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Ban Ki Moon: “avevo fame…ed ero povero…”
Il segretario generale dell'Onu, in visita a Roma, ha incontrato i bambini e le famiglie accolti dalla Comunità di Sant'Egidio. Con loro ha rievocato la sua infanzia in fuga dalla guerra in Corea. Ha ascoltato le drammatiche testimonianze di tre profughi e ha espresso preoccupazione per le condizioni dei bambini e delle donne, chiedendo di allargare ''al massimo'' la protezione nei loro confronti.
Ban ki-Moon, profugo tra i profughi. Si è presentato così il segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-Moon ai rifugiati e richiedenti asilo ospitati dalla Comunità di Sant’Egidio a pochi passi da piazza Santa Maria in Travestere. Il segretario generale dell’Onu, in visita a Roma, ha incontrato prima i bambini e le famiglie del centro di accoglienza per l’infanzia e i migranti ospiti della “Tenda di Abramo” che la Comunità gestisce a Palazzo Leopardi. Poi, in un salone adiacente alla parrocchia di Santa Maria in Trastevere, ha ascoltato le storie di tre profughi provenienti da Senegal, Afghanistan e Mali. “Ho incontrato tanti rifugiati in tutte le parti del mondo e ho visitato tante zone ma non ha mai vissuto un momento così commovente come quello di stamattina”, ha detto alla fine Ban ki-Moon. Tre storie difficili. Accolto dai bimbi del centro per l’infanzia che gli hanno cantato delle canzoni, il segretario generale ha raccontato loro la sua storia. “Quando avevo 6 anni, 65 anni fa, ero come voi. Nel 1950 c’era una guerra terribile in Corea e il mio villaggio è stato bombardato e distrutto. Sono dovuto fuggire con la mia famiglia. Ero sfollato. Non ricordo molto di quel periodo, ma rammento che avevo le scarpe infangate, avevo fame, ero povero e non c’era la scuola. Per questo sono grato a chi, come la Comunità di Sant’Egidio, vi aiuta”. La storia del “profugo” di guerra che è diventato segretario generale delle Nazioni Unite si è tragicamente intrecciata con quelle dei profughi di oggi. Tadese Fisaha viene dall’Eritrea. Era in mare quella tragica notte del 3 ottobre 2013 quando oltre 200 migranti hanno perso la vita. Il suo è il racconto drammatico di chi è scampato alla morte. Fa rivivere al segretario generale dell’Onu quei tragici istanti vissuti quando alla vista dell’isola di Lampedusa il barcone si è rovesciato e tutti sono finiti in mare. A salvarlo sono stati i pescatori dell’isola che lo hanno preso dalle acque afferrandolo per la cintura dei pantaloni. Poi l’incontro con “Costantino” e l’amicizia con la Comunità di Sant’Egidio che gli hanno aperto le porte alla speranza e la possibilità di un futuro migliore. Alou Sanogo Badara ha 22 anni e viene invece dal Mali. Anche il suo è il racconto di un viaggio lunghissimo nel tempo e nello spazio: prima il Niger, poi la Libia con i 3mila chilometri di deserto e, infine, il terrore di attraversare il Mediterraneo. Ma “non c’era altra possibilità. Dovunque andavo c’era la guerra”. A prendere la parola c’è anche Sediqa Ibrahimi, afgana. Come mamma, le sta a cuore la sorte dei bimbi del suo paese. “Ogni volta che vedo i miei figli nati a Roma che giocano felici – dice –, penso a quanto è importante e preziosa la pace. Quanti bambini afgani nascono nel terrore della guerra e della violenza, quante volte si svegliano con i rumori delle bombe”. Ban ki-Moon si è rivolto direttamente a loro. “L’Onu è con voi – ha detto -. Abbiate speranza e non disperate”. Attenzione a donne e bambini. Ban ki-Moon ha espresso preoccupazione in modo particolare per le condizioni dei bambini e delle donne chiedendo di allargare “al massimo” la protezione nei loro confronti. E parlando del Mar Mediterraneo ha detto: “Era un mare di pace. Ora è diventato un mare di lacrime”. Ma il messaggio del segretario generale dell’Onu vuole essere un grido di speranza in questa Europa che stenta ad affrontare l’emergenza migrazione con “una leadership compassionevole e solidale”. È di qualche giorno fa la notizia di un ragazzo afgano ucciso alla frontiera con la Bulgaria. “Nessuno deve essere lasciato indietro”, ha detto il segretario generale rispondendo alle domande dei giornalisti. “Non possono esistere due categorie di persone”, e quindi “distinguere tra persone degne e non degne” di essere aiutate. “Siamo tutti membri della famiglia umana”. “Questa non è una crisi di numeri. Se c’è una crisi, è dovuta alla mancanza di solidarietà globale”, ha concluso.