Blue Whale, la nuova trappola

È una pratica  mortale che, attraverso i social, si sta diffondendo soprattutto tra i ragazzi più fragili.

E’ stato chiamato “gioco”. “Ma in realtà non ha nulla a che fare con il gioco”. Anzi, tutt’altro. La Blue Whale challenge, letteralmente “La sfida della balena blu” è, piuttosto, una vera e propria trappola mortale. A cadere preda di questa pratica, gli utenti più vulnerabili, adolescenti fragili che vivono situazioni di disagio. Adescati da un tutor sui social, vengono spinti a compiere, in 50 giorni, 50 prove estreme, per lo più autolesioniste, fino a essere indotti progressivamente a uccidersi. In Russia, sarebbero più di 130 le morti sospette per questo tipo di manipolazione online. In Italia, nelle ultime settimane, alla luce di numerose segnalazioni, anche la Polizia Postale e delle Comunicazioni ha attivato una serie di interventi, per individuare e contrastare eventuali casi di emulazione.

Per difendersi da questo nuovo pericolo della rete, sul sito www.commissariatodips.it, è possibile trovare consigli e suggerimenti pratici per genitori e ragazzi.

Anche i social sono corsi ai ripari: basta digitare su instagram #bluewhale per rendersene conto. La schermata che compare indica un link per richiedere assistenza e dice (vedi foto): “i post con parole o tag che cerchi incoraggiano comportamenti che possono causare dolore o condurre alla morte. Se stai vivendo una situazione difficile, saremo lieti di aiutarti”.

Sul web, c’è addirittura chi la considera una “bufala”, una notizia fasulla e totalmente costruita o chi la ritiene una vera e propria operazione di marketing. Anche se ancora non si conosce l’entità di questo fenomeno e se ci sia o meno anche in Italia un vero e proprio pericolo ”Blue Whale”, di certo, la preoccupazione, soprattutto nelle famiglie, esiste. Basta digitare sui motori di ricerca la lettera “b”  per accorgersene. Tra i primi risultati, compare proprio il nome della pratica. In che modo difendersi? Quali sono le ragioni che potrebbero spingere un ragazzo a sottoporsi  a una sfida estrema di questo tipo? «Il fenomeno di prestarsi a iniziare “giochi” assurdi e pericolosi lanciati attraverso la rete- spiega la dottoressa Rosanna Schiralli, psicologa e psicoterapeuta- non è certo una novità: il “gioco” del balconing, il bere a dismisura fino al coma etilico, guidare “per scommessa” con un tasso alcolico altissimo, assumere ogni tipo di droga e tanto altro ancora rappresentano “ritualità” macabre per esorcizzare, spesso, la “noia” e la “durezza” di una vita vuota e senza futuro. Una percentuale di giovani e giovanissimi, soprattutto negli ultimi dieci anni, non ha paura di morire, ma ha essenzialmente paura di vivere: l’amore, l’incontro, le emozioni, perfino il desiderare vengono percepiti come sensazioni da non vivere, da reprimere, uccidere, perché vissute come dolorose e completamente estranee a loro». 

Perché succede ciò? 

Per assenza di educazione emotiva, per la poca disponibilità all’incontro con i figli, per la caduta a picco dell’autorevolezza, per lo sgretolamento sistematico di ogni valore e sicurezza. Ecco, allora, il proliferare di giochi “mortalmente seri”, alcuni dei quali hanno esiti nefasti.

Vale anche per  il Blue Whale game?

Qualora fosse confermata come pratica, non si discosta da questa logica: rappresenta, in 50 terribili mosse, la distruzione sistematica di un essere umano. 

La distruzione, però, non è dovuta soltanto agli ordini del “tutor”, ma all’incredibile disattenzione degli adulti, specie dei genitori. Come è possibile, infatti, non accorgersi che, per quasi due mesi, un figlio mette in atto condotte assurde e completamente fuori luogo come, per esempio, l’uscire da casa alle 4 di mattina? 

Ecco, allora, tornare in campo concetti come il “non incontro”, la solitudine, la “cecità” di certi genitori. Blue Whale, vista da questa angolazione, è soltanto una lente d’ingrandimento che si focalizza, accelerandoli, su fenomeni di desertificazione affettiva-emotiva e di liquefazione emozionale. 

Perché il web sembra quasi sfidare i ragazzi? Che meccanismo scatta in loro quando decidono di cedere a prove così estreme?

Il web non è demoniaco, ma passano “cose” demoniache. Queste si fermano là dove si trascinano giovani anime inerti in cerca di un solo intenso momento di vita: la morte. Spettacolare e adrenalinica.

Davanti alla Blue Whale e agli altri fenomeni pericolosi del web, i ragazzi hanno le capacità giuste per difendersi, oppure sono più preparati di quanto il mondo degli adulti pensa?

I ragazzi non hanno assolutamente gli strumenti giusti per difendersi, in quanto non hanno neppure le capacità per valutare i rischi.  Un social è un luogo in cui i nostri figli possono entrare e uscire dove vogliono, incontrano persone che non conosciamo, che loro stessi il più delle volte non conoscono e con cui fanno cose molto spesso non previste. E’ indispensabile, perciò, che i genitori, specialmente quelli dei preadolescenti, si comportino come tali anche nella vita che i figli vivono su Internet.

Che ruolo devono avere i genitori nel difenderli da questo tipo di pericoli? Cosa possono fare  concretamente?

In realtà, non esiste un atteggiamento giusto, anche perché i ragazzi conoscono bene i pericoli della Rete, ma li ignorano e non se ne interessano. Quello che serve non è l’informazione, ma una relazione educativa nutriente che si fondi soprattutto su condivisione di emozioni, ascolto e confini, “no” e regole. Oggi, sappiamo dalle risonanze magnetiche che anche il cervello dei nostri figli, che termina di comportarsi intorno ai 22 anni e la cui qualità di funzionamento dipende dalla relazione educativa stabilità dagli adulti di riferimento, funziona meglio con questo tipo di trattamento. 

Quanto è elevato il rischio di emulazione di fenomeni così estremi? 

Più c’è incapacità di riconoscere, modulare e gestire le proprie emozioni, più è alto il rischio. Più c’è distanza emotiva e affettiva tra genitori e figli,  più aumenta il rischio di imitare l’altro per sentire qualcosa, seppure attraverso la morte.

In che modo evitarlo?

Si può evitare solo stando vicini ai figli e dando loro una adeguata educazione emotiva, ricca di accoglienza, empatia, condivisione, regole, confini e limiti. Questo è un vero e proprio “vaccino” nei confronti di ogni disagio.