Brividi da Olimpiadi

Le spese faraoniche per Atene e Londra dovrebbero impensierire Roma.

Si può sommessamente spezzare una lancia contro la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024? Una cosa che va contro la storia e il buonsenso. La storia racconta, con precisione e quindi scevra dalla soggettività delle opinioni, che i grandi eventi – in Italia e non solo – si trasformano spesso in grandi spese, in grandi buchi. Ancora siamo memori del Mondiale di calcio del 1990, quando l’Italia spese cifre da ricostruzione bellica lasciando più di un’opera incompiuta. Aggiungiamo le Olimpiadi invernali di Torino del 2006: è vero che servirono a rilanciare la città piemontese, togliendole la patina di grigio che da troppi anni la intristiva. Ma la lucidatura fu fatta a suon di miliardi di euro, col solito corollario di debiti da pagare per generazioni e di opere poi mollate lì tra i monti. E altri eventi sportivi (Mondiali di nuoto a Roma, per esempio) hanno seguito la falsariga.

Le Olimpiadi sono ormai costosissime. Occorre realizzare o rinverdire una marea di impianti sportivi (spesso abbandonati un minuto dopo la fine delle gare), quante sono le discipline in gara; creare o ammodernare le infrastrutture logistiche; costruire villaggi olimpici e così via tra appalti, le inevitabili inchieste che seguono le inevitabili “storture”, soldi da reperire, soldi da restituire… C’è, fresca, l’esperienza dell’Expo di Milano. Mediaticamente, un successo. Molto più discutibile, invece, sia il senso sia il risultato di uno sforzo enorme, che in parte un senso lo ha per la riqualificazione urbanistica di un’area periferica della metropoli. Sui soldi spesi (moltissimi) e su quanto questi abbiano fruttato, non è ancora ora di bilanci chiari. Anche se il sospetto è che il “ritorno” economico sia non eccezionale. Né pare che l’agroalimentare made in Italy abbia preso il volo dalla pista di lancio dell’Expo. Ma se poi guardiamo alle precedenti esperienze olimpiche, i campanelli d’allarme dovrebbero suonare a distesa. Quelle del 2004 ad Atene misero praticamente in ginocchio la Grecia: quasi tutti sostengono che l’immane sforzo finanziario sostenuto dal Paese ellenico sia stato l’inizio del suo declino attuale. A Pechino, nel 2008, la Cina si svenò: economicamente un disastro, politicamente un successo. Per chi le organizzò, il bilancio quindi si chiuse alla pari. Ma, ripetiamo, economicamente un disastro.

Né andò molto meglio a Londra 2012; la città ne ricavò enorme lustro, le casse degli organizzatori enormi buchi. E tutto fa pensare che Rio de Janeiro 2016 assomiglierà molto ad Atene 2004, visto che i Mondiali brasiliani del 2014 sono stati anche in questo caso un disastro economico. Nel 2020 si terranno a Tokyo, e ci vorrà tutta la leggendaria organizzazione giapponese per non affondare tra i costi. Non è infine un caso che non vi siano veri competitori per Roma, nel 2024. Più o meno tutti si sono sfilati, Budapest rimane una candidatura di facciata; rimangono Parigi e Los Angeles molto riluttanti. Ma è Roma – una città già con la febbre a 38 tutto l’anno – ad essere la favorita. Inventiamoci una scusa, e candidiamoci per il 2060. Cento anni dopo quelle di Roma 1960: saranno utili per capire cosa siamo diventati dopo un secolo.