Archeologia
Le muraglie di Annibale a Pietrapaola
Si tratta di un complesso difensivo brettio di notevole interesse archeologico-ambientale
L’altopiano delle Muraglie (quota 405 s.l.m., 3 Km. a Nord-Est dell’abitato di Pietrapaola), sorge in posizione dominante sulla fascia costiera ionica tra Capo Trionto e Punta Fiume Nicà. Disperso a monte tra distese di querce e castagneti ed a valle tra gli ulivi, si può visitare un antico impianto difensivo brettio del III sec. a.C. di notevole interesse archeologico-ambientale: le cosiddette “Muraglie di Annibale”. Si tratta di un vasto insediamento di un ignoto centro fortificato risalente allo stesso periodo in cui sorgono i centri di Castiglione di Paludi, e di Pruija a Terravecchia.
La prima segnalazione della cinta muraria, intorno agli inizi del secolo scorso, venne associata ad un sconosciuto centro antico. Il complesso, come nel caso di simili centri fortificati lucani, era completamente scomparso tra la boscaglia. In contrada Piano S. Martino, entro la cinta muraria suddetta, l’acropoli di tale centro, dove furono raccolti frammenti ceramici vari (fra cui dolii e ceramica a vernice nera), frammenti laterizi, monete di Metaponto, Eraclea, Thurii, Crotone, ed una placca in piombo con gorgoneion a bassorilievo. Contemporaneamente venne individuato in corrispondenza di una porta, ubicata a metà del tratto murario identificato, le tracce di una via d’accesso coeva alle strutture murarie.
Nel 1957 fu ripresa l’esplorazione dell’antica cinta muraria, in seguito alla quale venne confermato il carattere difensivo dell’impianto a sbarramento dell’unica via d’accesso della pianura verso le colline retrostanti, dove (più precisamente tra Muraglie, Cozzo Ceraselo, Timpa di Cono) si rilevarono numerose tracce di un abitato e di una necropoli.
Per quanto concerne l’abitato doveva trattarsi probabilmente di capanne in legno, completamente distrutte dai lavori agricoli, a giudicare dal ritrovamento di frammenti di tegoloni di copertura, di lastroni di terracotta, forse pertinenti ai pavimenti di alcune case, e di frammenti di ceramica acroma fine. Il contesto e i ritrovamenti (fra cui una moneta d’argento di Velia ed una in bronzo di Thurii), spingono ad una datazione posteriore alla seconda metà del IV sec. a.C.
A partire dalla fine del 1984, anno in cui la zona fu definitivamente posta a regime di vincolo archeologico, l’intervento della Soprintendenza archeologica della Calabria ha rimesso in luce, dopo imponenti opere di diserbo, un tratto di circa 450 m. della cinta fortificata, già individuata dalle prime campagne e poi completamente ricoperta dalla vegetazione.
La cinta muraria, che si trova lungo lo sperone roccioso che borda a Nord e Nord-Ovest l’altopiano, era realizzata a secco in blocchi di conglomerato locale che formano un doppio paramento in opera poligonale con un’altezza media dal piano di campagna di 3 m.
Sul lato Nord-Est del circuito, quello che si affaccia sulla costa ionica, si apre una porta rientrante ad angolo retto, con corridoio lungo 15 metri, in corrispondenza di un’antica via di accesso dal litorale, che, in prossimità della porta, era sbarrata da una serie di massi rocciosi.
All’estremità Sud-Est dello sperone è visibile il basamento di una torre a pianta quadrangolare, posta a controllo dell’arco costiero meridionale.
Sul colle S. Martino le tracce della cinta sono visibili sul ciglio settentrionale e sul pendio occidentale del pianoro, mentre mancano, ad oggi, notizie di una eventuale necropoli relativa all’insediamento.
In base alle più recenti ricognizioni compiute si è potuto inoltre ipotizzare un tracciato murario di circa 1,5 Km., che doveva racchiudere un’ampia superficie a pianori , di 45 ettari, separate da una valletta centrale come a Castiglione di Paludi. L’imponente apparato difensivo, i poveri resti strutturali ed il materiale del III sec. a.C. raccolto sul terreno all’interno della cinta hanno indotto ad accostare tale sito al centro abitato di Castiglione di Paludi, interpretandolo come un grande “campo trincerato” nato a fini difensivi, o come un vasto insediamento fortificato.
Nell’area all’interno della cinta muraria sono stati recuperati vari materiali archeologici, quali pregiate statuine fittili, ceramiche, numerosi pesi da telaio di forma troncoconica, monete riferibili ad una frequentazione del sito tra il IV e il III sec. a.C. (patrimonio questo conosciuto nella tradizione popolare come “Tesoro di Annibale”). I materiali venuti alla luce testimoniano non tanto un phrourion (base militare) dei Brettii, ma la presenza di un vasto insediamento fortificato, della stessa estensione di Castiglione di Paludi, da cui dista circa 10 Km. in linea d’aria.
Esso sarebbe inoltre da porsi, nell’ambito di quella fitta rete di transumi greci della Sila centro-settentrionale, sul diverticolo che si staccava dal tracciato viario lungo il Laurenzana e continuava, poi, verso Sud-Est in direzione di Cariati. Si è, inoltre, ipotizzato un collegamento in senso Nord/Ovest-Sud/Est tra Pietrapaola e Castiglione di Paludi, attraverso Caloveto e Cropalati, percorso che ricalcherebbe una direttrice protostorica; infatti, sulla base del rinvenimento di ceramiche affini a quelle di Paludi, è stata accertata l’esistenza di un centro greco-arcaico, probabilmente succeduto ad un insediamento protostorico.
I dati archeologici finora emersi inducono ad ipotizzare l’abbandono di questa fortezza, così come avvenne per Castiglione di Paludi, negli ultimi decenni del III sec. a.C., in seguito alla politica di repressioni attuata dai romani contro i Brettii filocartaginesi.
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