A Lungro l’Assemblea diocesana dell’Eparchia sul concilio di Nicea

La speranza di mons. Oliverio di una data comune per la celebrazione della pasqua tra Oriente e Occidente.  "Nell'approssimarsi dei 1700 nel concilio di Nicea" occorre "promuovere una conoscenza storico - teologica del concilio di Nicea e della sua recezione per la Chiesa del XXI secolo chiamata a confrontarsi con nuove sfide a livello locale e universale"

“La nostra Chiesa diocesana, in comunione con la Chiesa universale e italiana, sta compiendo un cammino nella sinodalità. Il termine sinodalità non è un concetto vuoto o uno spot pubblicitario, ma un ritrovarsi insieme nell’ascolto reciproco”. Lo ha detto questa mattina mons. Donato Oliverio vescovo di Lungro, aprendo in Cattedrale l’assemblea diocesana dal titolo “Verso i 1700 anni del concilio di Nicea”. “La sinodalità vede nella divina liturgia la sua fonte e il suo culmine”, ha evidenziato il vescovo lungrese, ricordando “il patrimonio di fede arbereshe” che “chiama la nostra Chiesa locale a camminare insieme in Cristo portando la peculiarità della liturgia, della teologia, delle tradizioni bizantine in occidente”. Il presule ha posto l’attenzione sui diversi appuntamenti del 2025. Tra questi la peregrinatio giubilare. Mons. Oliverio ha evidenziato che “il grande Giubileo del 2025 porta insito il desiderio di celebrare una Pasqua comune, e nel prossimo anno tale comune celebrazione il 20 aprile sarà un primo segno di unità tra Oriente e Occidente”. 

“Dopo questo anno – ha aggiunto – si possa continuare a celebrare la Pasqua insieme”, l’auspicio del Vescovo. Nicea – ha sottolineato il presule – è “il nucleo della fede che professano ogni giorno nella divina liturgia e nella nostra vita”. Esso “ha costituito un momento fondamentale della vita della Chiesa” tanto da “diventare nel corso dei secoli un costante punto di riferimento, specialmente nel XX secolo quando i cristiani hanno iniziato a incontrarsi superando divisioni e pregiudizi”. Per mons. Oliverio “nell’approssimarsi dei 1700 anni del concilio di Nicea” occorre “promuovere una conoscenza storico – teologica del concilio e della sua recezione per la Chiesa del XXI secolo chiamata a confrontarsi con nuove sfide a livello locale e universale”. Difatti, “il Concilio necessita di essere riscoperto e approfondito”. Da qui l’esortazione e l’auspicio. “La Chiesa deve ripartire dalla verità di Gesù Cristo, il resto è contorno”. Per questo “dobbiamo ripartire dalle radici per non ridurre il cristianesimo a complessi apparati del fare, dove la dimensione della fede rischia di essere relegata al secondo posto”. 

DON FRANCESCO ASTI (Pftim): GLI INSEGNAMENTI DEL CONCILIO DI NICEA 

“Il concilio di Nicea insegna che ci sono tre fondamenti del nostro annuncio: vangelo, tradizione e ragione illuminata dalla fede. La fede infatti non è mancanza di ragione, sentimentalismo, ma è fondata su un’intelligenza che è entrare nel mistero di Dio con tutto noi stessi, per raggiungere Cristo pienezza dell’umanità”. Lo ha detto questa mattina nella cattedrale di Lungro don Francesco Asti, presidente della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale di Napoli, intervenendo all’assemblea diocesana dell’Eparchia dal titolo “Verso i 1700 anni del concilio di Nicea”. Riflettendo sul metodo sinodale e sulla ricerca teologica portata avanti a Nicea, don Asti ha evidenziato “che se ci si mette insieme si trovano anche le soluzioni alle problematiche dottrinali ed ecclesiali”.

Difatti, “i contrasti tra Vescovi in seno al concilio di Nicea erano per la passione di Cristo e della Chiesa. Pensarono e agirono insieme, in modo sinodale”. Dal Concilio niceno emerge pertanto che “il dialogo è più della divisione”, che “la comunione è frutto dell’abbassamento del nostro io, della diversità e dell’unione di tanti”, per cui “quando si cammina insieme la mia idea non è superiore alle altre”. Secondo don Asti, “Nicea insegna come annunciare il Vangelo e annunciare che Gesù è figlio di Dio, e ci chiama a interrogarci sui termini da poter utilizzare anche oggi. Rendere comprensibile la fede in questo tempo significa un linguaggio semplice secondo i termini correnti”.Riflettendo sul Giubileo, don Asti ha evidenziato che “questo evento sarà tanto vero quanto più saremo con la nostra vita testimoni di Cristo. La testimonianza è difatti più importante della parola”.