In famiglia nasce l’idea della persona, dell’aiuto reciproco verso l’altro e della Chiesa in uscita
L’antico culto cristiano in casa
I primi cattolici non si richiudevano nelle catacombe ma nelle loro dimore per pregare Gesù
La grande trasformazione che mette fine all’antichità è la nascita e il trionfo del Cristianesimo. Il culto del Nazareno diventa l’alternativa all’idea condivisa da tutti i popoli antichi, dai Sumeri ai Romani, secondo cui il cielo è popolato da un’infinità di dei. Il piccolo popolo degli ebrei, sperduto nella periferia dell’impero romano, conquista il mondo con la sua credenza nella storia di Gesù Cristo. I primi cristiani si integrano pian piano nella vita di Roma, reclamando il loro legittimo posto nel tessuto sociale e cessando, col passare del tempo, di essere una setta irrilevante. Inizialmente il loro rifiuto ad osannare l’imperatore romano in terra e i tanti dei politeisti li rende oggetto di persecuzioni. Le cose cambiano a partire dal III secolo quando, con le invasioni barbariche, cade l’impero romano e nel 476 d.C. viene deposto l’ultimo imperatore Romolo Augustolo. Nel 313 l’editto di Costantino sancisce la libertà di culto per tutte le confessioni e la fine delle persecuzioni. Roma diventa così il centro della cristianità continuando a mantenere una certa rilevanza politica. Nel 380, con l’editto di Tessalonica, l’imperatore Teodosio chiude i templi, vieta i sacrifici e ordina che tutti gli abitanti dell’impero romano abbraccino la fede in Gesù di Nazareth, rendendo il Cristianesimo religione di stato. Chi non ubbidisce viene punito non solo in cielo ma anche in terra per mano del governo. Tra gli effetti immediati di quest’ordinanza vi sono l’abolizione dell’infanticidio e l’affermazione del concetto di famiglia e morale cristiana. A questo punto l’antichità è veramente finita. Ai primi secoli della religione cattolica è dedicato il volume postumo La Chiesa nelle case. Storia delle prime comunità cristiane (Queriniana editore), scritto dalla compianta Marie-Françoise Baslez, storica francese e docente di Storia delle religioni, specializzata in Giudaismo Ellenistico, nel Cristianesimo delle origini, in Storia della religione giudaica in lingua greca, nel fenomeno delle persecuzioni religiose e nella struttura delle prime comunità di fedeli. La rilevanza del contributo di Baslez sta nell’aver dimostrato che la famiglia è la cellula primordiale nella quale è sorto il Cristianesimo, prima ancora della sua propagazione nel resto del mondo. Nel testo l’autrice si concentra, in particolare, sui primi tre secoli della nuova confessione, analizzando lo stile di vita e i costumi dei credenti in Cristo Gesù, e descrivendo le tappe che hanno portato all’istituzione del Cristianesimo nella società romana. Se le persecuzioni impediscono ai cristiani, in un primo momento, di praticare apertamente il loro culto, allora essi scelgono le loro stesse case come luoghi deputati all’esercizio dei rituali. Non si nascondono nelle catacombe, scavate nelle proprietà private e poi affidate ad associazioni funerarie che riuniscono le famiglie per le celebrazioni commemorative in memoria dei defunti, come conseguenza delle consuetudini domestiche che danno forma alla pietà popolare. Alla fine del I secolo la Chiesa ha dunque una dimensione prettamente familiare ed è radicata nella società, come testimoniano i Vangeli e gli Atti degli Apostoli. Ciò che contraddistingue le “Chiese di casa” dei primi tre secoli è la sinodalità, fondata sull’amore vero e disinteressato (agape), sul sentimento di unità, sul riconoscimento della funzione della donna e sul ruolo degli schiavi che, un po’ per volta, ottengono i loro diritti. I primi credenti pregano nelle loro abitazioni più volte al giorno, in particolare la mattina e la sera, mentre fuori si respira un’aria ostile. Il Padre Nostro ha per loro il significato di supplica con valore sia individuale che di protezione familiare. Nelle loro case i fedeli conformano la loro esistenza alla tradizione degli apostoli, curano i rapporti interpersonali anche mediante la comunione dei beni spirituali e materiali, dialogano con Dio, condividono il pane (l’Eucarestia) e leggono le Sacre Scritture. Sono icone di fraternità - come li ha definiti Papa Bergoglio - una fraternità vissuta con amore e sostegno incondizionato alla luce della grazia di Dio. Ed è il caso di ricordare anche le parole di Matteo “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono in mezzo a loro” (Mt 18, 15-20). Parole molto importanti che descrivono la quotidianità della famiglia, che accoglie in casa propria la Chiesa e si fa Chiesa. Nella sfera familiare, la fedeltà, la castità, il rifiuto del divorzio, della poligamia, dell’aborto sono qualità da valorizzare perché fondative del credo cristiano. Il digiuno viene osservato in preparazione al battesimo, alla celebrazione della Pasqua e tutti i mercoledì e i venerdì della settimana. Ci si veste in maniera semplice e si conduce una vita all’insegna della sobrietà e senza fasti. Il matrimonio rappresenta la strada maestra da seguire nella maggior parte dei casi. I primi cristiani sono cittadini leali ma scomodi per il potere costituito, per loro conta di più la morale e non la teologia, le azioni quotidiane più delle parole. Seguendo i modelli genitoriali, il singolo va incontro a maturazione, diventa persona che vive a contatto con la sua comunità e sviluppa l’idea del ministero a servizio della Chiesa universale. La spiritualità domestica si pone dunque come modello di annuncio e di formazione dell’essere umano. “Non è un paradosso che la Chiesa a dimensione familiare abbia funzionato come un laboratorio che ha forgiato una dimensione individuale e personale del cristianesimo, avendo toccato con mano quanto fosse difficile vivere nel mondo secondo il Vangelo” scrive Baslez. Questi sono gli elementi che tracciano la vita del vero cristiano, che bandisce l’individualismo e si apre alla condivisione e alla solidarietà. “Vivere la “Chiesa in casa” – come sostiene mons. Signoretto, vicario episcopale per la Cultura e docente di Antico Testamento presso lo Studio Teologico San Zeno e l’Istituto superiore di Scienze religiose San Pietro Martire – significa creare un ambiente relazionale dove mettere in pratica la Parola di Dio e dare vita al grande patrimonio della socializzazione, il vero capitale della Chiesa. Casa, significa anniversari, compleanni, riti domestici e passaggi di vita accolti in un sistema di relazioni che fanno da substrato al Regno dei cieli, perché è sull’umano che si fonda il cristiano”. È nelle propria dimora che si fanno le prime esperienze religiose, che proiettano verso una dimensione esterna. I cristiani realizzano ben presto che è necessario avviare un percorso di evangelizzazione, che coinvolga tutto il mondo antico mediante la circolazione dei saperi. Queste “Chiese di casa”, con il passare degli anni e grazie all’incremento dei commerci e all’ampliamento delle reti cristiane, si trasformano in “Chiese di città”. Per far dilagare la cultura e per diffondere le idee esternamente, i fedeli iniziano a copiare i primi manoscritti e a redigere i primi documenti e le prime lettere in dei veri e propri laboratori di scrittura. La religione assume così i connotati di un’adesione personale e collettiva ad un unico credo, travalicando la prospettiva di un’eredità assimilata nel proprio contesto familiare. Dal cristianesimo delle origini dobbiamo recuperare il senso dello stare insieme, della condivisione e della destinazione universale e non particolaristica dei beni, che è ciò che la freschezza e spontaneità della Parola del Vangelo insegna. La speranza, dunque, è che questo difficile momento si riveli un’importante occasione per creare nuove forme di ministerialità attraverso una salda rete di solidarietà civile, affinché nessuno si senta mai abbandonato.
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