Attualità
Aiutare gli ultimi per cambiare rotta alla vita
La calabrese Regina Catambrone insieme al marito ha acquistato un'imbarcazione per soccorrere i disperati nel Mediterraneo. Grazie alla sua ONG, la prima al mondo che si occupa di soccorso in mare per i migranti in difficoltà, ha salvato circa 3000 vite umane.
Chi ha la possibilità deve fare. Non ci si può girare dall’altra parte facendo finta di nulla. Siamo chiamati a riconoscere nell’altro il prossimo. Quando una persona sta rischiando la vita in mezzo al mare, bisogna fare di tutto per salvarla. Loro sono noi. Non si può non aiutare i migranti. Ancora di più ora, con tutte le situazioni di caos che si sono create per l’Isis. Il male non si può combattere sperando che queste persone affoghino nelle acque del Mediterraneo o che non stia accadendo nulla. Bisogna affrontare queste situazioni. Non solo l’Italia, ma anche l’Europa deve prendere coscienza di tutto ciò che sta accadendo a pochi passi da noi nelle acque del nostro mare, nel quale negli ultimi anni hanno trovato la morte molti di coloro che su imbarcazioni di fortuna tendano di arrivare nel nostro Paese”.
Regina Catambrone è un’imprenditrice calabrese che da alcuni anni insieme alla figlia e al marito vive a Malta. Con la sua Phoenix, un’imbarcazione privata di 40 metri, ha salvato in soli tre mesi ben 3000 vite umane nel Mediterraneo. Uomini e donne, ma anche tanti bambini. Nei loro sguardi smarriti tanta angoscia e paura di non farcela. Nelle loro storie ha potuto guardare in faccia la povertà dei loro Paesi di provenienza: dalla Siria alla Palestina. “Nei loro occhi- ci racconta Regina Catambrone, ideatrice del Moas (The Migrant Offshore Aid Station), la prima ONG al mondo, che ha l’obiettivo di prevenire le morti in mare fornendo assistenza ai migranti in difficoltà – vedi la speranza e nello stesso tempo la disperazione. Spesso i migranti sono ignari dei pericoli ai quali vanno incontro salendo su imbarcazioni di fortuna. A volte è capitato che il barcone affondasse subito dopo che venissero soccorsi. Bastava veramente poco e sarebbero morti. Viaggiano in condizioni disumane e indescrivibili, senza cibo e né acqua e in condizioni igieniche precarie peggio degli animali”. Il suo impegno al fianco degli ultimi inizia anni fa nella parrocchia di Santa Lucia a Reggio Calabria, quando con il suo padre spirituale di allora, Don Mimmo Geraci, si occupava di aiutare attraverso le diverse attività parrocchiali le persone che arrivavano sulle coste calabresi. Poi anni dopo, l’incontro con il marito americano di origini italiane, Christopher, che in seguito all’uragano che anni fa colpì New Orleans decise di venire in Italia per scoprire la terra delle sue origini: la Calabria.
Una vita come tante quella di Christopher e di Regina. Tra lavoro, famiglia e impegni. Poi la svolta e la decisione di cambiare rotta, facendo qualcosa di concreto per gli altri.
“Nel 2013- racconta Regina Catambrone- io e mio marito ci trovavamo in vacanza a Lampedusa. L’isola si stava preparando ad accogliere il Santo Padre in quei giorni. Da lì a poco Papa Francesco avrebbe rivolto dopo l’ennesima tragedia del mare l’ appello a tutti coloro che avevano la possibilità di aiutare i migranti in difficoltà. Le parole del Papa per la nostra famiglia sono state una vera e propria chiamata che ha scosso le nostre esistenze”. Da lì a poco l’ennesimo sbarco e ancora la perdita di altre vite umane nelle acque del Mediterraneo.”Eravamo in partenza per Tunisi per impegni di lavoro- racconta- e abbiamo visto in mare una giacca. Il capitano dell’imbarcazione sulla quale eravamo ci ha detto tristemente,conoscendo quale era la situazione, che era di sicuro di un migrante che non ce l’aveva fatta. Allora capimmo che quel bellissimo Mar Mediterraneo che per noi fino a quel momento era un vero e proprio paradiso, per tutte quelle persone che cercavano di arrivare in Europa era un vero e proprio cimitero”. Da qui il desiderio e la voglia di non rimanere indifferenti. “Per noi – racconta l’imprenditrice calabrese – è stata una vera e propria chiamata. In quel momento ci veniva chiesto da colui che sta al di sopra di noi di fare qualcosa. Potevamo e lo abbiamo fatto. Abbiamo fondato l’ONG, abbiamo acquistato in America la Phoenix e dei droni che ci avrebbero aiutati nelle ricerche dei barconi in difficoltà e siamo partiti per la prima missione in mare”. E’ l’agosto dello scorso anno quando per la prima volta nelle acque del Mediterraneo Regina Catambrone insieme a una squadra di soccorritori formata da personale sanitario di provata esperienza salva i primi migranti: 227 persone di cui ben 58 bambini di nazionalità palestinese e siriana.”Non sapevamo- ci racconta- a cosa saremmo andati incontro essendo il Moas un progetto pilota. I migranti si trovavano in mare con un peschereccio di fortuna. Erano disperati”. A guidare quell’operazione, così come le successive il centro operativo della Marina di Roma. “Ci sono delle direttive ben precise- ci spiega Regina Catambrone- alle quali dobbiamo attenerci prima, durante e dopo il salvataggio. Durante l’operazione ci avviciniamo con due gommoni veloci all’imbarcazione da soccorrere. Verifichiamo la situazione che c’è in mare, diamo ai migranti i salvagenti, dei quali spesso sono sprovvisti, in modo tale che se l’imbarcazione durante il salvataggio dovesse affondare loro sarebbero al sicuro. Li imbarchiamo sui nostri gommoni e li portiamo sulla Phoenix. Qui vengono sottoposti come primo monitoraggio allo screening della temperatura corporea per verificare le condizioni di salute e forniamo loro la prima assistenza”. La missione della Phoenix è durata fino al mese di Ottobre del 2014 e nel 2015 ripartirà grazie a un’operazione di crowdfounding il prossimo mese di Maggio per altri 6 mesi. “Aiutare gli altri – conclude Regina Catambrone – ha regalato alle nostre vite pienezza, pur sottraendoci del tempo e del denaro. Ma dinnanzi a questa disperazione siamo chiamati a non voltarci dall’altra parte. Come uomini e come cristiani, non possiamo restare a guardare la gente morire nel nostro mare”.