Candeggina, ampolline e tradizioni… poveri preti!

Come mettere insieme i sogni e la grande proposta del Vangelo con persone sempre più indifferenti e che vivono un cambiamento epocale?

Senza voler entrare nella vicenda del parroco di Pannaconi e di qualche altro sacerdote delle nostre parti, perché non abbiamo elementi per esprimere un giudizio, vogliamo cogliere l’occasione per aprire una piccola riflessione.I sacerdoti delle nostre parrocchie, tante volte, si trovano a combattere con una progressiva scristianizzazione ed un fede vissuta ormai solo come ‘tradizione’ o ‘magia’.Alcuni teologi parlano di “cattolicesimo convenzionale o dell’ipermercato’, fatto di una religiosità fai da te, nella quale non è permesso a nessuno, tantomeno al presbitero entrare, né alla Chiesa di dare indicazioni in merito. Sono tanti i parroci, soprattutto giovani, che si trovano come in trincea, a combattere con una cultura che va dall’arcaico al tradizionalismo, da sacche di ignoranza religiosa a saccenteria, dal bisogno di sacro alle chiacchere da bar, dalle richieste di assistenzialismo ad atteggiamenti di chiara mafiosità. Eppure il prete arriva nelle comunità con il sogno di portare il Vangelo, di proporre una vita buona, illuminata da Cristo. Si scontra con tante idee di prete: quella che accompagna la scelta personale, quella che hanno i parrocchiani e l’idea che ha del prete la gente in generale. Dall’uomo del sacro all’amministratore di sacramenti, dal custode di beni ecclesiastici all’animatore sociale, fino all’organizzatore di feste popolari e processioni. Tutto questo crea un mix tante volte esplosivo. E a farne le spese, qua e là per la regione, i poveri preti che si trovano il più delle volte soli (nelle loro Chiese o canoniche), in contesti sociali e in aree interne dove anche lo Stato ha abdicato la sua presenza. Ci sono ormai tanti paesi dove non ci sono più scuole né vigili urbani, a giorni alterni si trova la guardia medica e scarsa è la presenza delle altre istituzioni e dei grandi sistemi economici (poste, banche e attività commerciali). Mi chiedo se come preti calabresi siamo preparati all’impatto con questo cambiamento d’epoca. Ci viene richiesto di essere protagonisti, ma si combatte tanto con armi spuntate. Si gioca una partita tra crescente indifferentismo, pressante richiesta di sacramenti senza fede, scampoli di tradizione e mera abitudine. E qui stanno gli amletici dilemmi: far fare il padrino o la madrina; permettere la prima comunione o sacramenti senza catechismo; chiedere di andar a messa la domenica; dire di no o accondiscendere; concedere o proporre con delle condizioni. Chi è bravo fa l’equilibrista tra unità dei comportamenti e indicazioni dei superiori, un pizzico di diplomazia che si impara a poco a poco con le richieste dei fedeli. Ma tante volte non è concesso al prete nemmeno il tempo di imparare. Gettato nella mischia deve nuotare da solo, tra i marosi di chi vede l’educatore della fede, il prete o il docente come “un nemico” da combattere, come l’ultimo baluardo da far cadere. Ma cosa si guadagna? Qualcosa nell’ingranaggio sociale è saltato! Dovremmo rimetterci un po’ tutti a lavorare, senza troppo protestare, ricominciando magari a ragionare.