Il restauro architettonico tra storia e filosofia
Nel tempo è cambiato il modo di concepire gli interventi sui beni culturali.
Il restauro, soprattutto quello di ambito architettonico, rappresenta una delle tematiche relative ai beni culturali più complesse, articolate e dibattute. La nozione stessa di restauro, per quanto codificata e apparentemente chiara e definita, risulta sempre suscettibile di nuovi apporti teorici e pratici, in quanto riflette l’attitudine critica di un’epoca con il proprio passato. I primi interventi “conservativi” risalgono all’antico Egitto, quando Seti II, per garantire l’integrità della statua di Rameses II ad Abu Simbel, fece consolidare un braccio mediante un supporto murario. Risalendo il corso dei secoli, in ogni epoca si ritrovano operazioni di recupero o ripristino di edifici appartenuti a un passato più o meno prossimo; si tratta però di procedimenti empirici dettati dalla sola sensibilità dell’artista.
Bisognerà attendere il XVIII secolo per avere una nozione moderna di restauro. Il documento che segna la nuova sensibilità è il chirografo con cui il Papa Leone XII, nel 1825, chiude le polemiche sulla ricostruzione della basilica di San Paolo fuori le mura fissando i criteri da seguire: “Niuna innovazione dovrà introdursi nelle forme e proporzioni architettoniche e niuna negli ornamenti del risorgente edificio, se ciò non sia per escludere alcuna cosa che in un tempo posteriore alla sua prima fondazione poté introdurvi per il capriccio dell’età seguente”. Proprio nell’Ottocento viene formulato il concetto di “restauro stilistico”: i monumenti vengono considerati come unità stilistica e, di conseguenza, gli interventi di ripristino mirano a ricomporre tale unità secondo i modi generali dello stile. Fautore di questa corrente di pensiero è l’architetto francese Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc. Personalità poliedrica e grande studioso di storia e di arte, Le-Duc vedeva nello stile originario di edificio il reale e unico patrimonio figurativo. Negli interventi di restauro bisognava quindi rinunciare a ogni libera interpretazione, al fine di restituire le forme del passato come dovevano essere, mirando sempre alla completezza specifica del bene. Su queste premesse egli rivendicava la possibilità di poter rimuovere le parti aggiunte in epoche successive, cercando sempre le soluzioni più adeguate per ricostituire l’unità stilistica dell’edificio. Celebri restano i lavori per la chiesa della Madeleine a Vezelay e per Notre-Dame a Parigi.
Sul finire dell’Ottocento si registra un nuovo orientamento: il monumento assume il valore di un documento storico capace di trasmettere, in tutte le sue parti, anche quelle di epoche successive, la storia dei popoli e dei tempi. Ne consegue che anche le stratificazioni definiscono l’opera d’arte nella forma in cui essa è giunta e, pertanto, vanno rispettate. Siamo nell’ambito del “restauro filologico”. Figura preminente in tal senso è l’italiano Camillo Boito. Egli considerava l’edificio come “un libro da leggere senza riduzioni, aggiunte o rimaneggiamenti”. Nelle sue formulazioni preminente è il richiamo al bisogno di verità per le opere del passato, raccomandando discrezione negli interventi al fine di non ingannare tanto il prossimo quanto i posteri. Le sue riflessioni ruotavano soprattutto sul rapporto tra conservazione e restauro e sui “limiti” da porsi negli interventi.
Si giunge così al Novecento e alla conferenza di Atene del 1931 che definisce in maniera specifica la materia del restauro architettonico “scientifico”. Personaggio fondamentale del dibattito è Gustavo Giovannoni. Ingegnere, architetto e urbanista, Giovannoni diffonde un’idea più estensiva del monumento, collocandolo in stretto rapporto con l’ambiente circostante, ed è sempre lui che redige la Carta italiana del restauro. Eppure la più sublime definizione la ritroviamo in un aforisma di John Ruskin: “Vigilate su un vecchio edificio con attenzione premurosa; proteggetelo meglio che potete e a ogni costo, da ogni accenno di deterioramento. Contate quelle pietre come contereste le gemme di una corona; mettetegli attorno dei sorveglianti come se si trattasse delle porte di una città assediata”.
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