Arte sacra in Etiopia

Lo splendore della cattedrale di Emdibir messo in luce da Egidio Todeschini.

Un’oasi di pace cristiana con il suo splendido tripudio di colori nel corno dell’Africa Nera, questa è la cattedrale di Emdibir. Una storia moderna e una tradizione antichissima si incontrano in un luogo sacro dove la costante volontà di un vescovo, l’Eparca Musiè Gebreghiorghis, e la mano sapiente dell’artista etiope Melake Genet Berhe Ghebrekidan hanno dato vita ad uno degli edifici religiosi più significativi del continente africano. Oggi le vicende dell’Etiopia e della sua chiesa si trovano raccolte nel volume “Cristianesimo e arte in Etiopia. La cattedrale cattolica di Emdibir” curato da Egidio Todeschini ed edito da Equa.Sono vari gli autori che hanno collaborato alla redazione del libro, affrontando tutte le tematiche del cristianesimo africano, come Osvaldo Ranieri che ricorda proprio le lontanissime origini storiche partendo dalla biblica Regina di Saba e passando per la predicazione cristiana del diacono Filippo e san Frumenzio, fino ai giorni nostri. Colpisce soprattutto la vicenda dedicata alla disputa teologica, iniziata dalla metà del XVII secolo e terminata agli inizi del XIX secolo, tra unzionisti, che sostenevano appunto essenziale l’unzione dello Spirito Santo per la redenzione, e unionisti, che invece ritenevano che l’incarnazione avvenisse e operasse per virtù del Verbo senza l’intervento dello Spirito. Dalla vicenda si comprende come quella etiope sia, a dispetto delle comuni convinzioni, una chiesa viva, dinamica e dalla preparazione dogmatica elevata, offrendo un panorama culturale che va ben oltre l’immagine un po’ scontata di una religiosità esclusivamente popolare e rituale.Il saggio di Tewelde Beyene su “Tradizione e vita cristiana in Etiopia” conduce un’indagine attenta sulle vicende che, attraverso i secoli, hanno contribuito a formare la spiritualità religiosa nella terra d’Africa, proprio nei luoghi dove l’influenza della vita e delle regole monastiche rappresentano il vero substrato per la diffusione della cristianità. Questi capitoli sono dei paradigmi di conoscenza essenziali per comprendere sia l’architettura sia la cultura figurativa della cattedrale di Embidir.Si passa così al fulcro artistico del volume, ovvero gli affreschi che con la loro fitta e variopinta narrazione trattano i temi dell’Antico e del Nuovo Testamento, tra visione apocalittica e scenari del Paradiso. Le immagini accompagnano lo sviluppo dello spazio liturgico divenendo traduzione visiva della Parola letta e ascoltata, in una moderna biblia pauperum, specchio di una fede tanto popolare quanto colta. Gli autori ci accompagnano, grazie alle bellissime fotografie che corredano il volume, in un viaggio dentro una struttura architettonica “nuova” o meglio diversa da quella occidentale, secondo uno sviluppo geometrico che segue precise destinazioni solenni: il Meqdes (Santuario), la Qedest (lo spazio tra navata e santuario) il Qenie Meheliet (la navata), ognuno accompagnato da un apposito apparato decorativo che corrisponde all’impianto teologico. Il Meqdes è dedicato al mistero di Cristo “perno di tutte le cose visibili ed invisibili” qui è presente la figura del Cristo Pantocratore, che ricorda il Signore come Creatore e Redentore, al di sotto si trova l’immagine della Vergine con il Figlio che rievoca il culto religioso dell’incarnazione. Il Qedest, il luogo destinato alla lettura del Vangelo, dove le immagini parlano della storia dell’umanità da Adamo ed Eva fino ad alcuni episodi evangelici dove è dato ampio risalto all’Ultima cena. Su tutti grandeggia l’immagine dei tre grandi anziani barbuti, che simboleggiano la Trinità, ovvero “l’inizio, l’intermedio e la fine; il compimento, la perfezione e lo scopo finale di tutta la creazione”.