Autonomia differenziata. Corte costituzionale dice no ad abrogazione totale ma boccia sette punti rilevanti

La Corte costituzionale ha valutato i ricorsi presentati da Sardegna, Campania, Puglia e Toscana

Tutta un’altra autonomia. La Corte costituzionale, valutando i ricorsi di Sardegna, Campania, Puglia e Toscana contro la legge Calderoli, ha sì respinto la richiesta di abrogazione totale, ma ha bocciato sette punti rilevanti della normativa approvata lo scorso giugno e su altri cinque è intervenuta interpretandoli in modo “costituzionalmente orientato”. Quel che forse è ancora più importante, la Consulta ha fornito una lettura delle norme costituzionali varate con la riforma del 2001, quelle relative alla possibilità di attribuire alle regioni a statuto ordinario forme e condizioni particolari di autonomia (art.116, terzo comma), che riconduce tutto il discorso dell’autonomia differenziata nell’alveo delle coordinate fondamentali della Carta. E così facendo salva l’autonomia, che fa parte della cultura costituzionale del nostro Paese, ma la mette al riparo da pericolose forzature che in alcune ambiguità del testo del 2001 potevano trovare alimento e rispetto alle quali anche i referendum nulla avrebbero potuto. Nell’ampio comunicato diffuso in attesa del deposito della sentenza, la Consulta afferma che l’art.116 “dev’essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana”. Tale forma di Stato “riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”. Per la Corte “la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative” non deve corrispondere “all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico”, ma deve avvenire “in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. “A tal fine – afferma la Consulta – è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni” e “in questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”. È un ribaltamento completo di quell’autonomia “à la carte” secondo cui le Regioni potevano chiedere senza motivazioni fino a 23 materie. Il concetto è ribadito in rapporto al primo dei punti su cui la Consulta è intervenuta per dichiararne l’incostituzionalità. Si tratta della possibilità che “l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie”, mentre invece“la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà”. Gli altri punti bocciati sono, in estrema sintesi, la delega al governo sui Lep (livelli essenziali delle prestazioni) senza “idonei criteri direttivi”; l’aggiornamento e la determinazione di prima battuta dei Lep con decreto del presidente del Consiglio, anche qui emarginando il Parlamento; la mera facoltatività del concorso delle regioni “differenziate” agli obiettivi comuni di finanza pubblica; l’estensione delle norme alle regioni a statuto speciale che invece devono seguire le regole previste dai rispettivi statuti; il meccanismo di compartecipazione al gettito dei tributi erariali, congegnato in un modo che rischia di premiare “proprio le regioni inefficienti che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. Tra i punti interpretati in termini “costituzionalmente orientati” c’è l’iniziativa legislativa per le intese che non è riservata unicamente al governo e la possibilità del Parlamento di emendare i testi presentati; per le materie cosiddette no-Lep si prevede che non possano riguardare funzioni relative ai diritti civili e sociali; per quanto riguarda l’individuazione della risorse, essa dovrà avvenire “non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza” e comunque dovrà tenere conto “del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari”. Il comunicato della Corte precisa che “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”. Per un’analisi completa bisognerà attendere il deposito del testo della sentenza, così pure per valutare l’impatto della stessa sui referendum.