Le consegne dei cantieri famiglia. Ascoltare restando accanto

Betania, la casa della vera amicizia 

Innanzitutto vorrei invitarvi a immaginare accanto a me mio marito, le famiglie del Direttivo e dell’Equipe di PF, i parroci, le religiose e tutte le famiglie che hanno preparato e percorso il cammino dello scorso anno preparato con cura durante il primo anno di Sinodo.

Un anno di cammino. E non è solo una metafora.

L’Equipe di PF si è mossa, ha camminato parecchio durante lo scorso anno entrando nei diversi villaggi della Diocesi. Non in tutti quelli che avremmo voluto visitare, perché – diciamolo – così come non esiste la famiglia del Mulino Bianco, non esiste neanche la Diocesi del Mulino Bianco.

 

Non a tutti è andata a genio la proposta del Sinodo e alcuni inviti a fare sinodo non sono stati accolti. Tuttavia da parte di tante parrocchie e famiglie c’è stata una bella e ampia risposta a dimostrazione che la sete di ascolto è tanta!

 

Così di domenica in domenica abbiamo visitato le parrocchie delle 8 foranie della diocesi e incontrato decine e decine di famiglie. A volte gli incontri proseguivano nella ferialità, nei giorni successivi alla domenica, con le tante telefonate e richieste di vicinanza e di ascolto che le persone incontrate o le persone vicine alle persone incontrate ci rivolgevano.

 

L’UPF facendo tesoro dei suggerimenti giunti dall’Equipe sinodale diocesana e dalla CEI con la proposta dei Cantieri di Betania, ha continuato a restare in ascolto delle famiglie, a non dare risposte o ad offrire letture, semplicemente si è posta accanto.

 

L’ascolto a differenza di quello offerto nel primo anno del Sinodo è stato un ascolto “orientato”, poiché volto a curare quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: in particolare disabilità, vedovanza, discriminazione, emarginazione.

 

In ascolto più che delle famiglie ferite delle ferite della famiglia, perché tutte le famiglie portano nel cuore o sulla pelle i segni di abbandoni, solitudini, offese, pregiudizi, malattie, violenze. In qualcuna di queste famiglie, le ferite sono più profonde e dolorose.

 

A differenza di quanto fatto prima del Sinodo in cui su questi temi variamente ci eravamo confrontati, avevamo studiato, incontrando esperti e studiosi, nello scorso anno nostri “maestri”, nostre guide sono stati i fragili stessi! sono stati loro a mostrarci che cos’è la fragilità, “a insegnarci” come accogliere e curare la marginalità: abbiamo guardato negli occhi, ascoltato la voce, stretto la mano di chi ha perso prematuramente il coniuge o disgraziatamente un figlio, abbiamo incontrato coniugi disabili, genitori di figli disabili che sono soli  e impotenti di fronte a una società con tante barriere fisiche e mentali, abbiamo conosciuto famiglie che si sono allontanate dalla comunità quando hanno scoperto di avere figli omosessuali, abbiamo incontrato anche gli stessi figli omosessuali che ci hanno fatto dono della loro testimonianza, abbiamo incontrato anche diversi giovani, figli che accompagnavano i genitori in questi incontri  – penso all’esperienza vissuta a Piano Lago o a Paola, ma anche durante il campo estivo a Tropea – giovani che tra una battuta e l’altra ci hanno fatto sentire il desiderio di essere guidati ma anche il peso di una distanza sempre più marcata tra noi adulti e le nuove generazioni.

 

Mi ha colpito quello che ha scritto don Armando Matteo, a tal proposito, su Parola di Vita : «Spesso parliamo ai nostri contemporanei – che azzardo a dire rappresentano quasi una nuova specie dell’umano – come se avessimo davanti i loro genitori e i loro nonni. Ma tra questi ultimi e i primi c’è un salto dimensionale»

 

Un aspetto che segna questa distanza è che emerso prepotentemente nei Cantieri è quello dei linguaggi che caratterizza il nostro modo di porci. Il nostro “ecclesialese” spesso risulta incomprensibile non solo a chi non crede ma anche a chi si avvicina oggi alla comunità e soprattutto alle nuove generazioni. Quando poi cerchiamo di parlare altri linguaggi ci scopriamo goffi e impreparati.

 

Anche noi come Gesù che ascoltava tutti e sapeva farsi capire da tutti, pescatori e dottori della legge, dovremmo avere un linguaggio che sa parlare al laureato come a chi non ha potuto studiare, all’ottantenne come al giovane, al fedele e a chi dopo il battesimo o i sacramenti dell’IC non è più entrato in chiesa, ma anche al non credente

 

Il nostro linguaggio – ci dice chi è lontano dalla comunità, ma anche chi c’è dentro come i nostri figli – dovrebbe essere semplice e anche essenziale. Dovremmo esercitarci a pronunciare quelle che in grammatica si chiamano frasi minime: questo è emerso dai Cantieri.

 

Mi ha fatto pensare l’altro giorno alla “Festa del Ciao” dell’ACR, partecipatissima, la risposta che i ragazzi davano a don Giampiero al Credo. Don Giampiero dopo un’omelia a misura di ragazzo apprezzatissima da tutti, giovani e vecchi, ha invitato a rinnovare le promesse battesimali ma non riusciva a completare le domande del Credo che i ragazzi lo precedevano nella risposta!

“Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria Vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre?”

Giustamente don Giampiero ha chiesto ai ragazzi di fargli completare la frase. L’ho ripetuto anche io a mia figlia che era accanto a me. E mi ha risposto: “Mamma, ma si sa! si capisce! Si può accorciare: basta Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo!”

 

Sono rimasta a pensare: forse mia figlia non aveva tutti i torti!

 

In effetti questo aneddoto può essere esemplificativo di come la comunicazione possa essere resa più snella in ogni ambito – anche nelle nostre liturgie forse! Lo dico in punta di piedi ma è ciò che emerso dai Cantieri – puntando a un linguaggio minimo, a espressioni essenziali evitando tutto ciò che complica e rende complessa la comunicazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nei Cantieri

 

Vediamo più da vicino i Cantieri.

Specifichiamo che abbiamo iniziato a percorrere il primo cantiere, “Il cantiere della strada e del villaggio” provando a rispondere alle domande

• Quali differenze e minoranze chiedono una specifica attenzione da parte delle comunità cristiane?

• Di quali linguaggi dobbiamo diventare più esperti? Come possiamo imparare una lingua diversa dall’“ecclesialese”?

Poi, però, naturalmente lungo il percorso durato un anno si sono innestati in esso “Il cantiere della casa e dell’ospitalità” con le seguenti domande

• Che cosa chiedono gli uomini e le donne del nostro tempo, per sentirsi “a casa” nella Chiesa?; e quello della “formazione spirituale e delle diaconie” con la sollecitazione

• Che cosa può aiutarci a “liberare” il tempo necessario per avere cura delle relazioni?

 

Riassumiamo in 4 Spot le risposte a queste domande che i Cantieri, ribattezzati Cantieri della Fragilità, ci hanno consegnato.

 

I CONSEGNA

 

Abbiamo compreso che c’è bisogno soprattutto di prossimità. Spesso ci limitiamo a invitare a quell’evento, a quel gruppo, a quell’esperienza ma ciò che gli uomini e le donne di questo tempo ci chiedono è semplicemente di abbandonare l’ansia e la fretta, di porci accanto a loro, perché c’è tanta solitudine.

 

A volte noi cristiani siamo come GIOIA nel film INSIDE OUT: (448) ascolto empatico – YouTube

 

Non è Gioia a “convertire” la rotta di Bing Bong: non “servono” i suoi esaltanti e anche un po’ esaltati inviti; ma è Tristezza che aiuta Bing Bong a ripartire, accostandosi empaticamente e facendo proprie le sue preoccupazioni.

 

Noi spesso ci comportiamo nell’annuncio di Gesù, come Gioia in questo spezzone: “Dai, vieni ai nostri incontri di Ac! Su canta e prega con noi del Rinnovamento: Dio è Gioia! Dio è Salvezza! Vieni a conoscere la spiritualità di don Giussani, ecc…” Facciamo questo, viviamo quello! Mettiamo davanti noi anziché i bisogni dell’altro.

Anche nella preghiera e nella formazione ci può essere una sorta di martalismo o martizzazione: se siamo presi dall’ansia, se ci spinge più il fare che l’essere e l’essere accanto.

 

Più che fare dovremmo stareCantieri delle Fragilità.

 

Ecco allora la prima consegna del Cantiere delle Fragilità:

I CONSEGNA: la fragilità si accoglie e si cura con la PROSSIMITÀ

perciò Smartizziamoci e Samaritanizziamoci, cioè guardiamo più che a Marta indaffarata e ansiosa, al Buon Samaritano che ha avuto compassione dell’uomo incappato nei briganti, lo ha soccorso e si è preso cura di lui.

 

 

 

 

 

 

 

II CONSEGNA

 

Al termine dei lavori del Cantiere, le famiglie hanno risposto che una delle nostre fragilità è quella di non essere sufficientemente formate e informate sulle tecno-relazioni, cioè sulle relazioni mediate da strumenti digitali.

 

Vi faccio vedere un video che qualche giorno fa mi ha girato mia figlia dopo l’ennesimo litigio, causato dall’uso improprio del cellulare da parte della mia piccola di undici anni e mezzo.

 

Video tiktok : https://youtube.com/shorts/_ROe0xTkHqM?si=jv82ZWvWeW-kX7v4

 

Io sono come la mamma nel primo sketch e così sono tante mamme che non sanno gestire la relazione con questo strumento che è il cellulare; ma cosa più importante con i figli che hanno ormai come tutti un’identità aumentata che trova il suo prolungamento naturale sui social.

 

Le reazioni di noi adulti nei confronti del mondo social sono generalmente opposte: o ci irrigidiamo demonizzando questo strumento; oppur ci sforziamo di stare al passo con le nuove tecnologie, correndo così il rischio di essere definiti Cringe: Imbarazzanti

Perché è difficile abitare i social rimanendo noi stessi: uomini e donne di un’altra generazione, genitori, adulti.

 

Cerchiamo di emulare i nostri figli ma così facendo combiniamo solo guai. Perché c’è una distanza enorme tra noi e loro. Guardiamo questo video: https://www.youtube.com/watch?v=1HKAQPscwxo

 

Pensiamo a tutte le cose belle ma anche alle varie gaffes commesse sui social prima, durante e dopo la pandemia. Proviamo a essere moderni ma in certi casi siamo influencer border line!

gaffes preti messa – – Video Search: risultati della ricerca di video (yahoo.com)

 

Accanto alla consapevolezza di non essere tante volte adeguati, i figli ci accusano di non saper comunicare soprattutto la fede nella quotidianità e anche sui social. Rispetto a questo tema, ci ha guidato verso la fine del percorso, il Sinodo digitale. Forse non tutti sanno che c’è stato anche un Sinodo digitale: “La Chiesa che ti ascolta”: siamo chiamati a essere missionari digitali, e per esserlo – come ho sentito dire qualche giorno fa da un giornalista – “non dobbiamo puntare al like ma all’Amen” cercando di portare beneficio senza essere troppo autoreferenziali.

Anche dai social ci vengono tante richieste di accoglienza. In un commento alle pagine promosse dal Sinodo digitale leggiamo questo:“La Chiesa dovrebbe provare a guardare se stessa dal punto di vista delle categorie che oggi la ignorano o detestano di più, a quel punto capirebbe quali sono i suoi gravi errori di interpretazione e comunicazione”.

Vivere il digitale e trasmettere la fede anche tramite i social non è una questione naturale: richiede educazione, cultura: ce lo ha mostrato la pandemia: siamo stati creativi ma poco formati

Dunque ecco la II CONSEGNA:

IL DIGITALE non è uno strumento ma è una CULTURA DA ABITARE: FORMIAMOCI! Come singoli e come comunità.

 

III CONSEGNA

 

Integrare tutti.

“Nessuno escluso”: foto di Napoli: all’indomani di Amoris Laetitia, la regione ecclesiastica della Campania è stata la prima a proporre un percorso penitenziale di accostamento all’Eucarestia per divorziati e risposati.

Ancora – anche se sempre meno perché tanti passi in avanti sono stati fatti verso l’integrazione delle famiglie ferite – queste coppie si sentono etichettate.

 

Dovremmo aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché nessuno ne sia escluso, né debba sentirsi condannato per sempre.

 

Ce lo hanno ricordato anche genitori e figli rispetto al tema dell’omosessualità: Tutti hanno un posto nella Chiesa: è l’invito che ci rivolge papa Francesco:  https://vm.tiktok.com/ZGJE9WEsm/

 

Le persone fragili perché discriminate, i divorziati, i risposati, i giovani, i nostri figli ci dicono che per essere accoglienti dobbiamo evitare di dare etichette:

Come suggerisce l’immagine: le etichette lasciamole ai vestiti

 

Accogliamo tutti nessuno escluso. Anche i giovani in ricerca, i giovani “non binari” che facciamo fatica a riconoscere e ad accogliere ma che popolano le classi a scuola e le nostre strade e che chiedono ascolto, accoglienza anche nella Chiesa

 

III CONSEGNA: NO ALLE ETICHETTE!

 

 

IV CONSEGNA

 

È emerso che in famiglia come nella comunità parrocchiale manca l’ascolto reciproco e il tempo della cura. Più che parlare di tempo libero dobbiamo liberare il tempo dalle troppe cose che facciamo e che ci impediscono di prenderci cura di noi e di chi ci sta accanto.

In famiglia e in parrocchia si corre e tra gruppi non ci si conosce abbastanza.  È sempre meno il tempo del dialogo e della conoscenza ed è questa la causa di numerosi conflitti. Sorgono conflitti tra servizi e ministeri. E ciò rende le nostre comunità estremamente fragili.

E se noi siamo fragili come possiamo curare le fragilità? “Medico cura te stesso”… direbbe il nostro Amico.

Per curare le fragilità, occorre riscoprire la virtù dell’umiltà: necessario imparare a DISINNESCARE, evitare il conflitto, essere capaci di fare un passo indietro, dire una parola in meno,  non avere necessariamente l’ultima parola come ci mostra una scena del film “Perfetti sconosciuti”

 

Film Perfetti Sconosciuti –  Regia di Paolo Genovese;  attori: Marco Giallini e attrice: Kasia Smutniak:  Video : (257) disinnescare – YouTube

 

Chiudiamo così. Con questa ultima consegna dei Cantieri sulle fragilità.

 

L’invito che le famiglie che hanno partecipato ai Cantieri rivolgono a noi sposi ma anche ai fedeli che popolano le comunità, ai membri dei consigli pastorali, ai responsabili delle associazioni e dei movimenti che spesso entrano in conflitto arroccandosi su posizioni rigide, e lo diciamo anche a chi oggi si ostina a lanciare missili e a permettere inutili stragi: DISINNESCA!

Per accogliere, per crescere, per realizzare vero Progresso, per raggiungere la Comunione, fai un passo indietro.

 

IV CONSEGNA: DISINNESCA!

 

E con questa consegna concludiamo, ma I CANTIERI CONTINUANO: sono sempre aperti, sono lavori in corso; proseguono anche perché ogni consegna è una responsabilità per tutta la comunità diocesana.

 

Continuiamo a sporcarci i piedi come invitava a fare l’altra sera padre Gaetano Piccolo, commentando il Ctc “Sporchiamoci i piedi nell’Annuncio così Gesù tornerà a lavarceli”.

 

Continuiamo con la collaborazione delle preziosissime parrocchie che ci hanno dimostrato di essere una grande forza, una grande ricchezza per tutta la Comunità, grazie a tante famiglie e a tanti sacerdoti e religiose e religiosi che hanno creduto nel Sinodo perché credono nella bellezza di camminare insieme anche quando costa fatica.

 

Continuiamo perciò a lavorare INSIEME affidandoci al Soffio dello Spirito Santo.

 

*Ringraziamo il “Sinodo digitale” e “Parole Ostili” per le soste di riflessione leggere e luminose offerte a noi famiglie durante il cammino sinodale!