TikTok, la missione di evangelizzazione di don Mauro Leonardi nel continente digitale
L’avventura social del prete “tiktoker”, con oltre 200mila follower, raccontata in prima persona nel volume “Il Vangelo secondo TikTok” per invitare tutti ad utilizzare i social in maniera intelligente e con libertà, nonostante i rischi
Il mondo dei social è un nuovo spazio di evangelizzazione da abitare e con il quale interagire per arrivare ai giovani lontani dalla Chiesa. Questa è la missione di don Mauro Leonardi, da un anno sbarcato nel mondo di TikTok e non solo. Don Leonardi è un sacerdote di 62 anni, vive a Roma ed esercita il suo ministero presso il Centro Elis. Inoltre, dà un aiuto alla parrocchia di San Giovanni Battista al Collatino, affidata all’Opus Dei.
Noi lo abbiamo intervistato per capire la sua presenza su queste piattaforme digitali e sulla missione che cerca quotidianamente di portare avanti per raggiungere le nuove generazioni.
Di recente don Mauro ha pubblicato un libro “Il Vangelo secondo Tik Tok. Usare i social e restare liberi”, Edizioni Terra Santa, in cui racconta in prima persona la sua esperienza di sacerdote sul web e sull’impresa di “tradurre” il Vangelo in lingua social.
Don Mauro, lei sui social ha riscontrato un grande successo. Anche se molto spesso deve giustificare la sua presenza in questo continente digitale. Perché?
TikTok per me è stata l’ultima scoperta, esattamente il 4 luglio dello scorso anno. Ma sono presente sul web dal 2011, attraverso un Blog, creato per raccogliere varie idee, opinioni e commenti. Solo successivamente ho creato una pagina facebook. Via via il blog si è trasformato, senza mai tralasciare il messaggio di fondo: il rispetto su chi la pensa diversamente da noi, ospitando persone con idee differenti per affrontare tematiche delicate sempre in maniera rispettosa. Perché il primo passo per far conoscere il messaggio cattolico è il rispetto. Col tempo ho esplorato gli altri social. Tik tok è nato un po’ per gioco, per sfida, di per sé è un’app cinese, una piattaforma che rispetto alle altre non ti permette di mettere dei link, ma solo piccoli video che trasmettono un’idea. Il suo linguaggio impedisce il chiarimento, ma da l’opportunità di lanciare l’incipit per poi aprire un discorso tramite altri canali. La mia presenza sui social porta ai giovani su TikTok a trovare un prete che riesce ad interloquire con loro attraverso il loro stesso linguaggio.
Perché ha scelto proprio TikTok tanto da essere definito “prete tiktoker”?
Stare sui social è avere interazioni con gli altri. Il segreto sta nell’attenzione che mettiamo nell’ascoltare. La gente non ascolta le parole che diciamo, i video che facciamo, ma quello che sentiamo. La sfida di TikTok è proporre piccoli scampoli delle verità cristiane radicandoli al nostro quotidiano e a quello dei trend più seguiti. È un social di giovani, dove è facile incontrarli, tanto che sono loro che mi pongono tante domande e io rispondo con brevi video. Sono tutte risposte che hanno carattere di catechismo perché sui social è necessario essere se stessi. Per me stare su TikTok è stare in una missione dove trovo persone lontane, ma dobbiamo andarci con la mentalità giusta, quella della missione e non come se fossimo in una terra già cristiana, come se ci fossero da incontrare dei giovani già credenti.
Che tipo di impegno richiede tenere il passo dei nativi digitali sui social e come si aggiorna sui nuovi trend?
Fin dall’inizio mi sono fatto aiutare da una ditta, in particolare per gli aspetti più tecnici. Per quanto riguarda i trend ho dei giovani tra i 20 e i 30 anni che mi aiutano, mi segnalano alcune idee sulle quali lavoro attraverso il loro supporto. Le persone della mia età faticano a capire questo linguaggio che nel caso di TikTok richiede la realizzazione di un video di pochi secondi che ha una micro sceneggiatura, l’inserimento in un contesto di trend, costruito spesso su un fatto di cronaca. È molto complicato abitare su TikTok: io realizzo i video e poi mi faccio aiutare nel montaggio e nella scelta della musica. Ricevo migliaia di domande, faccio una selezione per scegliere a quali rispondere. Anche se il video dura un minuto i ragazzi al massimo ti seguono per 17/18 secondi: in quel poco tempo devi dire tutto e lo devi dire bene. Nonostante questo successo a TikTok dedico poco tempo della mia giornata, non pubblico un video al giorno, ma uno alla settimana e due tre volte al giorno leggo solo i commenti e cerco di rispondere a qualche domanda.
Lei, anche nel suo libro “Il Vangelo secondo TikTok” invita ad usare i social con libertà, nonostante i limiti e i rischi. È possibile viverli con “leggerezza”?
TikTok ha delle norme di sicurezza superiori a quelle di tutti gli altri social. Assolutamente non sono permessi contenuti violenti, ai genitori è concesso il controllo parentale, chi vuole può verificare l’account del proprio figlio; c’è un controllo sull’età dell’utente e chi l’ha messa a caso viene cancellato. I rischi ovviamente ci sono, tutti i social possono creare dipendenza. Quando la mia giornata ad esempio è ricca non ho nessuna voglia di andare sui social, ma se per qualche ragione mi sento escluso, triste, gli dedico più tempo. Tutti noi preferiamo i like degli uomini in carne ed ossa, anziché i like di fan, il vero problema è che quando vediamo i nostri giovani troppo presenti su queste piattaforme social bisogna chiedersi che tipo di vita hanno davanti, che prospettive di studio e di lavoro vedono davanti a sè e così via.
Lei si espone sui social per affrontare tematiche delicate che spesso la Chiesa non affronta apertamente. Che tipo di risposte cercano gli utenti?
Come spiego spesso TikTok è il luogo del kèrigma, dell’annuncio del Vangelo fatto da formulazioni brevi, che ci dicono qualcosa di essenziale. Il mio tema di fondo è quello del rispetto, e proponendo tematiche di cronaca cerco di far emergere con il linguaggio comico, ironico, di TikTok questo tipo di messaggio. A me interessa arrivare non alle persone che sono già all’interno del mondo cattolico o che ne gravitano attorno, anche perché ci sono molti altri sacerdoti, religiosi e religiose, che sono presenti su TikTok e che si rivolgono a questa fascia di persone. Io voglio arrivare a quella grande parte dei nostri giovani che non immaginano lontanamente che un prete possa essere un loro interlocutore. Sicuramente riscontro dei commenti di persone che si dichiarano atee e che riscoprono la figura del sacerdote. Ho sperimentato che si può arrivare al loro cuore lasciandogli scoprire con libertà che nella Chiesa ci sono sacerdoti con i quali si può aprire un confronto.
I giovani sono lontani dalla Chiesa per una questione di linguaggi differenti?
Direi proprio di sì. Io sono un missionario su TikTok ma ho imparato la dimensione dell’empatia emotiva, il linguaggio dei giovani, mi sono sorpreso della grande richiesta di domanda religiosa che esiste. Ovviamente è una domanda religiosa che il giovane non sa porre nel linguaggio al quale siamo abituati; un prete è abituato a parlare in chiesa ad una assemblea che conosce lo stesso linguaggio, che ha già una base. Lo sforzo deve essere quello di cambiare il linguaggio, inteso non solo come linguaggio verbale ma nella sua interezza comunicativa. Bisogna mettersi in gioco intercettando le loro domande e rispondere con il loro linguaggio. Noi dobbiamo parlare il linguaggio dei giovani, non dobbiamo pretendere che siano i giovani a parlare il nostro linguaggio. Lo spirito è quello dei missionari, quando si va in terra di missione bisogna adattarsi al linguaggio, alla cultura, che si trova.
Quali consigli si sente di dare ai giovani per non diventare schiavi del web?
Bisogna costruirsi e mettere in pratica delle piccole buone abitudini su misura. Anch’io utilizzo tante ore al giorno il cellulare, ma bisogna vedere che tipo di uso ne faccio. I consigli basilari sono quelli di non dormire con il cellulare acceso; di non aprire subito il cellulare come primo atto della giornata; fare una pausa pranzo senza rispondere alle mail mentre si mangia ma cercare di favorire delle conversazioni con altre persone; si tratta di piccole regole quotidiane per non cadere nella trappola della dipendenza. È necessario avere un’alternanza tra giorno e notte, altrimenti non si riesce a pensare in maniera creativa, se si sta sempre incollati al telefono o al pc la nostra soglia di attenzione diventa sempre minore.
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