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Nella Prefazione al libro di Marraffa, mons. Viganò ricorda che l’omelia è un gioco con regole condivise

Lo Storytelling nella comunicazione omiletica

La narrazione può aiutare a rendere più accattivante e significativo l’ascolto della Parola di Dio

Lo Storytelling nella comunicazione omiletica

Nel linguaggio ecclesiastico l’omelia rimanda alla predicazione fatta nell’ambito della celebrazione liturgica. Il suo compito consiste nel comunicare e nello spiegare verbalmente la Parola di Dio ai fedeli. Come mezzo di evangelizzazione richiama il conversare dei due discepoli di Emmaus quando il Risorto interviene, spiegando loro le Scritture. “L’omelia - come ricorda Papa Francesco nell’Evangelii gaudium - può essere realmente un’intensa e felice esperienza dello Spirito, un confortante incontro con la Parola, una fonte costante di rinnovamento e di crescita”. Ascoltare l’omelia in Chiesa oggi è un’attività rivoluzionaria, unica e illuminante, specialmente nella società post-moderna contraddistinta da un pensiero secolare e, in gran parte, sorda dinnanzi al messaggio religioso. Bisognerebbe, allora, ricercare nuove modalità e strategie per far giungere efficacemente la predicazione del sacerdote alle orecchie del popolo di Dio, accrescendo la sua fede di fronte ad una realtà nichilista e “vagabonda” sul piano spirituale. Questo è l’intento del libro “Omelia e Storytelling” (edizioni San Paolo) scritto da don Oronzo Marraffa, parroco di Castellaneta in provincia di Taranto, specialista nel settore della comunicazione. Il testo vuole presentare l’omelia come “gioco di azione comunicativa” costituito da una sequenza di atti linguistici e corredata da elementi verbali e non verbali. In questo caso la prassi ecclesiale incontra il mondo degli studi linguistici e, in particolare, di quelli pragmalinguistici che indagano la comunicazione come particolare forma dell’agire umano. Il filosofo e linguista inglese John Langshaw Austin sostiene che l’atto linguistico è “l’atto del dire qualcosa nel senso pieno di quest’espressione”. In poche parole “dire qualcosa” è compiere concretamente tre atti: “locutorio”, che è il riferire un’espressione ben formata sintatticamente e ricca di senso, “illocutorio”, che consiste nella forza con cui viene proferito l’enunciato, e “perlocutorio”, che corrisponde agli effetti psicologici e comportamentali prodotti sull’ascoltatore. L’omelia come atto linguistico abbraccia tutte e tre queste dimensioni, perché esprime verbalmente qualcosa cioè la Parola di Dio (atto locutorio), esplicitata con una certa intenzione e forza comunicativa (atto illocutorio) per produrre una reazione nel fedele sotto forma di insegnamento cattolico (atto perlocutorio). Dario Edoardo Viganò, vicecancelliere delle Pontificie Accademie delle scienze e delle scienze sociali, nella Prefazione del libro scrive che l’omelia è “un gioco guidato da andamenti e regole condivise dai partecipanti”. E ricordando le parole di Benedetto XVI nel “Verbum Domini” aggiunge che “l’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio scritturistico e deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo”. Essa – come ribadito da Papa Bergoglio – deve essere un pensiero di breve durata in grado di risvegliare le coscienze e di lasciare qualcosa nei parrocchiani, facendogli scoprire la presenza e l’efficacia del Signore nella quotidianità. L’omelia è “un caso serio” – prosegue Viganò – come lo è stato per grandi pensatori del passato tra cui Charles de Focauld e Georges Bataille, in quanto è il momento in cui la Parola divina incontra la vita vera. Marraffa analizza nel libro l’attuale contesto, tentando un’analisi socio-antropologica e comunicativa per capire quanto ancora incidano le predicazioni liturgiche sull’animo umano. I discorsi filosofici prolissi di quei preti che, spesso, scadono nell’astrattismo sono un “disastro” secondo papa Francesco, quindi non provocano nessun cambiamento esistenziale. Nel libro viene proposta l’adozione dello “Storytelling”, una metodologia didattica mutuata dall’universo scolastico, che si avvale della narrazione al fine di promuovere meglio valori e idee, per mettere in luce eventi della realtà e spiegarli secondo una logica di senso, in un contesto in cui grande risalto assumono le emozioni e la loro espressione. Con il “racconto delle storie” tentiamo di organizzare le nostre esperienze e il nostro vissuto quotidiano, attraverso il pensiero narrativo. Questa metodologia considera l’uomo un essere narrante che attinge significati, ascoltando e prendendo visione di storie diverse. È uno stratagemma, quest’ultimo, applicabile in Chiesa per far crescere la comunità cristiana nella fede, con l’ascolto del Verbo e delle sue interpretazioni. È molto importante, però, che la comunicazione omiletica tenga conto delle caratteristiche del contesto moderno, e sfrutti i codici stilistici odierni. L’autore riprende inoltre l’esortazione di papa Francesco, che istruisce sulla rilevanza della preghiera e della contemplazione prima dell’omelia, perché il sacerdote è tenuto, necessariamente, ad essere “guarito dalla narrazione del Vangelo” per poi interpretarlo, chiedendo a Dio quale sia il messaggio migliore da trasmettere. Marraffa suggerisce, per un’omelia efficace, di aprirsi anche a tecniche innovative come il “Golden Circle” dello scrittore inglese Simon Sinek.

Golden circle

Questo “circolo d’oro” porta a creare tre cerchi concentrici riguardanti il “perché”, il “come” e “cosa”, utili per tenere viva l’attenzione degli ascoltatori fedeli e per elicitare, efficacemente, il messaggio evangelico. L’uso delle immagini, di esempi e di domande rende coinvolgente e significativa la predica, la quale deve avere effetti positivi sulla vita.

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