A 29 detenuti di Rebibbia il patentito di frigorista

Dopo avere frequentato un corso professionale e aver superato gli esami, hanno ottenuto la qualifica di frigorista di prima categoria, che consentirà loro, una volta scontata la pena, di lavorare a livello industriale o in proprio e di rilasciare attestazioni di conformità secondo la legge. I volti e le storie dei neodiplomati.

La pesante cancellata d’acciaio scintilla al sole mentre scorre lentamente per far entrare il gruppetto di visitatori che ha già depositato borse e cellulari negli appositi armadietti. Dopo il controllo documenti, una seconda cancellata, altrettanto pesante, si apre per poi chiudersi inesorabilmente alle nostre spalle, facendo percepire con durezza il senso di un al di qua e di un al di là, di una reale separatezza dal mondo. Siamo nella casa circondariale romana di Rebibbia, circa 2.100 detenuti, di cui 350 donne. Inizia così, il 14 aprile, la mia “prima volta” in un carcere, e l’occasione è festosa: in una piccola biblioteca, dopo avere frequentato un corso professionale e aver superato gli esami, 29 “ospiti” stanno per ricevere il patentino di frigorista di prima categoria – con certificazione Assistal (Associazione nazionale costruttori impianti aderente a Confindustria) e Imq (Istituto italiano marchio di qualità) – che consentirà loro, una volta scontata la pena, di lavorare a livello industriale o in proprio, e di rilasciare attestazioni di conformità secondo la legge. L’iniziativa, promossa dal Rotary club di Subiaco e supportata da altri club rotariani e dal distretto di Lazio e Sardegna, è stata resa possibile grazie ad Assistal, che ha messo a disposizione i docenti. Tre mesi e mezzo di lezioni teoriche e pratiche, 7mila euro la spesa per dispense, attrezzature e macchinari, interamente a carico del Rotary. Di “esperienza positiva e meritoria, da diffondere come buona prassi”, parla Luciano Eusebi, penalista e consigliere di “Scienza & vita” che donerà alla biblioteca del carcere un centinaio di pubblicazioni, tra cui tutta la collana dei “Quaderni”. Allievi eccellenti. Il gruppetto di rappresentanti del Rotary e di Assistal, cui si uniscono alcuni cronisti, viene accompagnato in biblioteca dalla vicedirettrice Anna Del Villano. I neodiplomati sono già lì, volti giovani e meno giovani di un’umanità sofferente ma decisa a ricominciare; alcuni un po’ induriti, quasi scolpiti nella pietra, ma che non nascondono l’emozione. A tutti brilla lo sguardo mentre ricevono il patentino. Allievi eccellenti, che hanno dimostrato entusiasmo e impegno: sono concordi, organizzatori e docenti del corso. La media delle votazioni è stata infatti di 90/100. Giovanni Rosati, anima e responsabile del progetto, ne sottolinea l’obiettivo: “Costituire un ponte fra carcere e società”. Ora, mi spiega, il Rotary coprirà anche le spese per la loro iscrizione all’albo professionale di categoria, 80 euro ciascuno. Rosati sta già pensando al prossimo corso, per installatori di pannelli fotovoltaici: “Se troviamo le risorse, in tre mesi siamo in grado di partire”. Volti e storie. Diego Pescatori, 43 anni, partito con “il timore di non riuscire”, ringrazia la competenza e la capacità di motivazione dei docenti. “Se tutto va male – dice – uscirò il 6 ottobre 2016, però ogni sei mesi ci vengono abbuonati 45 giorni per buona condotta”. Gli si illuminano gli occhi quando gli chiedo del nome che porta tatuato sull’avambraccio, quello di Giulia, la figlioletta di sei anni. “Io vivo per lei, questo corso l’ho fatto per acquisire nuove competenze, ma anche per lei”. Ha 43 anni anche Giuseppe Atzei e ha già scontato 16 mesi per bancarotta fraudolenta, che definisce “la mia caduta”. “Ho voluto fare il passo più lungo della gamba aprendo una società e fidandomi di persone sbagliate”, ammette. Dovrebbe uscire a luglio 2016, ma spera di ottenere i domiciliari con affidamento al lavoro (per il quale c’è già una possibilità concreta). Con il corso, racconta, “ho imparato che quando arrivi a toccare il fondo c’è sempre la possibilità di rialzarsi”. Tiziano è il più giovane. Il 2 giugno compie 27 anni, il 5 giugno tornerà in libertà e sogna, grazie al corso, un rapido reinserimento nella società. “Fare gruppo qui non è facile – aggiunge -, il corso mi ha aiutato anche in questo”. Mario Maurizio Mastrozzi, 63 anni, una ricca storia d’artista, scrive poesie e ha una lunga esperienza di teatro, anche con figure importanti. “Formazione professionale e integrazione sociale”, spiega, le “carte vincenti” del corso. A Rebibbia dal giugno dell’anno scorso, pensa alla libertà come “al vento che entra dalla finestra, accarezza il viso, scompiglia i capelli e tocca il cuore”. E si dice sereno, pur con il rammarico di non avere mai ricevuto una lettera o una visita dalle figlie e dai nipoti. Si slaccia la camicia mostrandomi commosso il rosario con il crocifisso che porta al collo e che il 2 aprile Papa Francesco gli ha benedetto “addosso”, dopo averlo “abbracciato e baciato come un fratello”. “Il giorno più bello della mia vita, gli ho detto. Non me lo toglierò mai!”. Marco Fagiolo, 59 anni, ha ottenuto il massimo voto: 100/100. “Anche a questa età – sostiene – è importante mettersi in gioco e non perdere la curiosità di conoscere”. Marco è “colpito dall’umanità di organizzatori e docenti, un’attenzione importante per chi come me vive da tanti anni fuori del mondo”. Ad oggi ha scontato 25 anni in diversi istituti e da tre mesi è a Rebibbia: “Se tutto va bene potrei uscire tra qualche mese, se tutto va male entro tre anni”. Sa che cosa significa sentirsi emarginati; per questo auspica che altre carceri prendano esempio dall’istituto romano.