Padre Raffaele Di Donna racconta il cammino che lo ha portato a essere ordinato
Tra le esperienze di fede più significative il viaggio di missione in Congo. Il neo sacerdote è stato ordinato venerdì scorso in Cattedrale da monsignor Francesco Nolè
«Ho avuto più fidanzate, ma con nessuna di loro ero felice. Invece, da quando sono diventato diacono in Congo, ho preso consapevolezza della bellezza e del significato più profondo della mia vita. Dal 24 agosto 2019 non c’è stato un giorno in cui non sono stato felice e sono sicuro che, adesso che sono sacerdote, il mio cuore sprizzerà di gioia fino alla fine della mia esistenza. Sono docente di religione, ho 18 classi diverse e la prima domanda che pongo ai ragazzi del primo anno la prima volta che entro in classe è: “Qual è il senso della vostra vita?”. Inizialmente loro non sanno rispondere, poi li porto per mano e lentamente incominciano a capirlo». Padre Raffaele Di Donna, 44 anni, originario di Torre del Greco, è stato ordinato al sacerdozio nel duomo di Cosenza venerdì 10 luglio. Il suo percorso vocazionale è una lunga e intensa storia d’amore nel senso più completo e consapevole del termine. «Fin da quando avevo sette anni – racconta padre Raffaele – ho servito la Messa nella mia parrocchia come ministrante. La prima comunione, poi, fu per me un’esperienza mistica. Mi sono sentito come una colomba che si librava nell’aria e svolazzava nella chiesa». E continua: «A 13 anni, poi, dopo una celebrazione religiosa, il cardinale di Napoli del tempo, Sua Eminenza Corrado Ursi, mise noi ministranti in fila dopo la celebrazione, si fermò vicino a me e mi disse: “Tu sei stato il più bravo”. Poi si tolse lo zucchetto rosso e me lo posò in testa. Infine si rivolse al mio parroco e profetizzò che sarei stato un grande sacerdote». In realtà, comunque, il sacerdozio era scritto nel suo destino sin dalla nascita. «Sono stato battezzato – ricorda con emozione – la notte di Pasqua, quella che è per eccellenza la notte di tutte le notti. Se rileggo la mia storia a ritroso, mi accorgo di come questo episodio sia stato un grande segno di chiamata vocazionale». L’ordinazione, però, è arrivata al termine di un faticoso percorso professionale. Continua padre Raffaele: «Dopo aver conseguito il diploma di perito meccanico, mi sono trasferito a Ornago, vicino Milano, dove ho lavorato come progettista di pezzi meccanici per la Formula 1, un impiego ben remunerato. In quello stesso periodo ero fidanzato – una storia d’amore durata circa quattro anni – ed è stato significativo per me che con sua zia sia rimasta una forte amicizia anche dopo che ci siamo lasciati. Mi ha seguito per tutto il percorso e ha partecipato alla messa per la mia ordinazione». Insieme agli impegni di lavoro padre Raffaele ha portato avanti gli studi con passione e determinazione. «Ho cominciato gli studi teologici verso i 20-21 anni», spiega. E aggiunge: «Poi mi sono laureato in storia e filosofia all’Università Orientale di Napoli e ho preso la licenza in teologia morale. Desideravo e potevo diventare sacerdote già da tanto, ma mia madre inizialmente non voleva, perché desiderava che questa mia vocazione si concretizzasse tra i trenta e i quaranta anni. Per questo ho posticipato la mia ordinazione». Tra le esperienze di vita e di fede più significative nella vita di padre Raffaele, un viaggio in Africa che gli ha permesso di conoscere una realtà dimenticata e che lo ha spinto a voler denunciare con forza le ingiustizie che si perpetuano ogni giorno in una parte del mondo non sempre sotto ai riflettori. «Sono andato in Congo – spiega – per una missione organizzata dalla mia congregazione religiosa, ossia l’Istituto Missionario Gesù e Maria a Cana di Galilea. In molte zone di questa nazione la colonizzazione non esiste soltanto sulla carta. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, i vincitori del conflitto si sono suddivisi ancora di più le sfere di influenza sull’Africa. Proprio l’Africa, invece, è il continente più ricco al mondo e il Congo, in particolare, è il paese più ricco al mondo per la sua abbondanza di diamanti, petrolio e coltan, materiale che serve per produrre le batterie di cellulari e computer». E continua: «Lo sfruttamento di questa terra avviene nel silenzio. Chi cerca una vita migliore non può rimanere in Africa, eppure molti migranti muoiono nel viaggio verso l’Europa. In pochi arrivano a riva in Italia e devono lottare una vita intera per riappropriarsi della propria libertà. Chi parte dal Congo attraversa il deserto, percorre migliaia di chilometri e spesso muore di fame. Io stavo con il Padre Generale alla Casa Madre che si trova nella Foresta del Congo ed è la seconda più grande del mondo dopo la Foresta Amazzonica. Ho visto villaggi e case in argilla e persone che vivono di quello che gli dà la natura». Ideali, umiltà e voglia di spendersi per i più bisognosi: questi i principi sui quali padre Raffaele si fonda per portare avanti sua missione religiosa. «È importante essere aggrappati a Cristo», dice. E prosegue: «Ogni giorno mi ripeto: “Eccomi Signore, mi hai scelto e io mi sono lasciato condurre da te. Fa’ di me uno strumento della tua pace, rendimi parola dolce per gli oppressi”. Nel mio dialogo intimo con lui prima dell’ordinazione gli ho chiesto di aiutarmi a dirgli ogni giorno di sì, così come credo avvenga tra marito e moglie. Con il sacerdozio il viaggio di fede non finisce, anzi, comincia. Ora devo donarmi totalmente alla gente, devo essere la bocca e le mani di Gesù. Voglio imitare Cristo che è mite e umile di cuore». Ma ci sono altre due figure religiose che ispirano padre Raffaele. «Sono devoto a san Giuseppe Moscati, perché è il dottore santo della mia Napoli», spiega. E aggiunge: «Poi mi sono molto affidato a San Vincenzo Romano, che è stato santificato insieme a papa Paolo VI due anni fa. La sua parola era “fare bene il bene”. San Vincenzo Romano è il secondo parroco santo al mondo dopo Curato d’Ars». E nel tempo libero? Padre Raffaele ha una grande passione. «Sono un grande tifoso del Napoli», ride, confessando di non perdersi una partita della sua squadra del cuore. E aggiunge: «Poi tifo Argentina da quando avevo dieci anni, precisamente da quando Maradona vinse Scudetto e Coppa del Mondo. Quando si giocano i Mondiali tifo Argentina, non Italia. Mi sento argentino dentro». E da una persona così cosmopolita e allo stesso tempo così attaccata alle sue origini non ci si immagina niente di diverso
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