemab, che, se somministrato nelle fasi precoci della malattia, sembrerebbe in grado di rallentare il declino cognitivo nei malati di Alzheimer. Il meccanismo d’azione del Lecanemab – un anticorpo monoclonale sviluppato da Eisai e Biogen – consiste nel ridurre la quantità di proteina beta amiloide accumulata nel cervello dei malati di Alzheimer, dove forma delle placche che giocano un ruolo chiave nella degenerazione del tessuto nervoso.
Più in dettaglio, la sperimentazione del nuovo farmaco è stata condotta in 232 centri di cura in Nord America, Europa e Asia, coinvolgendo 898 pazienti (tra i 50 e i 90 anni) affetti da Alzheimer ad uno stadio precoce, a cui è stato somministrato il Lecanemab per 18 mesi, e altri 897 soggetti a cui invece è stato somministrato un placebo (la sperimentazione è stata condotta “in doppio cieco”).
Risultati? Al termine del percorso sperimentale, i pazienti che avevano ricevuto il Lecanemab hanno fatto registrare un declino delle capacità cognitive del 27% più lento rispetto ai pazienti trattati con placebo, oltre a mostrare una riduzione degli accumuli di proteina beta amiloide nel loro cervello. Più specificamente, all’inizio dello studio entrambi i gruppi avevano una “valutazione di demenza clinica” con punteggio 3,2, coerente con l’Alzheimer precoce. Dopo 18 mesi il punteggio è aumentato di 1,21 punti nel “gruppo Lecanemab” e di 1,66 nel “gruppo placebo”. In definitiva, il declino cognitivo si è registrato in entrambi i gruppi, ma è stato più lento in chi ha assunto Lecanemab.
Va rimarcato che per la prima volta, in una sperimentazione clinica con un farmaco destinato all’Alzheimer, viene registrato un reale, sebbene modesto, rallentamento del declino cognitivo nei pazienti trattati. Tra la comunità scientifica, tuttavia, permane grande cautela, dal momento che la riduzione ottenuta è poco marcata e non è effettivamente chiaro se abbia risvolti quotidiani che possano davvero essere notati dai pazienti e dai loro familiari. “Il risultato – spiega il professor Alberto Albanese, responsabile dell’Unità di Neurologia all’istituto Humanitas di Milano – è certamente statisticamente significativo a favore del farmaco, ma di scarsa rilevanza dal punto di vista clinico e potrebbe non significare molto per i pazienti spostare il punteggio da un 3,2 di partenza a un 4,4 con il farmaco e un 4,8 con placebo, tenuto conto anche del numero enorme di pazienti coinvolto, del periodo abbastanza lungo dello studio, un anno e mezzo, e degli importanti effetti collaterali”. E sì, perché un altro dato evidente è che, purtroppo, l’assunzione del Lecanemab causa anche dei pesanti effetti collaterali nei soggetti trattati. Lo studio in questione riporta che il 13% dei pazienti ha avuto edemi cerebrali e il 17% emorragie cerebrali (eventi registrati rispettivamente nel 2% e nel 9% di coloro che hanno ricevuto soltanto il placebo). E’ anche vero che queste complicazioni, nella maggior parte dei pazienti, si sono risolte nell’arco di qualche settimana, e solo nel 3% dei casi hanno determinato sintomi.
Dunque, rimane ancora molta strada da fare perché all’ottenimento di successi sul piano prettamente “biologico” corrisponda anche un effettivo aumento dei benefici clinici nei pazienti.
Ma i risultati acquisiti in questo studio rappresentano un concreto passo avanti che segna la strada per le prossime ricerche, dando così nuove speranze ai 55 milioni di persone nel mondo (in Italia circa 750.000) che soffrono di Alzheimer.
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