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Le famiglie della diocesi hanno incontrato "Papà Africa"

“Mettete al primo posto nella vostra vita l’amore” è l’invito che Bartolo Mercuri ha rivolto alle famiglie della nostra Diocesi, durante la tavola rotonda, nella giornata conclusiva della vacanza-studio a Tropea

Le famiglie della diocesi hanno incontrato "Papà Africa"

“Mettete al primo posto nella vostra vita l’amore” è l’invito che Bartolo Mercuri, “il più piccolo della terra”, come si definisce, ha rivolto alle famiglie della nostra Diocesi, durante la tavola rotonda, guidata da Federica Mazzuca e Pietro Caruso, nella giornata conclusiva della vacanza-studio a Tropea, dal titolo “Con occhi diversi”, organizzata dall’Ufficio di Pastorale Familiare. Mercuri, presidente dell’associazione “Il Cenacolo”, è uomo ingiustamente condannato a venticinque mesi di carcere, convertitosi alla fede che alimenta da oltre trent’anni con la partecipazione al Rinnovamento nello Spirito e il servizio ai sofferenti e bisognosi della sua diocesi, Oppido Mamertina – Palmi.  Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza nelle baraccopoli.

Come si può guardare “con occhi diversi” la vita, dopo aver sofferto tanto e ingiustamente?

Si può, con la grazia di Dio. Sentendosi guardato da lui. Un giorno, mentre ero in carcere, nel buio della mia cella, imprecavo contro Dio, che aveva permesso la mia condanna, pur essendo un innocente, lasciando mia moglie e i miei figli nella solitudine e nella povertà. A un certo punto, dalla finestrella è entrata una luce accecante, come se fosse mezzogiorno. Ho pianto. Ho avuto anche paura. Dio mi aveva guardato. Aveva visto il mio cuore. In quel momento ho capito che Dio non mi aveva mai abbandonato. Il giorno seguente sono stato ammesso a lavorare nella cucina dei detenuti. Ho potuto così inviare alla mia famiglia, che non aveva niente da mangiare, 900 mila lire al mese. La sera ho telefonato a mia moglie e le ho chiesto di portarmi una Bibbia. Pensava fossi impazzito. Nei momenti liberi, cercando di non farmi vedere dagli altri detenuti - per non essere preso per pazzo e deriso - leggevo la Parola di Dio. Più leggevo, più conoscevo Dio, più imparavo ad amare. Sono uscito dal carcere dopo venticinque mesi. Ho fatto una promessa al Signore: prendermi cura di ogni persona sofferente e nel bisogno. Da allora non ho mai smesso. Quando, dal Ministero dell’Interno è arrivata la dichiarazione della mia completa innocenza, nello stesso giorno ho visto un casolare, poi divenuto casa d’accoglienza. Dobbiamo imparare a vedere non solo con gli occhi nostri, ma con quelli di Dio. Dall’inizio di ogni nostra giornata. C’è tanta sofferenza in giro che nessuno vede: “non avete occhi per vedere”, Gesù parla chiaro e tocca la profondità del nostro cuore.

Ci racconti brevemente perché sei stato arrestato?

Era il 23 settembre del 1989.  Mi trovavo alla Fiera del Mobile a Milano. Al rientro, mi recai alla Stazione Centrale. Lì incontrai un compaesano. Decidemmo di fare il biglietto insieme. Arrivati a Rosarno, io dovevo andare a Giffone, lui a Melicucco. Prendemmo un taxi. Durante il viaggio ci fermò la Guardia di Finanza: nel borsone del compaesano con cui viaggiavo trovò un kalashnikov. Lui si discolpò dicendo di aver trovato l’arma in treno. Non gli credettero e arrestarono me, lui e anche il povero taxista. Rabbia e dolore. Ma in carcere è cambiata la mia vita. Per questo ringrazio il Signore che è venuto a trovarmi e mi ha fatto comprendere cosa significa essere soli e sofferenti.

Da quali sentimenti sei animato oggi?

Il mio cuore è triste perché si può fare di più. Penso in particolare alla mia diocesi, nella quale c’è una povertà assoluta, nella quale passano moltissimi immigrati sbarcati a Roccella e Lampedusa. Fratelli e sorelle provenienti anche da diverse parti d’Europa, dall’Ucraina. Noi, in particolare i volontari del Cenacolo, proviamo a dare loro un abbraccio pieno d’amore. Nella baraccopoli, in cui ho operato gratuitamente per anni, ho curato gli africani come figli, tanto che mi chiamano ‘papà Africa’. Sono ricco della grazia di Dio che mi ha dato un compito forte: toccare la carne ferita che molti di noi non vedono. Sono così visibili ma per tanti invisibili! Questo mi fa piangere.

Gli ostacoli che maggiormente incontri?

Il caporalato. Anche se oggi è diminuito. La ‘ndrangheta, che mi ha bruciato due pullman perché non voleva che aiutassi i ragazzi africani. Ma non m’importa di essere mortificato, ostacolato, ferito. Offro tutto questo a Gesù che mi ha ricompensato. Ringrazio Dio per i tanti volontari che operano al mio fianco e anche il nostro attuale Vescovo che mi sta vicino.

Una delle gioie raggiunte?

Più volte all’anno vado in Vaticano, dove porto gli agrumi. Due mesi fa, il cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere del Papa, mi ha comunicato che Papa Francesco farà docce, lavanderia e bagni ai miei ragazzi africani. Una gioia enorme che ho immediatamente condiviso con il mio Vescovo! Oggi ci prendiamo cura di circa 500 ragazzi. Ma c’è stato un periodo in cui dovevamo aiutarne 3500. Finalmente tutti loro che avevano un solo bagno, potranno essere trattati come persone.

Cosa vuoi dire alle famiglie della diocesi?

Ricerchiamo la volontà di Dio: il dono più grande che mi ha fatto il Signore è fare la sua volontà. Tutti abbiamo un compito preciso, ma tanti non fanno quello che devono. Perciò dico a chi incontro: ‘Guardiamoci dentro e chiediamoci quello che Dio vuole. Un giorno dovremo dare conto a lui del nostro operato. Lui ci giudica non su ciò che facciamo ma su quanto amiamo. Mettiamo l’amore in tutte le parti’. Accogliamo perché in ogni persona c'è Gesù che sul legno della croce allarga le braccia e ci accoglie tutti: perdona i nostri peccati, tranne quelli di chi non ama. L’amore viene da Dio. L’amore è sacro. E non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici: Lui l’ha data per noi. Voglio dare un consiglio, anche se sono il più piccolo della terra: ‘mettete nella vostra vita al primo posto l’amore perché senza l’amore non si può far niente’.

 

 

 

 

 

 

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