A Reggio Emilia la "terza era" gioachimita
Il “Liber Figurarum” del Museo diocesano di Reggio Emilia è una delle tre copie esistenti al mondo, le altre sono conservate e custodite a Oxford e a Dresda
“C’è chi crede che la storia umana sia percorsa da simmetrie ricorrenti, personalità e circostanze che si ripresentano nei secoli; il “Liber figurarum” ha la pretesa coraggiosa (e oltraggiosa) di fissarle sulla carta, varcando con l’inchiostro e un pensiero tanto originale quanto profondo la precarietà e i dolori di un’epoca per noi lontana, nel tentativo di intravedere l’eterno e il rinnovamento finale dell’umanità”. E’ quanto ha affermato il Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Massimo Camisasca, in occasione della straordinaria esposizione al pubblico del rarissimo codice miniato medievale disegnato dall’abate calabrese Gioacchino da Fiore, evento che ha suscitato nei visitatori grande attenzione ed interesse.
Il “Liber Figurarum” del Museo diocesano di Reggio Emilia è una delle tre copie esistenti al mondo, le altre sono conservate e custodite a Oxford e a Dresda. Noi abbiamo intervistato l’architetto Angelo Dallasta (in foto), direttore dell’Ufficio diocesano Beni Culturali e Nuova Edilizia di Culto della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla per capirne maggiormente il valore e la storia.
Direttore, qual è l’importanza storico-artistica del “Liber Figurarum” di Gioacchino da Fiore custodito nel Museo diocesano di Reggio Emilia?
Il “Liber figurarum” conservato a Reggio Emilia è il codice straordinario e pressoché unico (altre copie sono solo a Oxford e Dresda) che ben racconta la teologia di Gioacchino. Lo fa in modo particolare non solo con le parole scritte (raccolte in un primo volume), ma soprattutto con le “figure”, immagini che così eloquentemente raccontano il mondo del grande teologo del XII secolo. Dunque un documento importantissimo da un punto di vista teologico, in cui storia e teologia si intrecciano nella visione trinitaria per condurci nella “terza era” fatta di un’umanità purificata. Ugualmente un documento importante da un punto di vista prettamente storico, non solo perché luogo di riferimento a tanti artisti e letterati del medioevo, ma perché narra la profondità del pensiero medievale e sicuramente ci libera definitivamente dalla tentazione di considerare il medioevo quale periodo “buio e oscuro” che per troppo tempo ha accompagnato le nostre convinzioni.
Questa preziosa copia come è giunta a Reggio Emilia?
Non è facile tracciare la strada percorsa dal “Liber figurarum” per arrivare a Reggio Emilia. Oggi sappiamo che nella prima metà del secolo scorso (1936), Mons. Leone Tondelli lo scopre nella Biblioteca del Seminario Vescovile di Reggio Emilia. Al ritrovamento seguono gli approfonditi studi dello stesso Mons. Leone Tondelli, insigne teologo, biblista e paleografo reggiano. Tuttavia come sia arrivato a Reggio Emilia, rimane un mistero: una delle versioni più accreditate lo danno proveniente dal Monastero Francescano di Montefalcone (san Polo d’Enza – RE, acquisito nel 1653 dalla diocesi): in effetti alcuni accenni espliciti di Salimbene da Parma, che in questo monastero chiude la sua vita e la sua cronaca, pare attestino la presenza di una copia del “Liber Figurarum”.
Nel “Liber Figurarum” dell’abate da Fiore c’è un legame visibile tra Verità e Bellezza?
Coniugare Verità e Bellezza e quindi filosofia, teologia ed estetica richiede grande profondità di pensiero e conoscenza. E’ evidente che, così sequenziate, Verità e Bellezza trovano nel “liber” piena espressione. Siamo perfettamente di fronte, quindi, a quella “verità” che si esprime nella “bellezza” profonda delle sue figure. Mi pare tuttavia che una più precisa definizione del “liber”, possa ricondurre al concetto di “bello-buono”, così come espresso nella Bibbia con il vocabolo ebraico tôb, ed in cui bontà e bellezza sono due volti della stessa realtà.
Il “libro delle figure” può essere definito la più bella e importante raccolta di teologia figurale e simbolica del Medio Evo?
Per quanto di mia conoscenza credo proprio di sì. A maggior ragione, per la completezza con cui il codice è oggi conservato nel nostro Museo. Un codice certamente prodotto da amanuensi e miniatori che hanno dovuto superare le immagini miniate tipicamente medievali (come capilettera, ecc…) per poter esprimere un complesso pensiero teologico in modo comprensibile.
Per la verità, alcune di queste rappresentazioni frutto della grande ricerca di Gioacchino, sono di una modernità assoluta.
Questo codice miniato medievale, lo scorso mese di ottobre, è stato protagonista a Reggio Emilia nel Museo diocesano in una esposizione straordinaria che ha registrato una presenza notevole di partecipanti. Cosa rende così affascinante questa opera artistica agli occhi del visitatore?
Nel 2021, in occasione del settecentario dantesco, il “Liber Figurarum” è stato esposto tre volte, riscontrando sempre partecipazione e interesse.
Al grande interesse è sempre subentrato lo stupore di visitatori e studiosi alla scoperta di un’opera tanto “bella”; stupore rafforzato dall’incredulità di trovarsi di fronte ad un’opera del XIII sec. così ben conservata. In modo molto semplicistico potremmo affermare che l’attenzione dei visitatori è certamente destata dall’unicità dell’opera, ed anche per la passione “per la storia” in genere che tanto successo sta riscuotendo negli ultimi anni. Credo, però, che dietro a tutto questo interesse vi sia un profondo desiderio di conoscenza, di riscoperta e di comprensione. Chi ha partecipato all’esposizione, non ha guardato il “liber” solo per fare una fotografia di un pezzo unico, ma ha colto l’occasione per fare ricerca, studiare, e comprendere. Ed è questo in fondo il senso profondo di ogni opera d’arte: non solo mostrarsi, non solo farsi vedere per quanto sia bella, ma soprattutto per continuare a vivere al di là delle mura di un museo, ed a maggior ragione quando questo museo è “diocesano”.
Ci sono aspetti interessanti e poco conosciuti sul restauro e sulla conservazione del Liber figurarum?
Il “liber figurarum” è stato oggetto di recente restauro prima della sua esposizione alla mostra di Forlì “Dante – La visione dell’arte”. È stata l’occasione per compiere interventi di restauro, in particolar modo mediante il perfezionamento di alcuni interventi precedenti. Ugualmente si è proceduto attraverso la sostituzione delle “copertine” ottocentesche, con altre più consone ed attinenti. Gli interventi compiuti, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza, hanno proprio inteso procedere al recupero del bene nella sua forma più autentica.
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