Amendolara. L’antica Lagaria sul pianoro di S. Nicola

L’identificazione, a tutt’oggi non confermata, è stata da sempre oggetto di ipotesi contraddittorie

La presenza dell’uomo nelle zone di Amendolara si perde certamente nella notte dei tempi. Grazie a poche notizie e a ricerche effettuate nel 1930, continuate ed elaborate negli anni seguenti dallo studioso Vincenzo Laviola, sono stati individuati insediamenti precedenti alla venuta dei Greci e risalenti fino al Paleolitico, con un ciclico alternarsi di dominazioni e di civiltà fino all’arrivo dei Romani. Il pianoro di S. Nicola si trova a circa un chilometro in linea d’area ad est dell’attuale centro di Amendolara, e a circa quattro chilometri dalla costa. Questo terrazzo è delimitato tutt’intorno da profonde balze calanchive, sul lato Ovest un ponte di terra risparmiato dalle frane ne permette l’accesso, mentre il lato Est presenta un pendio dolce che lo collega ai piani inferiori. La forma può essere considerata ellittica con una lunghezza di circa 600 m. e una larghezza massima di 250 m., l’inclinazione è in senso nord-sud con un’ondulazione ritmata in tre terrazzi. Alla base sono presenti numerose sorgenti. Il sito, a quota 200 m. s.l.m. circa, per le caratteristiche suddette, è naturalmente fortificato ed offre un ampio controllo della fascia costiera da Capo Spulico a Capo Trionto. Ad oggi, tutta l’area che è sottoposta a regime di vincolo archeologico ed è stata recentemante interssata da una campagna di scavo che nel 2017 ha individuato una fornace, risulta quasi per intero coltivata e presenta, in alcuni punti, resti delle antiche costruzioni.Gli scaviLe notizie di ruderi risalgono al XIX secolo. In seguito, dal 1958 l’Ispettore onorario alle Antichità, il dott. Vincenzo Laviola, raccoglieva il materiale archeologico proveniente da varie zone del comune. Nel 1967 Juliette De La Geniere iniziava, per incarico della Soprintendenza alle Antichità, una serie di saggi nella zona di S. Nicola e in quella dell’Uomo Morto e di Mangosa. L’indagine archeologica, compiuta in diverse ed estese campagne di scavo (condotte dall’équipe di J. De La Geniere, nel 1967, 1969, 1970, 1973), ha rilevato l’esistenza di un nucleo abitato urbano in vita nel VII-VI sec. a.C., anche se tracce sporadiche di ceramica locale testimoniano una frequentazione del sito, seppure modesta, sul finire dell’VIII sec. a.C.. Per quanto riguarda la fase del VII secolo, la documentazione archeologica delle strutture è scarsa. All’indomani dell’arrivo degli Achei a Sibari, il centro abitato d’altura di Rione Vecchio viene abbandonato, e l’abitato di Amendolara cambia sede occupando la collina di S. Nicola, 2 Km. circa a nord-est del Rione Vecchio. Il nuovo luogo oltre ad essere più vasto (circa 45 ettari), è più vicino al mare e offre condizioni più favorevoli allo sviluppo di un agglomerato urbano.Più vantaggiosa è la situazione per quanto riguarda lo studio dell’impianto del VI sec. a.C.. Su una superficie di 6 ettari sono stati riportati alla luce 23 edifici di notevoli dimensioni.L’impianto urbano doveva essere piuttosto regolare anche se condizionato da ragioni topografiche; le abitazioni, a pianta quadrangolare e organizzate intorno ad un cortile centrale, affacciano su strade rettilinee con fondo in terra battuta, ampie quasi m. 5, che si incontrano ad angolo retto, secondo uno schema regolare. É in questo momento che, l’abitato, assume le sembianze di una polis greca. Sembra che tali abitazioni siano state distrutte e ricostruite con minore cura nella seconda metà del VI sec a.C.. Frammiste agli edifici ci sono numerose fornaci ceramiche; il materiale raccolto comporta una grande quantità di ceramica locale (brocche, scodellini), vasi importati corinzi e attici, anfore vinarie ioniche; inoltre si nota la grande quantità di vasi provenienti dalle botteghe coloniali, come la coppa di tradizione geometrica protocoinzia, gli skyphoi, e in seguito le coppe ioniche. All’interno delle abitazioni sono stati recuperati migliaia di pesi da telaio. La quantità per singola abitazione fa pensare alla grande quantità di mestieri e all’attività intensa di questo piccolo centro di fabbricazione delle stoffe, non limitata quindi all’uso familiare. Sul terrazzo di S. Nicola è stato inoltre ritrovato, nel 1976, un ripostiglio monetale composto da 25 stateri di Sibari con toro retrospiciente, 8 stateri di Metaponto con spiga di grano, 1 statere di Crotone con tripode, tre terzi di Sibari con toro retrospiciente, 5 terzi di Metaponto con spiga di grano, tutte in argento. Lungo il lato Est del piano, l’unico non difeso naturalmente, lo scavo ha messo in luce, in due punti, le tracce di un muro in ciottoli di fiume. Sempre dal lato est si diparte un viottolo che giunge al mare. L’abbandono del sito corrisponde alla caduta di SibariSi ritiene che il centro gravitasse nell’area d’influenza della città di Sibari, come testimoniano anche la somiglianza delle strutture con quelle del quartiere degli Stombi e alcune iscrizioni in alfabeto acheo su piramidette fittili, così come l’assenza di edifici o spazi pubblici e di aree destinate al culto. È verosimile che facesse parte del suo particolare sistema economico commerciale e di controllo del territorio, infatti l’abitato è in posizione di vedetta sull’importante via di comunicazione fra le pianure del Siris e Sibari e attraverso l’alta valle del Ferro comunicava con i bacini interni del Sinni e dell’Agri.Si è pensato anche di considerare l’abitato di S. Nicola come una delle venticinque città di cui parla Strabone (Strab. VI, 1,12). Da parte di V. La viola e J. De La Genière è stata considerata la possibilità di identificare l’abitato con l’antico centro di Lagaria, la cui identificazione è stata oggetto di molte ipotesi contraddittorie.Le necropoli di Mangosa e Uomo Morto.Al di sotto dell’abitato, ed in relazione ad esso, sono state scoperte ed in parte esplorate due necropoli. Una, Mangosa, occupa il pendio di una collina; l’altra, Uomo Morto, sviluppatasi in una striscia lunga e stretta, costeggiava forse una zona coltivata. I morti sono seppelliti in fosse rettangolari, qualche volte circondate e coperte di lastroni (tombe a cista) e, più frequentemente di pietre irregolari. La composizione e la disposizione del corredo conoscono una evoluzione abbastanza rapida. Le donne delle prime generazioni portano ancora le fibule, i gioielli caratteristici della prima età del Ferro; gli uomini hanno spesso delle fibule di ferro e, sovente, si mette nella tomba una punta di lancia o un falcetto.