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Bullismo e cyberbullismo. L’avvocato ha ruolo di mediatore sociale
La sussistenza di tali fenomeni, certamente più frequenti da quando esistono i dispositivi elettronici di cellulare e tablet anche tra i più piccoli, richiedono una sempre maggiore responsabilità da parte degli adulti e da parte dei professionisti.
Al n. 67 delle Linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore (2010), si legge: “La formazione sulle capacità comunicative, sull’uso di un linguaggio a misura di minore e sullo sviluppo di conoscenze di psicologia infantile è necessaria per tutti i professionisti che operano con i minori”.
I temi legati al bullismo e, più in generale, alle violenze, esigono una particolare attenzione per tutti quegli attori sociali impegnati a vario titolo con adolescenti e giovanissimi.
L’esperienza di un processo simulato, realizzata all’interno del Tribunale di Cosenza, si propone come un tentativo di educare gli studenti all’importanza dell’empatia, della sana relazione, del confronto tra pari, nella consapevolezza che i comportamenti di violenza sono tutti deprecabili e che, soprattutto c’è una certezza del diritto e una punibilità dei rei.
In fondo, bullismo e cyberbullismo, quali atti volontari e intenzionali, secondo quanto definito dalla cultura scientifica, prevengono proprio da questo: da relazioni asimmetriche, in cui l’una parte sente di poter “bullizzare” l’altro, facendo pre-potenza. Tra pari, tra coetanei, si creano rapporti impari.
La sussistenza di tali fenomeni, certamente più frequenti da quando esistono i dispositivi elettronici di cellulare e tablet anche tra i più piccoli, richiedono una sempre maggiore responsabilità da parte degli adulti. Cito anzitutto la famiglia, quale primaria realtà educativa. I genitori delle vittime delle violenze, dirette o indirette che siano, fisiche o verbali, hanno il compito di non generare altra violenza. Può capitare di trovarsi dinanzi a padri che conservano un particolare rancore da palesare intenzioni di “vendetta”. Non è questa la strada da perseguire: a violenza non si risponde con violenza.
Penso ancora alla scuola, e alla necessità, in caso di episodi di violenza, di coinvolgere tutte le realtà in essa presenti per arginare il fenomeno, a cominciare dai coetanei. La prima missione è educare a relazioni dialogiche, senza pregiudizi o prepotenze.
Ancora, mi soffermo sul ruolo dei professionisti, in particolare su quello dell’avvocato. Egli, in specie in questioni che riguardano il bullismo, è chiamato ad esercitare quella “funzione sociale” di rieducazione e riparazione dell’evento violento. Quale “agente di mediazione sociale”, egli deve cercare, alla presenza del minore, aggressore o vittima, a cercare di valutare in maniera equilibrata tutte le componenti in gioco, per il preminente interesse dei minori coinvolti, soprattutto nel confronto con le famiglie. Per questo, al legale sono richieste tutte le competenze in maniera psicologia e pedagogica essenziale. Urge, insomma, una vera e propria alleanza educativa tra responsabili.