Cattolici e resistenza. Non è più tempo di “memoria grigia”

Per molti credenti "l'adesione alle bande partigiane fu l'esito di un percorso di consapevolezza morale e politica"; "spesso furono ragioni religiose a motivare la lotta al fascismo": la storica Marta Margotti anticipa alcuni elementi di una ricerca sui cattolici e l'impegno contro il regime. Un convegno nazionale l'11 aprile a Bozzolo, paese che ricorda don Mazzolari.

Sono trascorsi settant’anni dalla Liberazione e in questo periodo si svolgono in tutta Italia eventi per commemorare la lotta partigiana e il 25 aprile 1945. Numerose anche le iniziative volte a far luce sul ruolo dei cattolici e della Chiesa in questo tornate della vicenda nazionale. Sabato 11 aprile a Bozzolo (Mantova) è previsto un convegno, promosso dalla Fondazione Don Primo Mazzolari, che si concentrerà sull’eredità e, al contempo, sull’attualità della Resistenza. A Marta Margotti, docente di Storia contemporanea all’Università di Torino e componente del Comitato scientifico della Fondazione, è affidata una relazione dal titolo “I cattolici italiani e la memoria della Resistenza”. In questa intervista ne anticipa alcuni punti essenziali. Professoressa, anzitutto quali sono i principali esiti della sua ricerca? “Nel dopoguerra, nel cattolicesimo italiano si definirono modi diversi di ricordare ciò che era accaduto sotto il regime fascista e durante la Resistenza. L’obiettivo non era soltanto mettere in ombra gli aspetti più problematici della convivenza della Chiesa con il regime di Mussolini e sottolineare la partecipazione cattolica alla guerra di liberazione, ma inserirsi attivamente nel confronto politico dell’Italia uscita dal conflitto. Più che al passato si guardava al futuro e, ancor più, al presente: nel dopoguerra, offrire un’immagine positiva del ruolo svolto dalla Chiesa nel ventennio fascista e, soprattutto, nei momenti più tragici del conflitto mondiale permetteva ai cattolici di presentarsi sulla scena pubblica come autorevoli protagonisti della costruzione della nuova Italia”. Come fu ricordata nel cattolicesimo italiano la partecipazione di preti, religiosi e laici alla Resistenza? “Solitamente non fu rimarcata la presenza dei cattolici nelle formazioni partigiane, ma, piuttosto, l’opera di assistenza della Chiesa ai perseguitati e in difesa della popolazione. Soprattutto dopo il 1947, prevalse tra i cattolici una sorta di ‘memoria grigia’ della Resistenza, condizionata dalla situazione politica italiana e dal clima di guerra fredda internazionale. In particolare, rievocare con troppa enfasi l’opposizione di alcuni cattolici al regime o la partecipazione di credenti alla Resistenza rischiava di avvicinare eccessivamente la Chiesa al fronte antifascista considerato saldamente guidato dal Partito comunista. Per questo motivo, i cattolici scelsero spesso di rappresentare la lotta resistenziale attraverso l’atto eroico individuale oppure il martirio del singolo sacerdote o militante dell’Azione cattolica, tralasciando di dare risalto alla dimensione collettiva di quella partecipazione, anche quando questa era stata ben presente”.

Quali furono le motivazioni che spinsero tanti giovani credenti a scegliere la strada della resistenza al nazifascismo? “Per molti cattolici l’adesione alle bande partigiane fu l’esito di un percorso di consapevolezza morale e politica, maturato sovente in tempi rapidissimi e in solitudine. Spesso furono ragioni religiose a motivare la lotta contro il fascismo, in nome della solidarietà cristiana e dell’aspirazione alla pace. Meno frequenti furono le scelte dettate da una convinta maturazione politica. Era mancata infatti un’opera di educazione dei credenti – e soprattutto dei giovani – che puntasse sul valore della coscienza: l’insistenza sul dovere dell’obbedienza alle autorità religiose e civili e il tentativo di ‘cattolicizzare’ il fascismo dall’interno, alla fine, avevano favorito il regime di Mussolini che era collassato soltanto di fronte alla conduzione disastrosa della guerra”.

Lei ha ripercorso diverse biografie di partigiani. È possibile identificare una sorta di “identità cattolica” della lotta di Liberazione, che si accosterebbe ad altre, fra cui quella socialcomunista, azionista oppure monarchica? “Non è possibile tracciare un profilo unico per i resistenti cattolici, perché, come si è detto, diverse furono le circostanze e le motivazioni che accompagnarono la scelta di opposizione al fascismo. Vi fu chi imbracciò le armi e chi aiutò ebrei e perseguitati politici a fuggire; vi fu chi organizzò le formazioni partigiane e chi cercò di mediare tra fascisti e partigiani per evitare rappresaglie e distruzione di paesi. Fra i partigiani cattolici, tratti comuni furono, oltre la scarsa preparazione politica, certamente la volontà di giungere rapidamente alla pacificazione nazionale e la tendenziale moderazione, retaggio della cultura cattolica che predicava la temperanza e la prudenza. Certamente l’insieme delle parrocchie, dei conventi e dei seminari fu un’importante rete che garantì protezione a moltissimi resistenti, anche se spesso non è rimasta traccia dei nomi e delle motivazioni di molti cattolici che, anche a rischio della propria vita, agirono a favore dei gruppi partigiani”.

Da storica, ritiene che la memoria del 25 aprile e l’eredità resistenziale – che hanno permeato la nascita della Repubblica – siano ancora oggi vive e condivise? “Senza memoria non c’è futuro. Se si guarda alla storia dell’Italia repubblicana, le contese sull’eredità della Resistenza hanno attraversato le vicende politiche e sociali del Paese con una ricorrente manipolazione del passato. La storia è stata spesso usata per giustificare scelte politiche del presente, distorcendo la realtà dei fatti accaduti e, alla fine, non facendo un buon servizio né alla ricostruzione storica, né alla trasmissione di quei valori di libertà, giustizia e pace per i quali i resistenti combatterono e morirono”.