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CONSIGLIO PERMANENTE CEI

Mons. Baturi: “Serve una visione larga della cittadinanza”

L'arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, nella conferenza stampa di chiusura del Consiglio permanente della Cei, a Roma, si è soffermato con i giornalisti su temi come lo ius scholae, la pace, il Cammino sinodale, la riforma della Cei, le violenze in famiglia, l'Europa, l'ambiente. Tra gli impegni, "diffondere una cultura che non si rassegni alla guerra"

Mons. Baturi: “Serve una visione larga della cittadinanza”

“Non ne abbiamo parlato, ma da tempo la Cei – con la presidenza dei cardinali Bagnasco, Bassetti e Zuppi – ha assunto un orientamento favorevole allo ius scholae, che dà la possibilità di integrare nella pienezza dei loro diritti coloro che condividono i nostri valori”. Così mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, ha risposto alle domande dei giornalisti sul referendum sulla cittadinanza. Durante la conferenza stampa di chiusura del Consiglio permanente della Cei, Baturi ha precisato che “non abbiamo parlato di questo tema, che non era all’ordine del giorno ed è emerso negli ultimi giorni”, ricordando però che “da tempo la Cei chiede una visione larga della cittadinanza, utile anche per evitare mortificazioni improprie della dignità delle persone”.

 “Diffondere una cultura che non si rassegni alla guerra”, l’impegno della Chiesa italiana per la pace: “Sembrano parole fuori della realtà, ma noi vogliamo sfidarla per sperare in un mondo diverso in cui ci sia il rispetto per la giustizia e per la vita”, ha spiegato rispondendo alle domande dei giornalisti sull’appello per la pace con cui si è concluso l’appuntamento autunnale dei vescovi italiani. “Sono ore drammatiche”, ha commentato: “Le notizie della guerra hanno fatto elevare una preghiera per la pace che tocchi i cuori dei potenti per garantire la giustizia, la libertà e la pacifica convivenza”. E all’insegna della preghiera la Chiesa italiana vivrà anche la prima Assemblea sinodale, in programma nella basilica di San Paolo fuori le mura dal 15 al 17 novembre. Alla prima Assemblea del cammino sinodale, di cui i vescovi hanno approvato i Lineamenti, frutto di tre anni di lavoro, parteciperanno 1.100 persone, di cui 900 delegazioni delle 226 Chiese locali composte sulla base numerica delle diocesi rispetto agli abitanti, cui vanno aggiunte le 100 persone che compongono il Comitato ed altri invitati. A rendere noto i numeri dell’appuntamento di novembre è stato mons. Valentino Bulgarelli, sottosegretario della Cei. L’obiettivo di questa prima assemblea, ha spiegato, “è scrivere insieme lo strumento di lavoro che diventerà oggetto di riflessione per le chiese locali”, in vista della seconda Assemblea sinodale, in programma dal 30 marzo al 4 aprile 2025.

“Entro un anno ci sarà il nuovo quadro degli Uffici e Servizi della Cei, di cui il Consiglio permanente ha già approvato le linee guida”, la risposta di mons. Baturi sulla riforma di cui ha parlato il card. Zuppi nella sua introduzione ai lavori e che riguarda due aspetti: la possibile riforma dello Statuto e il nuovo assetto dei circa 25 Uffici e Servizi della Segreteria generale della Cei. “La possibile riforma dello Statuto – ha spiegato Baturi – riguarda l’esercizio della sinodalità tra i vescovi, cioè la collegialità, alla luce di quanto è già stato fatto in diverse Chiese d’Europa”. La riforma approvata degli Uffici e Servizi della Cei, a servizio delle Chiese particolari, prenderà corpo entro un anno ed è stata improntata a tre principi, sulla base della “trasformazione missionaria” auspicata da Papa Francesco già con l’Evangelii gaudium: missionarietà, partecipazione e diaconia. “L’intenzione è quella di aggregare i vari Uffici e Servizi raggruppandoli in tre grandi ambiti: annuncio, celebrazione e testimonianza della vita cristiana”.

Tra i temi all’ordine del giorno delle cronache, le “notizie di violenze e morte nei contesti affettivi, deputati ad essere contesti di fiducia”.

“Parlare di emergenza educativa significa parlare del futuro”, ha affermato Baturi, rivelando che i vescovi italiani sono “preoccupati sia per la violenza, l’istintività, la mancanza di progetto, sia perché si tratta di giovani a cui dovremmo saper trasmettere ragioni di vita e di speranza”. “Non basta comunicare regole di vita”, il monito: “Quando una società non riesce a trasmettere questi valori, il tessuto sociale si indebolisce. L’emergenza educativa riguarda l’intera società, bisogna sfidare la mentalità nichilista per capire se sia possibile un futuro di speranza”. Sul piano pastorale, per Baturi occorre “rafforzare gli ambiti frequentati dai giovani, a partire dagli oratori, tramite proposte educative capaci non solo di intercettare i giovani, ma di influire sulla loro capacità di relazioni armoniose partendo dalla proposta cristiana”. Per la Chiesa italiana, in altre parole,

“è finito il tempo della parrocchia autosufficiente:

bisogna saper integrare i diversi ambiti, scolastico,  educativo, culturale, del cinema e dello svago. Le scuole di ispirazione cristiana devono saper motivare sempre di più i ragazzi partendo dalla loro proposta educativa e valorizzando l’insegnamento della religione cattolica o la presenza di educatori cattolici nella scuola”. “Oggi sono in crisi le alleanze educative, tra famiglia e scuola, tra famiglia e Chiesa”, il grido d’allarme dell’arcivescovo: “Bisogna saper ricreare queste alleanze, leggere nella cronaca un appello e un compito in cui dobbiamo sentirci tutti responsabili”.

“L’Europa deve recuperare un’anima,

nasce dal sangue di milioni di persone versato non molti decenni fa”, le parole sulla proposta del card. Zuppi di una “Camaldoli per l’Europa”. “L’Europa è nata con prospettiva di pace e di integrazione tra i popoli, deve saper recuperare questa spinta”, ha spiegato il segretario generale: “Sulla proposta del card. Zuppi occorre avviare un dibattito il più ampio possibile, con la convergenza dei cattolici e di altri pensatori, come si è fatto con la proposta del card. Bassetti sul Mediterraneo”. In merito al cambiamento climatico, secondo Baturi “ci vuole un’assunzione di responsabilità diretta”, e la Chiesa italiana è in prima linea in questo ambito, come dimostra il recente Vademecum per le comunità energetiche. Da quattro anni, inoltre, “si riuniscono i vescovi delle aree interne, per sollecitare la partecipazione delle varie comunità alle politiche di coesione”.

Fonte: Sir
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