Da Domanico al teatro, Giuseppe Mazzotta racconta l’amore per la recitazione
A “Le Maschere del Teatro Italiano” l’attore cosentino premiato come miglior interprete di monologo
Nel corso della cerimonia di premiazione de ‘Le Maschere del Teatro Italiano’, Giuseppe Mazzotta, originario di Domanico, il riconoscimento come miglior interprete di monologo per il lavoro teatrale ‘Radio Argo Suite’ di Igor Esposito. Lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia ‘Rosso Simona’ diretta da Lindo Nudo, si avvale della sua regia. Lo abbiamo intervistato per Parola di Vita.
Com’è avvenuto il passaggio dall’architettura alla recitazione? Studiavo architettura all’Università di Reggio Calabria. Era stata avviata una sezione di provini per entrare in una scuola di teatro a Palmi. Ad avvertirmi fu un amico. Era una scuola che offriva una borsa di studio con copertura totale, quindi una scuola in cui si studiava che offriva alloggio e un sussidio mensile per le spese quotidiane. Visto che potevo pagarmi l'Università facendo la scuola di teatro sostanzialmente, sono andato a questo incontro ed ho iniziato così il primo anno di corso. Per i primissimi tempi ho fatto davanti e indietro, tra le Reggio Calabria e Palmi, poi mi sono presto reso conto che non era possibile perché la scuola di teatro impegnava otto ore al giorno e la preparazione degli esami di architettura era altrettanto impegnativa. Alla fine, dopo un annetto, ho deciso di lasciare l'Università e restare in Accademia.
Dal 1999 ha interpretato per la prima volta il ruolo dell’Ispettore Giuseppe Fazio nella serie de ‘Il commissario Montalbano’, un ruolo che l’ha resa un volto celebre nel panorama televisivo. Qual è stato l'aspetto più gratificante di vestire i panni di questo personaggio per così tanto tempo? Bè, ci sono tanti aspetti positivi, non ultimo il fatto che abbiamo passato tanti anni spensierati, felici, tutti insieme perché comunque siamo un gruppo di ormai amici consolidati, in dei posti molto belli, facendo una cosa che ovviamente aveva un grandissimo riscontro, avendo rapporti assai frequenti con Camilleri che comunque ci arricchiva sempre; per cui quegli anni sono anni un po' felici. Io li collego agli anni della vita abbastanza spensierata, perché poi, certo, si lavorava, ma era così piacevole che non sembrava neanche un lavoro a un certo punto, se non per gli impegni e gli orari che bisognava onorare.
Recentemente, al Teatro Argentina di Roma, nel corso della cerimonia di premiazione de ‘Le Maschere del Teatro Italiano’, per la seconda volta, è stato premiato, questa volta come miglior interprete di monologo per il lavoro teatrale ‘Radio Argo Suite’. Come ha vissuto questo importante momento, anche dal punto di vista personale? Diciamo che i premi non sono così importanti per la persona che vince, sono importanti per dare più vita, più spazio anche di conoscenza allo spettacolo, perché a quel punto si crea un'attenzione, una curiosità sullo spettacolo e quindi diventa anche più facile distribuirlo, farlo andare in giro nei teatri. È chiaro che diventa importante il premio per questo. Per quanto riguarda la dimensione individuale, sì, c'è un po' di vanità. Uno per un attimo è contento, ma di fatto non cambia molto, nel senso che si continua a lavorare come prima, con lo stesso impegno. Anzi, diventa anche maggiore l'impegno per certi versi perché le aspettative inevitabilmente aumentano. Per la persona, almeno per me, è un momento un po' destabilizzante in quanto pone diversi interrogativi sul lavoro che si svolge su sé stessi.
Può parlarci dell’opera teatrale oggetto della premiazione? Radio Argo è una riscrittura dell'Orestea. L’opera è stata scritta da un amico napoletano, poeta, dalla quale ho tratto una drammaturgia. L'anno scorso il Festival di Gibellina mi aveva chiesto di fare qualcosa, io non avevo niente sotto mano, però avevo questo testo, quest'idea, per cui gliel’ho proposta, allora mi hanno detto che andava bene e quindi abbiamo realizzato questa performance con i musicisti in scena per il Festival di Gibellina l'anno scorso. È andata bene, quindi piuttosto che interrompere diciamo, perché lo spettacolo era pensato per Gibellina, abbiamo girato diverse altre repliche. L'anno scorso abbiamo aperto la stagione del San Ferdinando qui a Napoli che era il teatro di Eduardo De Filippo, poi siamo tornati a Gibellina quest'estate per replicare lo spettacolo e ancora sono seguiti una serie di altri festival. L'ultimo è staro quello di Fabrizio Gifuni, a Lucera. Quindi lo spettacolo ha cominciato a prendere un po' di vita. Poi è arrivato il premio e con il premio sono arrivate altre proposte, un teatro di Roma e poi uno di Napoli. Si è creato un pochino di attenzione. Lo spettacolo è la messa in voce dell'opera: sono sei voci che raccontano tutta la vicenda della guerra di Troia. Abbiamo Ifigenia, Clitennestra, Agamennone, Cassandra, Oreste e Giusto che sono i personaggi dell’opera di Eschilo che porto in scena con l’aiuto di musicisti che suonano dal vivo.
Cosa rappresenta per lei il teatro rispetto al cinema e alla televisione? Il teatro io l'ho fatto per tanti anni, nei primi anni, della mia attività lavorativa, almeno dieci, dodici, quindi è stato un nutrimento totale. Poi ho incontrato la televisione, poi dopo il cinema. Quindi la mia frequentazione al teatro si è un po’ diradata. Ci torno ogni tanto, anche se ultimamente sto tornando abbastanza spesso. È difficile definire cos’è il teatro per una persona che lo fa: per un verso è qualcosa che ti nutre, di cui non puoi fare a meno. Prendo in prestito le parole di un illustre collega che dice: “Noi non abbiamo la passione del teatro, noi abbiamo l’ossessione per il teatro”, quindi un qualcosa di cui non ti puoi liberare anche se vorresti perché c’è sempre un attaccamento. Personalmente non leggo molte differenze, che pure ci sono, tra il teatro, il cinema e televisione. Se non altro perché a teatro c'è un'espressività molto diversa, ti puoi concedere molto di più a teatro, puoi fare molto di più rispetto a quello che puoi fare al cinema, anche se puoi magari il risultato cinematografico è più efficace ma per un attore o per un regista il teatro offre uno spazio molto più ampio per la propria espressività Non è un passaggio indolore quello dal cinema alla televisione e dalla televisione al teatro, almeno nei primi momenti, ma è assolutamente possibile.
È stato co-fondatore della compagnia Teatri del Sud. Come vede l’evoluzione del teatro nel Sud Italia e qual è il contributo che spera di aver dato attraverso il suo lavoro? Io sono stato fondatore di questa compagnia e ancora prima di ‘Rosso Tiziano’. In entrambi i casi siamo state due compagnie caratterizzate dal fatto che si scrivevano testi che poi venivano messi in scena; non prendevamo classici, eravamo molto concentrati sulla drammaturgia contemporanea e soprattutto sulla drammaturgia che scrivevamo noi; in ‘Teatri del Sud’ era Francesco Soriano che scriveva. Però in entrambi i casi, devo dire senza falsa modestia, sono stati create degli spettacoli che a distanza di venti, trent’anni sono rimasti nella memoria e nell’immaginario delle persone che li hanno visti ispirando anche molti a intraprendere il percorso teatrale come percorso formativo professionale. Non so se possa avvenire lo stesso anche oggi. I tempi sono completamente cambiati, però all'epoca accadeva.
Guardando indietro alla sua carriera, c’è un ruolo o un momento che considera particolarmente significativo, sia a livello personale che professionale? Ce ne sono stati diversi. Io sono stato molto fortunato perché mi è capitato di fare tante cose che poi sono rimaste nella memoria delle persone. Al cinema sicuramente ci sono diversi personaggi a cui sono legato. Uno è quello di ‘Anime Nere’ di Francesco Munzi. È stato un film molto importante che continua ad essere celebrato. Poi il personaggio di Fazio, ma inevitabilmente perché l'ho fatto per così tanti anni che non potrei non sentire un affetto per lui e sempre per la TV un altro personaggio che mi ha divertito di più è il personaggio di Bruno Corona nella serie ‘Solo’ che non è molto conosciuto perché è stato mandato in onda, poi non ripreso, ma è un personaggio che mi ha divertito molto interpretare.
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